Dissolutezza Daedrica
POV Magrakh, Capitolo 11: Qualcuno è fuggito dalle Miniere Cidhna
Il ritorno di Magrakh a Cidhna Mine fa emergere ricordi dolorosi e sensi di colpa da un periodo ancor prima dei suoi giorni da bandito. Una mente turbata spesso porta a scelte sbagliate.
Secondo Seme, 4E 197
Non c'era altro modo.
In una città come Markarth, stretta così fortemente dai poteri che la governano, il sangue che spremono inevitabilmente gocciola nelle fogne.
Chiedere dei Rinnegati era come chiedere a un locandiere dei topi nella dispensa.
Nessuno voleva discutere della loro presenza, neanche quando si aggiravano sotto gli occhi di tutti.
Ancor più importante, le guardie non erano sotto il comando dello Jarl da molto tempo, corrotte fino al midollo, perché non importa quanto oro circoli, il sangue vale sempre di più.
Fu il sangue che portò Durzol da Weylin, un nativo con filosofie da Rinnegato.
Fu il sangue che l'Orco versò quando Weylin cercò di accoltellarlo.
Fu proprio quel sangue, quando arrivò alle fogne, a mettere in allerta tutti i topi nascosti nell'ombra della legge.
Fu per il sangue che Eltrys incontrò Durzol nel cuore della notte, rifugiati in un tempio solitario; suo padre era un uomo del Reach e proprietario di una miniera, prima che i Rinnegati lo uccidessero.
Anche Durzol era alla ricerca di risposte ma anche di un uomo in particolare tra i Rinnegati.
I due si ritenevano furbi e nascosti dagli occhi di tutti, sgattaiolando nella notte e raccogliendo frammenti di informazioni come uccellini a caccia di briciole.
Il denaro che Eltrys offriva era molto utile, ma non fu ciò che spinse Durzol a rovistare tra gli effetti personali di una spia Imperiale. Non fu l'oro a spingerlo a trascinarsi fuori dalla fogna dopo essere stato pestato a sangue da teppisti per 'insegnargli a farsi gli affari propri'.
Non fu nemmeno ciò che convinse Durzol a intrufolarsi nella Tesoreria con false pretese.
Il suo obiettivo non era più in linea con quello di Eltrys. Durzol era venuto a conoscenza del Re degli Stracci, che si trovava da qualche parte nelle Miniere di Cidhna, e voleva disperatamente parlargli.
Chi meglio del 're dei Rinnegati' avrebbe potuto dirgli dove si trovasse il singolo Rinnegato che stava cercando?
Ma alla Tesoreria, Nepos il Naso non gli spiegò come poter parlare col suo re. Con sorpresa di Durzol, egli rivelò tutti quegli sporchi segreti che lui ed Eltrys avevano immaginato ma dei quali non avevano prove.
L'Orco percepì il massacro che stava per consumarsi e riuscì a scappare, rifugiandosi nel Tempio di Talos per avvertire Eltrys.
Ma tutto ciò che trovò fu altro sangue e il corpo di un uomo innocente che non avrebbe mai assistito alla nascita di suo figlio.
Le guardie lo trascinarono in cella con una promessa: 'nessuno fugge dalle Miniera di Cidhna'.
30 di Gelata 4E 201
Oggi, l'Orco porta il nome di Magrakh, ed è con questa nuova identità che percorre le fredda pietra della più grande miniera di Markarth ancora una volta.
Rabbrividisce, ormai convinto che il Destino esista e che gli piaccia la giustizia poetica.
Perché altrimenti sarebbe stato condotto proprio qui?
La prima volta voleva solo risposte, il tipo che sua madre non poteva più dargli, il tipo che sperava Madanach gli avrebbe concesso.
"Bene, ecco come funziona," gli dice una guardia con un tono annoiato, "non m'interessa se sei qui per una settimana o solo cinque minuti, farai comunque buon uso di quei muscoli."
Gli viene spinto un piccone fra le mani, e le sue dita stringono istintivamente il manico.
"Non m'importa se sei innocente, e non m'importa se la tua ragazza Imperiale trova dell'oro da sganciare: niente visite."
"Prenderemo comunque l'oro," dice un'altra guardia, ridendo.
Presto si ritrova dietro un cancello chiuso a chiave in una grande spiazzo che gli è familiare.
C'è gente intorno all'unico focolare, uomini e donne con gli occhi infossati e la schiena ricurva.
Può già vedere chi sarà loquace e proverà a spiegargli come funzionano le cose, e chi cercherà di sfruttare il suo status di novellino
Magrakh evita del tutto quelle chiacchiere e, con il suo piccone saldamente in mano, si addentra uno specifico tunnel.
