"Fammi male."

Non è un ordine quello che giunge alle orecchie di Kisame, bensì un mugolio di preghiera.

Kisame è nudo. Sebbene il salotto sia bombardato dal riscaldamento al massimo, il corpo statuario è scosso da un brivido e gli si accappona la pelle.

Kisame muove, titubante, un passo avanti. L'ispido tappeto di cotone gli solletica le piante dei piedi, la fantasia floreale in pixel anni Settanta gli sbrana il cervello, il desiderio di estraniarsi concede al disegno la precedenza necessaria.

Mentre ingolla un nodo di disagio, Kisame si accorge a malapena di avanzare ancora verso la sua sconfitta, realizza a stento di avere l'impugnatura di un frustino stretta in mano.

Obito, si volta di tre quarti per sapere che fine abbia fatto. Una volta sinceratosi della presenza di Kisame, gli dedica un'occhiata vitrea e un sorrisetto beffardo dal lato delle cicatrici.

Nessuno sa cosa sia accaduto alla faccia di Obito, Kisame suppone un gioco erotico finito male, uno di quelli estremi che egli adora tanto. Illazione comunque troppo intima e scomoda per poter essere verificata indagando in giro, perciò Kisame si è già rassegnato da un pezzo a tenersi la curiosità.

Obito è accartocciato carponi sul tappeto, è stato proprio lui a impartire a Kisame le rigorose istruzioni su come legarlo. Immobilizzato, con le braccia dietro la schiena e le gambe fasciate come salami, Obito può solo puntellare il mento a terra e lasciare che le natiche siano il punto più alto. Ha desiderato lui che la fune elastica gli sottoponesse le parti intime a una rude trazione, Kisame ha capito all'istante quanto Obito abbia studiato nodi e misure per creare la sorta di imbracatura che ha dovuto stringergli intorno all'inguine.

L'arnese sagomato di gomma che ora sporge dal corpo di Obito è solo un assaggio, Kisame sa che il suo superiore desidera ben altro.

La pioggia di novembre è monotona e sembra non avere fine, Kisame avverte una certa affinità con la persistente cappa del cielo grigio che ingombra tutte le tre finestre dell'ampia stanza. Non si fugge da essa, come non si può scappare dalla vita.

Obito adora i giorni come quelli, stare rinchiuso al terzo piano a organizzare e poi godersi una pantagruelica scopata è il suo passatempo preferito. Sa che nessuno lo può disturbare dentro quello scrigno avvolto dalla pioggia. È sospeso nel tempo, fuori dal mondo, dove nessuno può accedere per salvare Kisame.

La porta dell'ascensore sbuca direttamente nello stesso salotto in cui si trovano ora, l'appartamento di Obito non ha accesso alle scale. Niente via di scampo. Kisame si è sempre chiesto come sia possibile, l'unica spiegazione plausibile è che al terzo piano non esista altro a parte la casa di Obito. In trappola, anche urlare o bussare alle pareti sarebbe inutile. Kisame scuote la testa per liberarsi del tetro pensiero, fortunatamente il bicchiere di Whisky che ha appena mandato giù gli facilita l'impresa.

Neanche gli piace, il Whisky. Per accondiscendere alle pressanti richieste di Obito basta un principio alcolico qualunque, purché faccia effetto. La situazione in cui si è fatto coinvolgere come un idiota gli fa sempre più schifo, quando il gusto della trasgressione lo ha allettato non immaginava certo di restare ingabbiato in una depravazione simile. Insomma, Obito è il suo capo, ci lavora gomito a gomito tutti i giorni a quel dannato tavolo. Sì, perché Obito è uno sperimentatore, e da circa un anno si è fatto trascinare dalla novità del coworking, sostiene una migliore sinergia delle risorse condividendo la stessa scrivania anche se ognuno mantiene la propria mansione.

Però, un anno fa la circostanza era diversa, chiunque fosse seduto alla scrivania in comune assaporava il gusto del proibito a casa del capo. I dubbi in merito non sono mai esistiti, ci aveva pensato la boccaccia di Deidara a spiattellare ogni più recondito particolare, sperava che assecondare le voglie di Obito gli fruttasse una qualche posizione privilegiata. Povero illuso, Obito se li scopava per puro diletto e così doveva essere anche per i dipendenti. Fino all'anno scorso, almeno. Se li era fatti tutti tranne Kisame.

Il suo turno è arrivato trainato dalla curiosità, dal tedio di giornate sempre uguali. La solitudine, il vuoto, sono le leve su cui ha spinto Obito per stregare colui che definisce il prediletto. In un certo senso è così, da quando è iniziata quella specie di… -relazione?- nessun altro dipendente ha più varcato la sinistra porta argentata d'ascensore. A parte Kisame.

Niente di immorale o sbagliato se non fosse per l'approfittarsi di Obito nello stringere la gabbia. Non hanno un legame, non sono fidanzati, ma la pervicacia con cui Obito succhia ogni scampolo di vita privata a Kisame si fa sempre più intensa. Un maniaco possessivo, siccome lui non riesce a costruirsi una vita pretende che anche gli altri non ne abbiano. Una perversione psicologica di cui Kisame è sempre più disgustato.

La speranza che qualcosa possa cambiare brucia ancora. Obito dovrà pur accorgersi, prima o poi, della fedeltà di Kisame. Nonostante il loro non si possa definire rapporto, Kisame non ha più rivolto uno straccio d'attenzione verso nessun altro da quando è iniziato.

"Kisame, ragiona. Passerei da poco professionale se si venisse a sapere che sono fidanzato con uno dei miei dipendenti, ti taccerebbero di essere un raccomandato e io perderei credibilità."

Cazzate. Obito è un pesce piccolo, la sua azienda di sviluppo software fa solo da tramite tra le più basse stalle e le ditte un poco più grandi. Alla ImmerTech, si crea solo lo scheletro dei programmi, poi bisogna trovare un acquirente interessato a un'espansione successiva. Tutto lì. Il loro calderone sforna un po' di tutto in modo da poter essere appetibile in diversi settori.