Il passaggio serpeggia e si biforca più volte, ma lui ha già calcato questi cunicoli per mesi e i nuovi tunnel non lo distrarranno da quei ricordi forgiati nel sangue.
Finalmente arriva alla fine di un passaggio che un tempo ospitava una stanza piena di comodità. Una stanza dove un vecchio lo accolse e gli parlò per ore.
Il tunnel ora è crollato, e il passaggio segreto che conduce alle rovine dei Dwemer sottostanti è sigillato.
L'ultima piccola fiamma dentro Magrakh, che ancora alimentava la sua speranza di fuga, si estingue alla vista di ciò. Questo deve essere il Destino che gli mostra di nuovo la via…o meglio, la mancanza di essa.
Dimenticate le vane speranze di sistemare Pinewatch, formare una famiglia, e vivere di nuovo una vita normale. Per la prima volta da anni, sente di essere esattamente dove dovrebbe essere: in prigione.
Che la prigione sia una miniera, oh che ironia.
Magrakh osserva le travi di legno di un nuovo pozzo che porta più in profondità nella miniera, sussultando a ogni movimento della terra sopra di lui, ancora in fase assestamento.
Sua madre è morta nell'altra miniera dei Sangue d'Argento, ma ogni miniera ti è familiare quando ci sei cresciuto fin da piccolo.
A volte, quando si sente particolarmente giù–come ora–vorrebbe quasi maledire sua madre.
Doveva davvero raccontargli di suo padre sul letto di morte? Non avrebbe potuto portare con sé la conoscenza nella Fossa di Cenere, lasciandolo beatamente ignorante?
Strizza gli occhi e si accovaccia a terra, lasciando che il gelo nella pietra lo avvolga nel sonno.
È un riposo agitato, interrotto molte volte da una roccia che si sgretola, da uno spostamento della terra, o dalle scorribande dei topi.
Poi, qualcosa gli punge le costole. Le mani di Magrakh si muovono prima che sia del tutto cosciente.
"Ehi, calmati, amico," gli dice una vecchia, allarmata.
Magrakh fissa il viso rugoso e incartapecorito di una donna Bretone, con una voce tanto fragile quanto il suo aspetto. È ingrigita e curvata da quelli che sembrano essere stati molti anni di duro lavoro ma, soprattutto, il suo volto sfoggia tatuaggi ramificati sulla fronte e sugli zigomi.
Una nativa.
La donna mostra un sorriso gentile mentre l'Orco allenta la presa dal suo polso. "Tutto ok, figliolo?"
È in prigione, dormendo in terra, probabilmente con un aspetto orribile, come potrebbe essere ok?
"Sto una favola." Borbotta, facendola ridere.
"Mi chiamo Jeanne," gli offre una mano per alzarsi, che lui non accetta. "Dovresti stare più attento a lasciare in giro l'argento grezzo."
Al suo cenno, Magrakh guarda dietro di sé, dove il suo piccone giace tra dei massi, fra i quali riconosce i familiari luccichii di metallo prezioso.
Non ricorda di aver picconato le rocce, tanto meno di aver trovato l'argento. Forse è ancora un po' sbronzo.
"Se gli ispettori ti vedono tenere dell'argento ti puniranno, figliolo," spiega, "e se gli altri detenuti ti trovano così, potrebbero fare la spia. Alcuni di quegli sciocchi ragazzi farebbero qualsiasi cosa per una pacca sulla testa."
Questo tipo di discorso è esattamente il genere di cose che Magrakh voleva evitare. Non ha bisogno di spiegazioni su come funzionano le Miniere di Cidhna, e sa bene che gli aiuti non arrivano gratuitamente.
L'Orco stacca l'argento grezzo dalle rocce con tale destrezza che fa alzare le folte sopracciglia di Jeanne, e poi torna lentamente al carro di raccolta, ignorando la donna.
Lungo la strada trova altre persone che si aggirano. È la nuova mattina? Chi può mai saperlo qua sotto?
"Ehi," un Nord trasandato gli fa un cenno, "ho sentito che sei qui per essere stato sbronzo e sconcio nel Tempio, è vero?" La faccia dell'uomo è pallida e smunta, ricoperta di polvere, ma risplende di allegria mentre parla. "Com'è andata?"
Un altro Nord accanto a lui tiene un piccone in equilibrio sulle spalle. "Scommetto che è una storia che vale la pena di ascoltare."
Magrakh li ignora entrambi e continua a camminare senza pensarci troppo, lasciando l'argento nel carro e trascinandosi in un altro tunnel.
Mentre sfoga la sua frustrazione contro la parete di un nuovo pozzo minerario, Jeanne appare da dietro di lui.
"Se continui così, ti stancherai molto presto, figliolo."
"Fatti gli affari tuoi," Mag sputa a terra.
Invece di venire intimorita, la donna sghignazza. "Oh, voi Orchi siete sempre così scontrosi. Peggio di un Nord senza idromele!"
Dopo un momento di silenzio pieno di metallo che si scontra con la pietra, Jeanne prende posto accanto a lui e inizia a punzecchiare il muro.
Non parlano per quelle che sembrano ore.
Le Miniere di Cidhna sono una roccaforte ben guarnita, ma l'arma migliore contro i detenuti è l'isolamento e l'impossibilità di distinguere il giorno dalla notte.
Senza un modo per misurare il tempo, esso diventa presto elastico e privo di significato. In alcuni momenti, sembra che siano passate alcune ore da quando è stato condotto dentro, e l'ora successiva sembra che stia picconando da giorni.
"Senti figliolo, devi mangiare qualcosa," dice Jeanne a un certo punto. "Il cibo non è gran che, te lo concedo, ma ti devi accontentare o t'indebolirai e ti ammalerai molto in fretta."
Magrakh sa che ha ragione, ovviamente, ma teme di trovarsi nuovamente attorno a un fuoco circondato da detenuti che trangugiano poltiglia scambiandosi storie tragiche.
"Dai–" osa mettergli una mano sul gomito– "andiamo a riempirci una ciotola."
Non sa se si sente già il guscio di un uomo o se è la voce materna, ma segue Jeanne attraverso i tunnel fino alla sala comune.
La fossa al centro della stanza è piena di carboni ardenti, senza molte fiamme. Quelli che si stringono vicini sono i più vecchi e i più magri, ma ci sono anche individui che tossiscono e tremano come se fossero malati, che sia per il freddo o la polvere.
Magrakh ha visto molti soccombere alla malattia nelle miniere, e sa benissimo che quel poco aiuto che comuni minatori possono trovare in città, qui non ne avranno.
Cerca di non pensarci troppo, ma non può fare a meno di ricordare quando correva dalla Cura della Megera a comprare erbe e rimedi per sua nonna. O di stringerle le fredde mani ossute.
"Ehi, sangue fresco," lo chiama un uomo, "quindi è vero che hai fatto incazzare le sacerdotesse di Dibella?"
"Zitto, Hrolfr," sibila una donna, "se è davvero qui per eresia, è meglio non ne parlare."
Jeanne ridacchia. "Se avesse scontentato così tanto la Dea, non sarebbe ancora vivo. Smettila di agitarti, Kara."
Lui cerca di ignorare le chiacchiere e si concentra sulla sua scodella di...qualsiasi cosa sia la zuppa misteriosa. È granulosa, unta, e i pezzi di pane sanno di muffa. Non molto diverso dai comuni pasti che ha avuto quand'era un fuorilegge.
Chiude gli occhi e cerca di immaginare la meravigliosa zuppa di granchio e persico che cucinò Pelle nello Hjaalmarch.
"Non sarebbe interessante–" disse Pelle una volta– "non fare quella faccia, tu pensaci, la prossima volta che saremo vicino a un drago morto fammi tagliare delle fette prima di avvicinarti."
Ricorda di averla fissata, inorridito. Col senno di poi, Magrakh capisce che stava solo cercando di distrarlo dai suoi pensieri mentre scappavano da Whiterun e dalle sue responsabilità. Ma negherà per sempre che, tutt'oggi, è curioso di sapere che sapore avrebbe una costola di drago alla griglia.
"Allora, ha uno di quei nomi strani o dovremmo semplicemente chiamarlo 'Orco'?" Chiede un uomo.
Jeanne ride. "Non creerebbe confusione? È il terzo Orco, dopotutto."
"No, è facile," l'uomo risponde con una sorta di allegria maniacale. "Abbiamo l'Orco triste–però anche questo sembra depresso–l'Orco con un occhio solo, e questo sarà l'Orco peldicarota."
La gente ride.
"Vaffanculo," dice qualcuno, probabilmente uno degli Orchi.
"Triste, Orbo e Peldicarota. Mi piace." Dice Jeanne.
"Ehi, Peldicarota," lo chiama un ragazzo, "quanto dovrai stare qui?"
Magrakh si alza e si lascia alle spalle la sala per rifugiarsi nuovamente nei tunnel. Non se la sente di chiacchierare, non ora che la sua vita è di nuovo rovinata.
Da qualche parte lungo la strada trova una pala, e quando è abbastanza lontano si volta verso la sua pedinatrice, e inchioda la vecchia Bretone al muro.
La donna sussulta, cercando di spingere via il manico che sta premendo sulla sua gola.
"Sono solo io, figliolo!" Urla Jeanne.
"Lo so," dice Mag, fissando quei tatuaggi, "e ora mi dirai che cosa vuoi."
"Cosa voglio?"