Kisame campa grazie a quelle due stanze dalla vernice gialla scrostata e ai compartecipanti della scrivania, non osa neanche immaginare cosa potrebbe accadere se negasse qualcosa a Obito.

La codardia gli fa stringere gli occhi mentre estrae piano l'arnese da Obito, sente il capo mandare un sommesso mugolio compiaciuto ogni volta che una pallina gli abbandona il corpo.

"Avanti, chiedimelo" Obito inarca la schiena sottolineando la rauca richiesta.

Kisame sospira, si umetta le labbra aride: "Come vuoi che ti scopi?"

"Fammi male" ripete cocciuto il superiore.

Il frustino cala diverse volte sulle natiche bianche sfregiandole di rosso. Kisame si è interrogato più volte sull'astruso motivo che porta le persone dominanti nella vita a essere passive nel sesso e viceversa. Ogni scudisciata strappa a Obito altri versi appagati.

"Potrei venire solo così, lo sai, Kisame? Mi sto trattenendo per te."

Magari fosse già finita. Però si può evitare di tirarla ancora per le lunghe. Kisame è già distante quando afferra i fianchi di Obito, lo penetra con un corpo che non è più suo, ormai è lontano da quella stanza e da se stesso.

Ogni mattina siedono in quattro alla scrivania di coworking della ImmerTech. Il bancone della segretaria, all'ingresso, è vacante da mesi. Malgrado Obito millanti da tempo un imminente potenziamento della squadra, niente ancora è stato aggiornato.

"Non ci serve una segretaria" è solito ripetere Obito dopo il licenziamento di Konan "Però, da quando mi sono deciso a svecchiare, non ho ancora racimolato nessuno competente come piace a me."

Kisame fa presto a indovinare il perché, basta far guizzare lo sguardo in giro pochi secondi per capire che quella catapecchia non farebbe gola a nessun professionista con anni di sudata esperienza. Obito pretende troppo.

A Kisame non resta che starsene in disparte a curare la sua parte di creazione del software, gli occhi concentrati sul monitor vecchio di almeno dieci anni. Obito, oltre a essere il capo, ha anche la mansione di copywriter. Kisame si sente mancare il fiato ogniqualvolta ricorda il romanzo fantasy che marcisce in un cassetto a casa sua, tuttavia l'austerità sfoggiata da Obito quando è fuori dal letto scoraggerebbe qualsiasi proposta, soprattutto concernete un avanzamento di carriera.

D'accordo, il fantasy e la scrittura propagandistica sono due generi che non combaciano. Appunto, il romanzo è lì nella vana attesa che quel cassetto venga aperto. Kisame non si azzarda perché sa che non cambierà niente. A un certo punto, una volta passati i trent'anni, è meglio essere realistici.

"Maledizione, Sasori, non capisco come sia possibile affidare il posto di grafico pubblicitario a uno come te" lo sbottare di Deidara e il successivo scattare in piedi, stavolta, rovesciano solo la sedia. Niente di eclatante se confrontato alla precedente distruzione di tastiera e mouse sia sua che del collega; non essendo necessario allarmarsi, Kisame non si distoglie dal lavoro "Quando capirai che la pubblicità deve essere impattante? Alla pari di un'esplosione, capisci? Tu e le tue inutili minuzie, non devi mica costruire un palazzo!"

Come sempre, Sasori non lo degna di uno sguardo e Deidara si dirige a smaltire la furia alla macchinetta del caffè. È già di ritorno dopo un paio di minuti, sempre rosso in viso ma almeno ha smesso di sbraitare. Meglio così, Kisame si affretta ad alzarsi per impadronirsi dell'unica oasi di pace presente nello striminzito corridoio.

Appoggiato indolente al muro, Kisame osserva meditabondo lo scadente caffè scendere nel bicchiere di plastica. Normale amministrazione. Un osservatore esterno avrebbe reputato la ImmerTech un ambiente dove non ci si annoia, addirittura stimolante. Kisame, di fronte ai quotidiani battibecchi di quei due, è sempre più attagliato dal dubbio se davvero desideri invecchiare in quella stanza, al cospetto delle solite facce. Potrebbe non essere disposto, in futuro, a nutrirsi delle fantasticherie di sogni mai realizzati. Non sa quale sia la quantità di rimpianti effettivamente gestibile nella vecchiaia quando non è più possibile ricominciare. La sua sete di persone interessanti non sarà mai estinta se non esce da lì.

Sorbendosi lemme quella schifezza che è poco più di acqua colorata, Kisame rimesta per l'ennesima volta pensieri e quesiti ormai triti. Se davvero decidesse di mollare tutto sparendo chissà dove, andrebbe incontro alla tanto agognata svolta? Una volta qualcuno non ha detto che non si può fuggire da se stessi, poiché ci si viene sempre dietro? Kisame rammenta la frase letta su un'agenda scolastica ormai oltre quindici anni fa, avrà anche dimenticato l'autore, ma non la veridicità delle parole. La sua costante e venefica frustrazione deriva dall'incompatibilità irrisolvibile tra lui e il mondo, inutile arrovellarsi oltremodo, la stessa dinamica si ripresenterebbe ovunque. E poi cosa farebbe? È da idioti abbandonare la stabilità economica per correre appresso alle chimere, e questo lo confermerebbe chiunque.

Kisame si ritrova lo sguardo di Obito puntato addosso una volta rientrato in ufficio, lo fossilizza prima che possa sedersi. È palese che il superiore stava aspettando proprio lui. Ma guarda caso.

"Bene, ora che ci siamo riuniti vi metterò al corrente delle ultime novità" Obito si frega le mani in quel modo che non promette mai niente di buono "Il tanto atteso rinnovamento è arrivato, da domani la nostra squadra crescerà. Si tratta di un mio cugino di secondo grado, Itachi. Siccome desidera trasferirsi per stare più vicino al fratello, ha colto la palla al balzo per accettare la mia proposta. Sostituirà me nel ruolo di copywriter, così io potrò dedicarmi a tempo pieno alle pubbliche relazioni. Dal momento che sarò quasi sempre fuori, il testimone di responsabile passerà a lui."

Kisame, ancora pietrificato nella cornice della porta, ghigliottina con la gola il sospiro che vorrebbe sfuggirgli.

Il cugino di Obito. L'ennesimo tizio con cui sarà necessario soppesare parole e gesti onde evitare scomodi pettegolezzi. L'arroganza ha sempre il brutto vizio di propagarsi nelle famiglie a macchia d'olio, surclassa le eventuali doti di empatia e gentilezza. I geni negativi sono sempre i più potenti, non c'è niente da fare.

"Aspetta un momento, Obito" Deidara scatta in piedi, colpisce la scrivania con entrambe le mani facendo sobbalzare gli strumenti che la ingombrano "Noi tutti abbiamo accumulato dieci anni di onorata carriera alle tue dipendenze, e tu vorresti propinarci l'ultimo arrivato come responsabile?"

"Conosco Itachi da quando è nato, Deidara" Obito si intreccia le mani sotto al mento in un gesto ancora più ostile dello sfregamento, gli occhi gli diventano due lame "È competente pur avendo solo venticinque anni, so quello che faccio."

Deidara infila la porta per andarsene. "Raccomandato di merda!" l'imprecazione arriva dal corridoio bella confezionata affinché non passi inosservata. Subito dopo il portone sbatacchiato fa vibrare le finestre.

Kisame resta ancora impietrito sulla porta, comprende la reazione di Deidara, in fondo ha assecondato le voglie di Obito senza sosta per un paio d'anni buoni. Servigi che adesso gli fruttano in bel pugno di mosche.

E adesso, al suo posto c'è lui.

Obito non è turbato, anzi, ridacchia. Forse pregusta la neonata possibilità di togliersi quell'isterico di Deidara di torno.

Kisame si arrischia, quatto quatto, a tornare verso la postazione.

"Entrambi hanno i giorni contati" il sibilo di Sasori gli serpeggia nell'orecchio, appena udibile.

"Chi?"

"Sia Deidara che Itachi. Non l'ho ancora visto, ma conosco abbastanza Obito da presagire l'imminente rivalità col cugino. Un osso duro, suppongo. Obito non brilla di umanità e intelligenza, malgrado il suo credersi infallibile. Itachi lo sorpasserà nel giro di un mese, e allora saranno scintille. Obito non sarà disposto a farsi offuscare."

Il viso di Kisame è sconcertato, non riesce a racimolare il controllo necessario per richiudere la bocca. Sasori lo guarda, sorride senza scoprire i denti, si avvale dell'espressione ammaliante e malevola impugnandola come un'arma.

Kisame sbuffa, si allenta il colletto della camicia. Dannazione che gabbia di matti, e quel piccoletto è il più fuori di testa. Però, quando Sasori pronostica qualcosa, ci azzecca sempre alla stregua di un oracolo.

Kisame rinasce avvolto dal getto della doccia dopo una sessione di palestra serale, proprio quello che ci vuole per dissipare la tensione della giornata appena trascorsa. Se non l'avesse incanalata sarebbe esploso. Resta immobile finché l'acqua che gli accarezza il corpo non diventa tiepida.

La benefica spossatezza prende il sopravvento appena finisce di asciugarsi i capelli blu oltremare. Liberi dal gel, gli si afflosciano oltre il mento.

Si siede sul letto ormai troppo esausto per perdersi a ideare l'ipotetico aspetto di Itachi, ancora più arduo è immaginarne il carattere. L'unico termine di paragone a portata di mano è Obito, male che vada la possibile somiglianza caratteriale agevolerà l'approccio con Itachi. Molto meglio che partire da zero.

Gli occhi gli si soffermano sul cassetto del comodino, proprio quello che non ha il coraggio di aprire da anni. Kisame non osa immaginare il puzzo di vecchio e le pagine ingiallite, magari talmente deteriorare da risultare ormai illeggibili. Itachi tra poche ore rimpiazzerà Obito nel ruolo di copywriter, quindi si intende di scrittura. Magari è avvezzo anche al fantasy, potrebbe averne letto qualcuno. O forse no, una totale avversione al genere è sempre possibile.

Kisame si corica, tira le coperte fino al naso come a volersi nascondere. Ma perché diamine la vita deve essere tutta un'incognita minacciata dall'eterno rischio di sbagliare, mai che qualcosa sia semplice. Il sonno lo stende impedendogli ulteriori elucubrazioni.

Il silenzio regna assoluto dell'ufficio condiviso della ImmerTech, persino Deidara tace, ha lasciato perdere i consueti bisticci con Sasori per fissare tetro il suo monitor.

Si direbbe che Itachi sia in ritardo, la squadra è al lavoro da un'ora. Tuttavia, Obito non è per niente turbato, non guarda l'orologio, non fa chiamate. I precedenti accordi presi con il cugino, per adesso, non sembrano disattesi.

Chissà chi si prende cura delle due piante da interno che Kisame nota appieno soltanto adesso, le enormi foglie sempre tirate a lucido, resterebbero uccise dal sole diretto e dal troppo freddo. Obito non sembra certo il tipo da pollice verde. Ora che ci pensa, Kisame non lo ha mai visto neanche sistemare o consultare i faldoni riposti nella parete alle sue spalle.

Impossibilitato a concertarsi, Kisame si lascia ipnotizzare dal cursore lampeggiante sullo sfondo nero. Non gli piace stare fermo a subire l'imminente plausibile inasprirsi della situazione, ma se avesse avuto valide alternative le avrebbe afferrate già da tempo.