"Sei dannatamente gentile con qualcuno che non conosci," le dice, lentamente, cercando di impedire alla sua rabbia di scatenarsi. "Reciti bene la parte della vecchia preoccupata, ma–"
"Recito? Non capisco, cosa vuoi dire?"
Magrakh preme il manico, e Jeanne gracchia, iniziando a soffocare.
"Quali sono i tuoi ordini?" Mag sibila, prestando molta attenzione alle mani della Bretone, temendo un ago o un coltellino nascosto nelle sue vesti.
"Per favore–" Jeanne ansima, con gli occhi strabuzzati. "Aiuto!" Il suo richiamo è troppo soffocato per essere udito.
Questo era il tunnel in cui lui stesso fu messo all'angolo, anni or sono, dalla guardia del corpo di Madanach. Gli eco potrebbe arrivare fino alle orecchie di alcuni detenuti, ma a nessuno importerà.
Tuttavia, allenta la presa sulla sua gola. Le donne morte non possono parlare.
Jeanne prende delle grosse boccate d'aria, spingendo il manico lontano da sé. "Perché stai facendo questo?"
"Dimmi quali sono i tuoi ordini."
"Non capisco! Sono gli stessi per tutti…scava la roccia, segnala le vene, riporta l'argento grezzo."
"Toglimi le mani di dosso!"
"Niente coltello?" Dice Mag, dopo aver trovato solo un pezzo di pane raffermo e una mela avvizzita. "Chi ti ha detto di parlarmi?"
"Sei fuori di testa," dice dopo alcuni secondi passati a fissarlo. "Lasciami andare, stronzo paranoico!"
Jeanne cerca di rimuovere il braccio di Magrakh dalla pala, ma sembra quasi incollato lì.
"Lasciami andare, o giuro che lo dirò alle guardie. A loro non frega un cazzo di me, ma non vedono mai l'ora di avere un motivo per pestare qualcuno!"
Dopo aver studiato il suo viso a lungo, Magrakh inizia a rendersi conto che anche se lei fosse davvero un'agente dei Rinnegati, non è all'altezza d'interrogarla.
Questo sarebbe un lavoro per Pelle, è lei quella che capisce sempre cosa si trova davvero nella mente e nei cuori di chi la circonda.
E poi cosa cerca di ottenere da questa interrogazione? Non può scappare anche se Jeanne confermasse le sue paure, non può nemmeno segnalarla alle guardie. Dovrà guardarsi le spalle per il resto della sua vita…oppure potrebbe spezzarle il collo.
Quello che ha appena pensato di fare lo colpisce.
È passato molto tempo da quando ha fatto qualcosa del genere, e si era promesso che non l'avrebbe fatto di nuovo. Ci è voluto davvero così poco per far riemergere il vecchio Durzol?
Molla la presa.
Jeanne non perde un secondo e corre da dov'è venuta, mentre Mag guarda il punto in cui ha quasi ucciso una vecchia nella remota possibilità che fosse una spia. Si sente perso e sporco.
La pala cade a terra e lui stringe i pugni e chiude gli occhi, solo per aprirli di scatto a un forte rumore. Mag si gira da una parte e dall'altra ma non c'è nessuno.
Poi, finalmente si rende conto che era il legno che scricchiola sopra di lui.
C'è una ragione per la quale ha abbandonato del tutto le miniere: dopo quello che è successo a sua madre, non c'è più stato un momento in cui si è sentito al sicuro sotto travi di legno che cercano di sostenere centinaia di metri di pietra e terra.
Questo posto mi sta facendo impazzire.
Si addentra ancora di più nella miniera, senza torcia o lanterna, fino a che non c'è più luce che la sua scurovisione possa amplificare. È buio pesto, non riesce nemmeno a vedere le sue stesse mani, ma sa che stanno ancora tremando.
Lentamente, lascia che la gravità lo faccia scivolare a terra finché non è seduto e appoggiato alla fredda pietra, l'unica solida esistenza che lo tiene ancorato alla realtà.
"Va tutto bene, Mag," ricorda che diceva Pelle, "non ci sono nemici nelle vicinanze, e il fuoco sta già prendendo. Lo puoi sentire scoppiettare."
La pietra scavata attorno a lui riecheggia i pezzetti di terra che cadono da qualche parte. L'odore dell'umido sottoterra gli riempie le narici, e cerca di immaginare una coperta che lo avvolge.
"La luna è grande stasera," diceva Pelle. "Cioè, Masser è grande, Secunda è solo una fettina. Ma insieme sono abbastanza da illuminare fino all'altra sponda del fiume."
Le sue divagazioni erano facili da seguire e sulle quali concentrarsi, quindi si aggrappa a quelle memorie per cercare di non perdere la testa.
"Guarda Mag, se strizzi gli occhi puoi quasi vedere le arcate del Tumulo delle Cascate Tristi."
Si cinge la testa dolorante con entrambe le mani.
Sono un idiota.
Tutto questo tempo non stava nemmeno pensando che Pellegrina fosse ancora là fuori.
Ha sparato una delle sue strane storie per coprirli, difendendo Magrakh dalle sacerdotesse e dalle guardie e–miracolosamente–le hanno creduto!
Affrontare un forte di Rinnegati da sola…di sicuro non farà una cosa del genere! Conosce i Rinnegati a sufficienza da sapere che sono più che semplici briganti.
Molto probabilmente sta ritornando a Falkreath, ma non per scappare. No, non sarebbe da lei. È troppo fedele.
Forse sta cercando di entrare in contatto con Lydia e magari racimolare qualche soldo per ingaggiare dei mercenari, o convincere qualche guardia ad assaltare il forte per lei.
Mag annuisce: sembra qualcosa da Pelle, che prende sempre la strada più diretta per raggiungere i suoi obbiettivi.
Potrebbe persino essere in grado di mediare a suo favore, nonostante la sua riluttanza ad andarsene. Il prossimo incontro con lei sarà orribile, perché sicuramente avrà capito che è davvero colui che le guardie cercavano.
Avrebbe dovuto prepararla meglio alla sua abbondante taglia.
Sono davvero un pessimo amico.
Fin da quando ha incontrato la ragazza, gli ha dovuto salvare le cuoia, fornire cibo e rifugio, raccogliere denaro, fargli compagnia, e anche trattenere la sua mente dal perdersi nella sua stessa testa.
Tutto quello che lui ha fatto finora è far del male agli altri.
Aveva anche giurato di aiutarla a migliorare le sue abilità nel combattere, ma le loro lezioni non sono durate a lungo, e ha immediatamente delegato quella responsabilità a Lydia.
Solo gli Dei sanno dov'è il suo huscarlo ora, e se è ancora viva.
Concedersi a Sanguine in quel modo…
È straordinario che loro due siano arrivati a Markarth ancora vivi, e un miracolo che lui non sia stato giustiziato all'arrivo.
I suoi occhi si aprono di scatto.
Forse era letteralmente un miracolo.
E se fu proprio Dibella a concedere a Pelle i suoi poteri? Pensa, alzandosi a sedere.
Mag deve ammettere che la ragazza non è adatta a essere una sacerdotessa, specialmente non di Dibella. È più il tipo di ragazza che gli rutta in faccia come rappresaglia per aver ignorato le sue domande che l'agente seduttivo della Signora della Bellezza.
Tuttavia, chi è lui per dire che Dibella non scelga i suoi campioni per altro oltre all'aspetto fisico?
Dopotutto Pelle mette passione in quello che fa, e certamente apprezza la bellezza del mondo, spesso immortalandola in disegni o dipinti.
Improvvisamente, Magrakh dà un pugno al suolo.
Dibella è la Dea protettrice delle arti!
Forse Pelle non stava neanche mentendo questa volta...forse Dibella le ha davvero donato una visione, dopotutto conosce la Sibilla per nome, e persino dov'è tenuta prigioniera!
Scuote la testa, vergognandosi di aver creduto tutto questo tempo che Pellegrina potesse essere la marionetta di un Daedra, quando il suo patrono ultraterreno non era altro che una Dea!
Sbatte la testa sulla roccia dietro di lui, due volte tanto per.
Magrakh si stava maledicendo per aver deciso di bere con Sanguine, ma forse ciò era previsto e necessario. Avranno anche perso dieci giorni della loro vita, facendo chissà cosa e chissà dove, ma tra tutti i posti del mondo sono finiti a Markarth.
Arrogantemente, aveva creduto che il Destino avesse voluto punirlo per i suoi misfatti, ma ora gli è chiaro che Pellegrina doveva raggiungere il Tempio della Signora della Bellezza.
E l'ha persino tenuta lontana dal Reach!
Sbatte la testa nuovamente.
Dev'essere provvidenza, il che rende il suo posto in prigione né coincidenza né capriccio del fato, ma giustizia divina.
Timidamente, Magrakh disegna un fiore sul terriccio e chiude gli occhi, sussurrando una preghiera. Chiede scusa alla Dea, ringraziandoLa per averlo condotto qui, proteggendo il mondo da un Sangue di Drago che chiaramente non sarebbe mai dovuto esistere.
Tuttavia, implora anche aiuto, non per sé stesso, ma per Pelle. A lei è stato ordinato di liberare la Sibilla da una fortezza colma di Rinnegati, da sola! È una prova di fede, una prova di verità, ma in realtà è solo un suicidio.