La pioggia ha abbandonato il cielo solo da poche ore, ora è azzurro e spazzato dal vento. Fuori dalla finestra, un ciondolare insistente e fastidioso. Qualche oggetto sospinto dalle folate, Kisame visualizza nella mente un filo staccato pendente dal muro. Non ci aveva mai fatto caso, d'altronde una tensione così imperante alla ImmerTech è straordinaria. Kisame spera che non si trasformi nella normalità.

I pronostici di Sasori filano, non peccano per niente di logica. Le dita di Kisame tremano sulla tastiera, perciò si prende una pausa dal computer voltandosi verso colui che lo ha gettato così ansia; magari senza farlo apposta, per carità. Sasori è l'unico non sfiorato dalla tensione, continua imperterrito a picchiettare la tastiera con quel mezzo sorrisetto che sembra parte integrante della sua fisionomia.

Kisame sospira, deglutisce, si lancia una rapida occhiata alla camicia bianca per sincerarsi che non sia chiazzata di gore.

"Buongiorno, Itachi."

Il cuore di Kisame si ferma e resta sospeso chissà dove.

Sasori non cambia posizione, interrompe solo il monotono suono crepitante per sollevare la testa.

Deidara fa sgusciare lo sguardo aggrottato dal ciuffo biondo dietro cui si nasconde, la bocca piegata in un broncio sprezzante.

Itachi è lì, si è disegnato sulla porta senza che nessuno lo abbia sentito entrare. L'eleganza casual lo valorizza priva di eccessi e sbavature. Il dolcevita nero gli fascia il corpo magro senza stonare, lo scurissimo bordeaux di giacca e pantaloni contrasta davvero poco col maglione.

Obito si alza, si rivolge ai dipendenti: "Ecco il nuovo copwriter e responsabile di cui vi avevo parlato, nonché mio cugino. Vi troverete bene."

Itachi saluta con un cenno del capo, gli altri non fiatano e lo fissano. Chi con sdegno e chi con curiosità.

La finta indifferenza di Itachi, però, non trasuda la strafottenza celata da benignità tipica di Obito, sotto la fermezza si scorge vivo interesse.

Kisame è già distante, rapito dallo sguardo magnetico. Non ha mai visto niente di simile, nessuno può avere le ciglia così lunghe. Le somiglianze con Obito ci sono, in teoria gli occhi sono gli stessi, uguali i capelli d'ebano e la pelle d'avorio, ma Itachi riesce ad essere l'opposto. Le fosse orbitarie molto scavate non mortificano l'amena bellezza. Anzi, l'accentuano rendendola particolare.

Kisame resta in apnea, ha le mani che frizzano mentre si rovista disperato in testa per capire cosa abbia Itachi di così unico che Obito non possiede.

"Ti presento lo staff, Itachi."

Obito fa cenno al cugino di seguirlo, Itachi si disfa della borsa a tracolla poggiandola sulla sedia più vicina a Kisame. Ecco, ha scelto la postazione. Kisame incurva le larghe spalle per camuffare il rossore delle guance.

"Lui è Kisame" Dannazione. Obito deve iniziare proprio da lui? Kisame evita di cedere alla conclusione che il capo lo abbia fatto per metterlo in imbarazzo. Una sorta di sottile vendetta per qualche torto che vede solo lui, insomma. Magari il frustino non gli ha staccato abbastanza strisce di pelle l'ultima volta. Ma no, Kisame si sforza di essere positivo, Obito vuole che il suo dipendente migliore resti impresso a Itachi prima che la curva dell'attenzione segua il fisiologico abbassarsi "Si occupa dello sviluppo del software. È talmente svelto e infallibile da non avere bisogno dell'ausilio di altre figure."

Bella sviolinata. L'ultima scopata deve averlo soddisfatto abbastanza. Meglio così.

Itachi posa lieve le mani sulle spalle di Kisame, inforca gli occhiali da lettura e si china per occhieggiare il monitor: "Notevole, stai usando un sistema operativo a disco."

"Ehm…" Kisame vorrebbe formulare una risposta soddisfacente, ma purtroppo il ventre di Itachi gli sta sfiorando la schiena con una fievole pressione. Ovviamente non basta, la lunga coda bassa di Itachi gli si posa accidentalmente su una spalla e le narici di Kisame vengono travolte da un profumo leggero ma incisivo, si distinguono muschio e ambra. Zucchero di canna, forse. Non si tratta solo di questo, le note del profumo non sono piatte e smorte, qualcosa di vivo le arricchisce. La naturale fragranza della pelle di Itachi. Kisame si schiarisce la gola arida e dolorante: "È il migliore, permette di arrivare direttamente al cuore della macchina."

Deidara soffoca una ristata in un verso gracchiante. Kisame si volta di scatto e lo squadra con rimprovero, lo sorprende a esaminargli il gonfiore tra le gambe. Kisame si dimena sulla sedia a disagio cercando di dissimulare la reazione spiacevole. È buffo, con Obito per eccitarsi deve fingere di essere altrove.

Il ridacchiare di Deidara fa inalberare Obito così tanto che stenta a trattenersi, la stizza gli trabocca dal viso suo malgrado. Itachi, però, non si avvede degli occhi del cugino ridotti a fessure e del serrarsi dei denti. Malgrado sia giovane, è più maturo e professionale.

"Dovrai avere pazienza con Deidara e Sasori, Itachi" Obito non riesce a occultare il sibilo che gli traspare dalla voce, la sua mano si serra troppo forte sulla spalla di Deidara, è uno strizzone punitivo. Kisame gongola all'espressione accartocciata del biondo "I nostri architetti, i grafici. Peccato non si trovino d'accordo e non facciano altro che discutere."

"Due tecniche differenti possono essere interessanti in sinergia" commenta Itachi benevolo "Sono dotati entrambi."

Ora è Sasori a compiacersi, non manca di dedicare la ghigna al collega. Preso tra due fuochi, a Deidara non resta che abbassare il capo.

"Bene, Itachi, allora ti lascio" recuperata giacca e borsa, Obito si accomiata con la mano "Sei perfettamente in grado di gestire questo manicomio."