"Le Tue sacerdotesse avevano buone intenzioni, ma sono state arroganti nel dare per scontato che Tu intervenga per il bene di Pellegrina e della Tua Sibilla." Sussurra, sentendosi a malapena.
"Ma ti prego di farlo. Concedi il Tuo aiuto a quella ragazza…non so se già sa che è Tua, ma giuro che è leale con coloro che la trattano bene–" sorride– "come un cane."
Le chiede di perdonare i peccati di Pelle e di credere nella sua ingegnosità. Lei troverà il modo per salvare la Sua Sibilla da quei mostri. Ne è certo.
Ha solo bisogno di tempo per trovare risorse e alleati, e perché un altro pazzo piano venga alla luce.
Scommette, Magrakh pensa con amarezza, che Pellegrina avrebbe avuto successo laddove lui ha fallito, proprio qui nelle Miniere di Cidhna, anni fa.
Mag era troppo arrogante, cavalcando il suo desiderio di conoscenza senza un piano oltre a 'entra e parla con l'uomo'.
Madanach, quel maledetto demone.
Cosa non farebbe per stringere il suo collo rugoso.
Secondo Seme, 4E 197
Durzol credeva di essere furbo, cercando di negoziare con successo con un uomo che era riuscito a comandare il suo popolo dall'interno della prigione più sicura del mondo con solo un pezzo di carta.
Aveva sottovalutato la sua scaltrezza e la manipolazione esperta necessarie per uccidere, corrompere, e comandare senza mai fare un passo; ed era persino consapevole che anche le guardie erano pronte a obbedirgli.
"Non mi interessa chi sei," mentì Durzol, "né cosa fai."
Fissò intensamente l'aspetto trasandato del vecchio. 'Re degli Stracci' gli calzava a pennello.
"Ma so che sei l'autorità suprema per i Rinnegati, e tutto ciò che voglio è trovare un singolo uomo tra di voi. Se mi aiuti, sono disposto a pagare qualsiasi prezzo."
Il Bretone rise, un suono simile a un gesso che stride. "Ah, capisco, un uomo del Reach ti ha fatto un torto e vuoi fargliela pagare?"
Emise un suono di approvazione, osservando il suo volto contuso, cortesia di Borkul, la guardia del corpo di Madanach.
"No," disse Durzol, "non è affatto così."
"Oh?" Il vecchio si raddrizzò sulla sua sedia traballante e poggiò un braccio sul tavolo, disteso non come un mingherlino in uno squallido tunnel, ma come un vero re nella sua sala del trono.
"Dimmi pure."
Durzol cercò di sembrare imponente quanto Borkul, incrociando le braccia per proteggersi dalle scomode verità che stava per pronunciare.
"Il Rinnegato che cerco è di sangue bretone ma non conosco il suo nome, però so che aspetto ha. Ti do un indizio—" Durzol fece muovere la sua cresta– "ha i capelli rossi come i miei. Anche se immagino i suoi siano diventati bianchi ormai."
Il sorriso sornione sul volto ingiallito di Madanach svanì lentamente.
"Ha uno di quei vostri tatuaggi sul viso, dei rovi rossi o marroni."
Madanach si riprese rapidamente dalla sua sorpresa e sorrise. "Capisco."
"I suoi occhi sono verdi. O ambrati, non sono sicuro."
"Sì, so che gli Orchi hanno problemi a distinguere certi colori," disse Madanach. "Devi essere piuttosto disperato per venire fin qui per cercarlo."
Durzol alzò le spalle. "Meglio che andare da forte a forte, schivando frecce."
L'uomo rise. "Sarebbe decisamente più rischioso. Ma perché ora? Non sei più un ragazzino."
"Ho ancora 26 anni, per tua informazione, ma è perché mia madre è morta di recente."
A quel punto Madanach alzò lo sguardo.
"In una miniera d'argento come questa. Una galleria è crollata, e lei è rimasta intrappolata dai massi," Durzol mugugnò attraverso il dolore ancora vivo, "non è sopravvissuta a lungo dopo che l'hanno tirata fuori."
"Mi dispiace sentirlo, ragazzo. Seppellire un genitore è qualcosa di inevitabile, ma è un triste compito che non dovrebbe essere accelerato da tragedie."
"Quest'uomo, dovunque sia, e se è ancora vivo–" Durzol strinse i denti fino a schioccare le zanne, tormentato dal dover fingere affetto verso l'odiato padre– "è tutta la famiglia che mi è rimasta."
Madanach annuì solennemente. "Capisco. Il sangue è il legame più forte che una persona possa avere in questo cupo mondo."
Sospirò, volgendo uno sguardo malinconico ai documenti sul tavolo. "Ed è tutto ciò che ci tiene in movimento anche quando non c'è nient'altro che ci spinga avanti."
Durzol sospirò con impazienza. "Puoi aiutarmi a trovarlo o no?"