Itachi si accomoda sulla sedia prescelta come fosse a casa sua, accavalla le gambe slanciare. Natiche perfette, Kisame non riesce a smettere di sbirciare. Al diavolo Deidara, pensasse pure quello che più gli aggrada.

Itachi accende il computer e sa subito dove mettere le mani, con le dita lunghe ed eleganti pare trattare la tastiera come un pianoforte. La sua superiorità rispetto a Obito si constata subito, dal modo di gestire malumori e domande. Non raccoglie le provocazioni di Deidara, non si lascia infastidire dalle bieche occhiate di Sasori. Cerca di trasmettere la sua tranquillità all'agitato Kisame.

Con una calma infinita, trasforma gli errori dei colleghi in spunti di incoraggiamento. Ascolta piuttosto che parlare. Itachi si fa notare senza chiasso, basta la perspicacia.

Trascorsa la mattinata, risulta già gradito a tutti.

Obito rientra giusto un quarto d'ora prima di pranzo, il tempo sufficiente per mascherare gli elogi che vorrebbe rivolgere a se stesso da complimenti elargiti al personale: "La mia spedizione esterna non poteva essere più fruttuosa, vi ho procacciato ben cinque nuovi clienti. Siamo ormai imbattibili."

Sasori emette un fischio sommesso che dovrebbe essere di stupore, ma risulta sarcastico. Quando mai la ImmerTech ha riscosso così tanto successo?

Kisame coglie al volo la beffarda reazione di Sasori: si compiace con se stesso sui pronostici stilati poche ore fa che si stanno già avverando. È chiaro. Probabilmente quei nuovi clienti hanno esaminato i pezzi scritti da Itachi, già resi pubblici, perfetti e senza una sbavatura. Magari i loro occhi hanno goduto del miglioramento di Sasori e Deidara non più importunati dalla tensione. L'inizio della fine, solo che ancora Obito non lo sa.

Obito attende l'uscita di tutti, l'ultimo della fila è Kisame e si becca un saluto speciale corredato di occhiolino. Un proiettile di panico gli buca lo stomaco, gli occhi di Kisame guizzano in giro, si sincerano che Itachi non sia rientrato o che non sia rimasto a indugiare sulla porta.

Perché poi? Gli interessa così tanto che un tizio conosciuto da poche ore non si accorga di un gesto fattogli da uno che conosce da una vita e con cui, almeno fino al giorno prima, anelava definire una relazione?

Il sangue di Kisame diventa gelido, lo rende incapace di muoversi finché Obito non gli distoglie lo sguardo di dosso.

Eppure è così. Itachi è già lontano e Kisame ne è estremante sollevato.

Stasera da me?

Kisame non è stupito, ecco puntuale la conferma della negatività sprigionata dalla notifica del telefono. È appena sbucato in strada, non ha progetti sul pranzo, lo stomaco annodato rifiuterebbe qualunque boccone.

Alza la testa, indovina subito dietro quale finestra si nasconde Obito. Lo fissa per estorcergli l'appuntamento.

Mi dispiace, ho un impegno.

Di cosa? Dove? Con che faccia varcherà di nuovo il portone della ImmerTech tra un'ora e mezzo?

Quel rifiuto gli sembra uscito da un'altra persona, le dita si sono mosse da sole. Kisame realizza le parole solo dopo l'invio. Ormai si è inoltrato in un lugubre tunnel, una trappola che prevede due uscite di cui dovrà sceglierne solo una.

Lo sguardo di Obito si rabbuia dietro il vetro.

"Accidenti!"

Il furgone sembra sbucato dal nulla, il fracasso di ammortizzatori scarichi e metallo decrepito si materializza con esso. È inquietante, poco più di un rottame, traballa sinistro sospinto dal limite di velocità superato da un pezzo. Kisame vorrebbe imprecare contro il guidatore, ma non scorge nessuna sagoma attraverso i finestrini. Com'è apparso, così si volatilizza.

Kisame può solo contemplare sconfitto la mano gocciolante e il cellulare ricoperto di fango.

"Mi dispiace, ogni volta che piove le strade rimangono paludose per almeno una settimana" Quella voce, calda e suadente. Apparsa all'improvviso come il furgone "E poi la maleducazione oggigiorno regna suprema in ogni angolo."

Itachi. È alle sue spalle. Proprio lì, dove un attimo prima c'era la via deserta. Lo sguardo contrariato non è dedicato a Kisame, bensì' all'incauto autista.

Kisame fa rapido mente locale mentre si gira. Non ci sono bar o ristoranti nei pressi, neanche viottoli che si immettono sulla strada principale. Ormai lo sa dopo dieci anni che bazzica quel tratto, non hanno nemmeno aperto nessun locale nuovo ultimamente.

Niente che possa aver consentito a Itachi di osservare la scena nascosto, per poi saltare fuori al momento opportuno.

"Posso?" Itachi indica il telefono incrostato di melma. Gli occhi di ossidiana si addolciscono. Ripulisce il disastro con un fazzoletto dopo che un attonito Kisame glielo ha allungato, poi lo ripone nella borsa avvolto in altri fazzoletti puliti.

"Posso chiedere a mio fratello Sasuke se può fare qualcosa. Ha appena aperto un negozio di riparazioni in città, per questo mi sono trasferito" gli occhi di Itachi brillano di orgoglio "È sveglio, ma ha solo vent'anni, non volevo si trovasse spaesato in un posto nuovo e fagocitante."

"Non è per il telefono in sé" Kisame affonda le mani in tasca, si stringe nelle spalle, si fa più piccolo possibile come a discolparsi del danno appena fatto. E delle domande sospettose appena formulate su Itachi. "Ho un sacco di dati. Fotografie, video..."

"Lo so, troppa gente affida la vita a queste scatolette" una nota di rammarico attraversa gli occhi di Itachi. Dispiacere per l'arida esistenza moderna "Io e Sasuke pranzeremo insieme, dopo saprò già darti una risposta su cosa si può recuperare."

"Grazie, Itachi"

Ma la figura è ormai troppo lontana per captare il mormorio gracchiante.

Malgrado Kisame sia ormai stanco del cappio strettogli intorno al collo dalla vita e i recenti cambiamenti gli abbiano infuso nuove speranze, non avrebbe mai immaginato un suo inasprirsi. Nel giro di una sola settimana, poi.

La tentazione di colpevolizzarsi è sempre in agguato, Kisame è ben conscio dell'ormai troppo buon viso a cattivo gioco senza il coraggio di farsi valere. Sarebbe da idioti sabotare i nuovi brillanti risultati della ImmerTech.

I clienti fioccano, le domande sono in vertiginosa espansione; nonostante l'aumentata mole di lavoro, l'umore è molto migliorato. Sasori e Deidara non discutono più, anzi collaborano.

E Itachi, perfetto. Il leader di cui la ImmerTech aveva bisogno. A Kisame basta abbeverarsi della sua presenza, gli è sufficiente accarezzarne la figura con lo sguardo avendone il massimo rispetto. Itachi è dedito solo al lavoro e al fratello minore. Scrupoloso nel suo dovere. Quando fa una promessa per lui diventa legge, ha detto che il backup del telefono di Kisame sarà pronto in giornata, e Kisame sa che ogni più piccolo particolare della sua vita sarà salvo e gli verrà restituito.

Kisame non è più andato da Obito, è bastato avvalersi di un altro paio di scuse ovviamente non bevute dal superiore. Il capo non gli chiede spiegazioni da giorni, si limita a sminuzzarlo con lo sguardo quando è in ufficio. Sempre più spesso, ultimamente. Il prorompente entusiasmo per le missioni di pubbliche relazioni è già sopito. Lo sguardo cupo di Obito non fa che rimbalzare tra Kisame e Itachi.

Itachi si lascia scivolare addosso la puerile rivalità del cugino maggiore, Kisame lo ammira sempre di più per la maturità e il professionale distacco. Itachi non si fa incantare, nessuno riuscirà mai distoglierlo dalle persone per lui importanti. Al momento, solo Sasuke.

Ogni sera Kisame, rifugiato nel suo modesto appartamento al secondo piano, pensa al metodo più opportuno per avvicinare la creatura dalla straordinaria intelligenza che si è affacciata nel suo mondo. Tutti sistemi scartati senza pietà dopo pochi minuti.

Il tempo stringe, le previsioni di Sasori si stanno concretizzando. La spaventosa espressione mentre soffia il pronostico nell'orecchio di Kisame è impossibile da dimenticare. La bomba sta per esplodere, Obito non sopporterà a lungo la subdola rivalità col cugino e la negazione del suo sollazzo settimanale preferito.

Kisame si agita a disagio sul letto. Fissa il soffitto spoglio; segue con gli occhi il filo messo a nudo che, dal mediocre lampadario di carta verde acqua, si decise a sparire nel muro solo nei pressi della porta. Non ha mai appeso quadri, poster o fotografie alle pareti. La fioca luce giallognola non viene dal soffitto, bensì dalla piccola lampada sul comodino. È l'unica fonte luminosa disponibile al momento in casa, la porta del bagno sembra una bocca spalancata sul nulla.

Kisame è grato di essere momentaneamente sprovvisto di telefono. L'imminente catastrofe sarà devastante, la ImmerTech potrebbe anche cessare di esistere.

E Itachi perduto.

Sì, Kisame è un codardo, ma dirne quattro a Obito una volta per tutte significherebbe trasformarsi in un senzatetto nel giro d poche ore.

Lo stesso accadrebbe se scegliesse Itachi per sé.

Itachi per sé. Suo. Che stronzata!

Però, se Kisame scegliesse la codardia, sarà Itachi a finire in mezzo alla strada.

Bel casino.

Kisame sospira, si massaggia gli occhi in fiamme, il sonno non verrà e non potrà avere Itachi nemmeno nei sogni. Sfiorarlo con le dita, respirarne il profumo.

Il suono del campanello squarcia il silenzio. Pur trattandosi del consueto trillo, è lugubre come le ombre che danzano sulle pareti, Kisame si sente osservato dalle sagome distorte. È mezzanotte passata e a cercarlo deve essere Obito.

È lì, sotto casa sua.

Dopo aver attraversato il corridoio immerso nel buio, Kisame si avvicina circospetto al citofono. Un invito scomodo si può sempre declinare.

"Kisame, vedo la luce, perciò deduco che sei sveglio. Il tuo telefono è pronto, pensavo potesse farti sentire meno solo."

Il tono intrigante è inconfondibile. Anche lui in preda all'insonnia, a quanto pare.

"Itachi…?" Kisame non riesce a balbettare altro mentre gli apre il portone dabbasso.

Qualcuno bussa all'appartamento subito dopo, una persona che è sul pianerottolo chissà da quanto. Obito. E ora sa che Itachi sta salendo. Kisame deglutisce a fatica, sente il cuore fermarsi.

Si avvia controvoglia, magari riuscirà a elaborare in tempo record qualche valida scusa per scongiurare un disastro. Scocca una fugace occhiata allo spioncino, giusto per saggiare l'umore di Obito.

"Itachi?"

Kisame è travolto da terrore e sollievo. Itachi ha macinato ben due piani in pochi secondi, senza emettere rumori, non dimostra il minimo segno di affaticamento.

Il condominio è sprovvisto di ascensore. Forse è solo un sogno.

Kisame lo lascia entrare, fa un passo indietro, indugia invocando una spiegazione con lo sguardo.

Chiarimenti che Itachi non dispensa, i jeans e il corto giubbotto trapuntato non dissipano il fascino ipnotico che emana. Gli occhi neri, nella penombra, sembrano metallo fuso. Itachi si tira dietro quella porta che Kisame non si decide a chiudere.