L'uomo alzò una mano. "Calmati, ragazzo. Siediti. Parliamo."
L'Orco si guardò intorno con sospetto e, nonostante la mancanza di un'altra sedia, si sedette per terra. Da laggiù, il vecchio scarno sembrava quasi imponente.
"Qual è il tuo nome, ragazzo?"
"Durzol." Sospirò.
L'uomo annuì e, per la prima volta nella sua giovane vita, l'Orco notò una netta assenza del solito disprezzo da parte di un umano nel sentire un nome orchesco.
Come se leggesse nella sua mente, Madanach disse. "Abbiamo qualche Orco tra le nostre fila. Non molti come i Nord o gli Imperiali, ma possono comunque trovare una casa nei nostri accampamenti."
Durzol aspettò con impazienza appena velata.
"So che vuoi delle risposte e le vuoi subito. Probabilmente hai aspettato già a lungo, e ogni minuto aggiuntivo sembra un'ingiustizia. Ma sicuramente non ti aspetti che io conosca ogni singolo uomo del Reach di persona, figliolo."
L'Orco alzò un sopracciglio. Anche se Madanach non conosceva direttamente l'uomo, aveva abbastanza influenza da farlo trovare.
"Conosco personalmente molte delle nostre sorelle e fratelli, ma è passato molto, molto tempo da quando ho visto le loro facce. Più tempo di quanto tu abbia vissuto, in realtà."
Madanach trasse un respiro tremante e chiuse gli occhi per un momento.
"Tuttavia, come probabilmente già sai, la mia influenza si estende lontano, e molti sono gli orecchi che mi ascoltano. Se quest'uomo è ancora vivo, lo troverò per te. Per l'Oblivion, anche se è spirato, potrei comunque darti un nome." Concluse con un sorriso.
Era ciò che Durzol voleva sentire, quindi annuì. "Cosa vuoi in cambio?"
L'uomo rise. "Dritto al punto, eh? Mi sembra più che giusto. L'onestà è sicuramente più leggera e veloce rispetto a ore trascorse a discutere e girarci in tondo. Fortunatamente per te, sei anche arrivato al momento propizio."
Durzol alzò lo sguardo, incuriosito.
"Dimmi Durzol, suppongo anche tu sia stato un minatore come tua madre, ma hai altre abilità? Come combattere, per esempio."
"Un piccone può scalfire le rocce, e carne e ossa sono più morbide delle pietra," l'Orco disse.
"So anche combattere con ascia e scudo, ma non ce ne sono in giro... Non so cosa stai pensando, ma sappi che non mi importa se devo ammazzare qualcuno o chi. Non c'è più un posto per me a Markarth."
Il sorriso di Madanach si allungò da un orecchio all'altro. "Beh, è conveniente. Ascolta attentamente, Durzol, il mio tempo qui è giunto al termine. Le cose stanno cambiando, sia dentro che fuori dalla città. I Sangue-Argento vorrebbero credere che ci hanno tutti ingabbiati come animali, vedono raramente la gente come altro. Infatti presumo che non abbiano offerto assistenza medica a tua madre...vero?"
Colpito dove fa male, Durzol ringhiò.
Madanach non si offese e sospirò. "Come pensavo. Ma siamo molto più degli animali che vedono in noi, e molto più di quello che siamo come singoli individui. Insieme, siamo una forza. Un'onda di vento che, come la bufera strappa gli alberi dalle radici, strapperà il sangue putrido dalle suole dei Sangue-Argento."
L'uomo si avvicinò, tenendo il suo sguardo penetrante sugli occhi di Durzol.
"C'è un piano in fase di preparazione, accuratamente elaborato da anni. Stavamo solo aspettando il momento giusto. Un'occasione." Sorrise. "E tu, ragazzo mio, potresti essere proprio ciò che stavamo cercando."
Quel sorrisetto è ciò che Magrakh ricorderà mentre il caos si scatena intorno a lui.
Aveva dichiarato di essere pronto a uccidere e di non avere nulla da perdere, e anche se credeva in ciò quando lo disse, cambiò rapidamente idea nel bagno di sangue che seguì.
Era stato ingenuo e trasportato dalle emozioni, mentre Madanach era una vecchia volpe, furbo e disposto a sfruttare il suo lutto.
Tutto iniziò a Cidhna, con la sua piccozza che sprofondava nel cranio di un uomo che, gli avevano detto, era una spia per le guardie.
Poi venne l'esplosione che gli scosse il cuore, e la vista che gli tolse il fiato di tre detenuti incastrati sotto le macerie.
Madanach ordinò di lasciarli indietro e di farsi strada nelle rovine dei Dwemer sottostanti.
Successivamente ci fu il disgusto di avere pelliccia e ossa ad avvolgerlo, una delle loro armature.