Itachi gli porge il cellulare appena pescato dalla borsa, il gesto è sottolineato da un impercettibile fremito delle ciglia. Il telefono è nuovo, Kisame lo accende a tentoni senza distogliersi da quell'enigma che è Itachi. Ritrova tutto, foto, video, l'intera rubrica e persino gli appunti, tra cui una penosa lista della spesa.

"Grazie, Itachi" Kisame è ancora pietrificato, per miracolo muove la bocca formulando frasi sensate "Posso sdebitarmi offrendoti qualcosa?"

"Non pensavo che un posto del genere potesse essere aperto a quest'ora e in pieno inverno" Kisame osserva il chilometrico bancone dei gelati illuminato da neon azzurri. Realizza di essersi perso molto a causa dell'insensata cocciutaggine di schivare il lungomare appena terminata l'estate. La spiaggia si intravede attraverso l'ampia vetrata di cui è costituita un'intera parete, l'abulico riflesso della luna sulle onde fa capolino attraverso la notte confermando quanto il mare sia suggestivo in ogni stagione.

"Mi dispiace, Kisame, ma l'alcol proprio non lo reggo" Itachi sorseggia rilassato l'enorme frappè al cioccolato con abbondante topping di panna.

Malgrado Itachi sia rimasto di stucco davanti all'immediatezza del volersi sdebitare di Kisame, ha accettato serafico l'invito. Non che a Kisame dispiaccia dover rinunciare a qualche cocktail, in fin dei conti le fragranze di cioccolata, creme varie, frutta fresca e pasticcini appena sfornati lo convincono a lasciare da parte la dieta per qualche ora. E infatti sta gustando il miglior tiramisù alla fragola del mondo, credeva di aver scordato la croccantezza dei piccoli semi e la gommosità del biscotto.

Magari qualche freno inibitore in meno avrebbe aiutato, Kisame non sarebbe stato così a corto di parole. Tuttavia, l'alcol è famoso per essere fautore di grandi catastrofi. Kisame ringrazia la deliziosa pasticceria, almeno gli consente di trattenere l'immenso bisogno di contatto con il corpo di Itachi. Un lieve aderenza con la sua pelle sarebbe sufficiente, ma Kisame teme di non saperlo fare nel modo corretto. Se rovinasse tutto sarebbe la fine. La sua vita non avrebbe più senso.

"Kisame, stai ringraziando me, ma il merito è di Sasuke" Itachi ha già svuotato mezzo bicchiere di frappè, il piccolo sbaffo di panna sul labbro superiore, di cui è ignaro, lo rende irresistibile "L'informatica è un talento ricorrente in famiglia, ha raggiunto tutti tranne me. Ho trascorso la mia adolescenza con il naso nei libri, così ho solo imparato a giocare con le parole a scapito del saperci fare con le persone."

"Tu ricami con le parole, Itachi! La ImmerTech sta rinascendo e non esagero" Kisame abbassa subito lo sguardo sul tiramisù a cui non è riuscito a dare un secondo morso. Gridare a Itachi di non sminuirsi sortirebbe solo l'effetto di velargli lo sguardo di scomoda modestia, meglio spostare il discorso altrove. Qualcosa che Itachi ama "Hai una foto di Sasuke? Sono ansioso di conoscere chi mi ha aiutato."

Itachi non ricorre al cellulare come Kisame avrebbe pensato, bensì a un ciondolo che si estrae dal maglioncino viola. L'immagine del ragazzo così perfetto da sembrare finto, è custodita nel luogo più prezioso: sul cuore.

"È bizzarro, Itachi. Non so spiegarlo" Kisame è davvero a secco di parole, la sua mente si fa vuota e dilatata "Sasuke ti somiglia, siete praticamente identici. Ma è il tuo opposto."

"Sei una persona rara, Kisame" Itachi ripone la collana al suo posto "Ricordi gli altri tramite i particolari, l'unicità. Non attraverso la piattezza dei luoghi comuni."

"Itachi, vorrei farti una domanda" il complimento appena ricevuto accende Kisame di nuova e avvolgente speranza "Che genere di letture apprezzi? Ti piace il fantasy?"

Le labbra di Itachi si incurvano in un impalpabile sorriso, solo adesso lecca via la panna "Amo tutti i generi, purché mi permettano di staccarmi dalla realtà e perdere la cognizione del tempo. Accetterei volentieri un tuo consiglio per le prossime letture."

"Oh, niente d'importante" Kisame non riesce a esimersi dal mettersi le dita tra i capelli, scompone l'impeccabile acconciatura "A volte capitano dei sogni che sono pure utopie, l'importante è riconoscerlo."

"Bisogna sempre provarci, Kisame. Un tentativo fallito non fa male quanto il rimpianto di non aver tentato."

"Quando sai che non cambierà niente è fatica sprecata."

"E se invece cambiasse tutto?"

Finalmente Kisame trova il coraggio di guardare Itachi. È sempre lì, calmo e accomodante: "Non ho mai creduto alle stronzate sul destino già scritto."

"Infatti non devi, Kisame. Sarebbe l'errore più grande, quello che commettono quasi tutti. Ognuno è artefice della propria esistenza, ma senza l'impegno necessario nessuno può sbarazzarsi di dolore e insoddisfazione. Il cambiamento tanto sospirato fa paura, questa è la verità."

L'Acqua non si capacitava della misteriosa forza che l'aveva sbalzata fuori dal letto del fiume. Ora era lì, sul prato, si guardava intorno con occhi nuovi.

Occhi… l'Acqua non ne aveva mai avuti. Aveva deciso di usarli per scoprire un'altra cosa che possedeva da pochi secondi: un corpo. Era ancora di un azzurro trasparente, il vento manteneva la sua capacità di increspare la superficie, ma aveva le mani, cinque dita ciascuna, poteva usarle per toccare.

L'Acqua sorrideva sentendo la consistenza ruvida e fresca dell'erba, i suoi palmi ancora liquidi cospargevano il prato di un fine strato di rugiada.