Quando Thonar Sangue-Argento fu sgozzato per strada, non gli dispiacque. Anche se il migliore della sua famiglia, era comunque un parassita e uno sfruttatore.
Ma quando Madanach incitò il suo popolo a massacrare tutti sul loro cammino, capì che la sua strada per la vendetta sarebbe stata lastricata col sangue di molti innocenti.
Non gli importava delle guardie che abbatté con un'ascia fatta di ossa. La maggior parte erano bastardi corrotti che maltrattavano la gente.
Non dimenticherà il viso terrorizzato di Bothela, l'erbalista, osservare le strade invase dalla sua gente assetata di sangue. Lo notò tra di loro, riconoscendo subito il giovane Orco, ma fortunatamente per entrambi fuggì in casa.
Così come l'orchessa fabbro, che gli forniva chiodi per le riparazioni in casa, si precipitò a difendere il suo apprendista. Ottima artigiana, ma non altrettanto abile nell'uso le sue creazioni.
Anche il suo collega di lavoro, Hathrasil, con cui giocava a dadi durante la pausa pranzo, e il cui corpo rotto fu lasciato ai piedi di una ripida scalinata.
Infine, arrivò l'ordine di Madanach di abbattere Durzol stesso, perché dopo aver attraversato i cancelli aveva implorato di lasciare in pace i contadini e di scappare con i cavalli.
Poi si ricorda di sua madre che muore lentamente e dolorosamente in un letto, mentre lui non può fare altro che guardare.
Ma con un secondo sguardo, non è impotente in un letto ma schiacciata dalle rocce.
Magrakh si affretta a liberarla, noncurante di spezzarsi le dita per districare le pietre. Ma le sue braccia sono deboli, e le sue mani sono troppo scivolose di sangue. Così tanto sangue che cola da un'ascia fatta di ossa.
Lascia cadere l'arma, ma quando il suo sguardo torna alle macerie si rende conto che non è una miniera crollata, ma il forte distrutto di Helgen, e quella che sta venendo schiacciata è Pellegrina.
"Mag!" Urla. "Mag, dove sei?!"
Il suo viso è contuso, sanguinante, e i suoi occhi sono pieni di lacrime. Proprio come a Ustengrav, quando l'ha lasciata da sola contro i banditi, credendo sarebbe stata un peso morto.
Cerca di liberarla, lanciando via una pietra alla volta...ma dopo un po' nota i rumori umidi di quando ricadono dietro di lui.
È allora che capisce che stava sollevando cadaveri.
C'è il capo bandito, Vankeeth, che lo aveva accolto, e che Durzol pugnalò alle spalle.
Il vecchio ubriacone di cui sua madre aveva pietà, dandogli un pezzo di pane.
Cosnach, uno dei ragazzi Nord che la nonna accudiva e con cui Durzol era cresciuto.
Ci sono troppi cadaveri. Bruciano e si mischiano, riducendosi a carbone mentre il fumo lo soffoca.
Fiamme blu come un muro di fronte a sé.
I mattoni di pietra che si sciolgono sopra di lui.
Occhi rossi penetranti che fissano il profondo della sua anima.
Bex hin miin lir
Gelata? Luce del Crepuscolo? 4E 201
Magrakh si sveglia di scatto.
L'oscurità profonda lo circonda, e per qualche secondo vede l'immagine residua di un cielo bianco con lunghissime ali nere che si stagliano contro di esso.
Prende respiri terrorizzati di aria stantia e umida, rabbrividendo mentre il suo sudore si ghiaccia. Poi vomita.
Quando torna nell'area comune sente gli altri impegnati a lavorare nei tunnel, ma c'è ancora una donna accanto al focolare, dove sta preparando qualcosa.
Gli lancia uno sguardo torvo, quindi Jeanne deve aver fatto passaparola.
Tra gli incubi, i ricordi e il senso di colpa, Magrakh capisce che non potrà durare a lungo alle Miniere di Cidhna questa volta.
Quanto tempo è passato? Un giorno? Due? Una settimana?
Non può sopportare oltre…
A che fine poi?
La sua storia si è conclusa. Pellegrina continuerà per la strada che l'attendeva ma lui è già arrivato a destinazione.
Perché continuare la tortura?
Alla fine, giunge alla sola conclusione ragionevole.
Lascia cadere la sua piccozza, si avvicina ai cancelli della miniera, e chiede di parlare col capitano.
"Sono Durzol gro-Dushniik," dice, "e voglio confessare."
Nel prossimo capitolo Pellegrina fa del suo meglio per non andare nel panico, e aiutare il suo amico. Questo la porta dritta nel cuore del pericolo, e stavolta è priva dell'equipaggiamento acquistato sulla Terra, armata solo di astuzia.