Racimolato il coraggio, si era alzata sulle gambe, poteva usarle nonostante non le avesse mai avute. Rideva di gioia, non sarebbe stata mai più costretta a seguire il percorso del fiume senza una forma e senza poter decidere dove andare. Il sole le passava ancora attraverso, proiettava tremule fantasie di luce sul mondo circostante.

Un cespuglio di fiori gialli aveva solleticato la curiosità dell'Acqua. Ne era stata sempre attratta, i fiori piacevano a tutti, ma non potendoli avvicinare non aveva mai carpito il loro segreto. Le dita trasparenti si erano tese per coglierne uno, poteva interagire con tutto quello che voleva! Siccome adesso disponeva di un naso, ci aveva avvicinato il flore.

L'Acqua non aveva mai sentito un profumo, non avrebbe saputo che nome dargli o come spiegarlo, ma aveva capito. I fiori non potevano che essere un dono speciale. Si era guardata intorno piena di speranza e con l'obiettivo di trovare la meraviglia a cui donare un fiore.

Seduto sul letto, Itachi sfila gli occhiali da lettura e resta in contemplazione del manoscritto posato sulle gambe. È uscito da una vecchia stampante, una di quelle a cartuccia unica che creavano il nero sommando gli altri colori. Non è ingiallito o puzzolente di muffa, conserva ancora una sfumatura di profumo d'inchiostro e carta.

Kisame è posizionato, immobile e in religioso silenzio, accanto al collega dall'inizio della lettura. Mentre Itachi ha esalato un breve sospiro a esame terminato, il respiro di Kisame è fermo, sospeso in attesa dell'agognata e preziosa opinione. Dal viso di Itachi non traspare nulla, il pallore è il normale tono della sua carnagione.

Gli occhi di ossidiana si sollevano inaspettati su Kisame: "Ha ottime potenzialità. Mentre ero immerso nella storia le parole sono scomparse lasciandosi alle spalle immagini stupende."

"Ma…" Kisame avvampa, non è avvezzo a ricevere così tanti elogi nel giro di poche ore "Ma non ha neanche un titolo."

Itachi si alza con il manoscritto tra le mani: "Posso portarlo a casa per un'analisi più approfondita?"

"Certo." Perché la gioia deve essere così dannatamente paralizzante?

Il viso di Itachi si rilassa in una vaga soddisfazione mentre ripone il racconto nella borsa: "Il titolo arriverà, lo sentirai colpirti come un fulmine quando il tuo pensiero sarà da tutt'altra parte. Riconoscerai l'impatto, quelle saranno le parole giuste."

"Grazie, Itachi." Banale, già detto e scontato. Ma niente è più giusto.

Itachi risponde al saluto con un lieve gesto del capo, poi lascia l'appartamento leggero e silenzioso. Un elegante soffio d'aria.

Kisame resta fermo in mezzo al salotto come uno scemo, sta lì nella penombra a chiedersi come possa valere tanto per qualcuno appena conosciuto. Insomma, Kisame non si sarebbe dato un soldo. Forse perché non gli sono mai capitati i giusti incontri.

Itachi…

Memore della stranezza che ha portato Itachi, al suo arrivo, a salire le scale a mo' di teletrasporto, Kisame si precipita alla finestra per sincerarsi di star vivendo l'effettiva realtà. Se fosse solo un sogno, al risveglio potrebbe sperimentare la peggior delusione della vita.

C'è qualcuno in strada, ma non si tratta di Itachi. È impalato nel parcheggio con le gambe leggermente divaricate, la testa china, le mani gli pendono sinistre lungo i fianchi. La luce intermittente di un lampione danneggiato svela a tratti il cappotto elegante.

Come se la presenza di Kisame dietro la finestra facesse rumore, il tizio alza la testa indovinando all'istante il varco a cui puntare.

È Obito. Le cicatrici appaiono e scompaiono al ritmo della luce discontinua, lo sguardo furioso fisso in quello di Kisame.

Sebbene Kisame abbia un sobbalzo, la voragine d'inquietudine che gli squarcia lo stomaco lo convince ad attendere la discesa di Itachi. Se Obito dovesse azzardarsi a torcergli un capello, Kisame potrebbe tuffarsi direttamente dalla finestra pur di difenderlo.

Ma Itachi non transita davanti al cugino maggiore, dopo quasi dieci minuti non è ancora uscito dal palazzo. Eppure Kisame sa che il vecchio edificio non dispone di uscite secondarie e zona garage.

Kisame fa un passo indietro, con la tenda oscura il tetro sguardo di Obito ancora fisso su di lui.

Forse Itachi si è attardato per le scale, magari attende nascosto il desistere del cugino.

Kisame non osa aprire la porta di casa nemmeno per sbirciare, percepisce un baratro di oscurità circondare l'appartamento.

Facce così scure alla ImmerTech non si sono mai viste. Kisame entra trafelato nell'ufficio condiviso.

A quanto pare il problema non è il suo ritardo, qualcosa di molto più serio è già accaduto. Gli occhi a mezz'asta di Deidara e Sasori pietrificano Kisame nella cornice della porta, stranamente silenziosi, le loro mansioni tralasciate, i visi crucciati rivolti al collega appena arrivato.

Sebbene Obito e Itachi non siano presenti, la borsa a tracolla del cugino più giovane è sulla sedia. Sempre quella accanto alla postazione di Kisame.

"Perdonatemi" Kisame bofonchia poco convinto le scuse.

Sì, la grana non è lui che non ha sentito la sveglia dopo la lunga notte appena trascorsa tra gioia e affanni. Dovunque Obito abbia trascinato Itachi, Kisame spera non stia succedendo niente di pericoloso.

"Siamo arrivati al capolinea" Sasori lo dice come se stesse raccontando la trama di un film demenziale.

Kisame entra titubante nella stanza, si siede con altrettanta circospezione. I colleghi non hanno idea di quale espressione poco raccomandabile avesse Obito poche ore fa. Per quanto possano averlo visto alterato, Deidara e Sasori hanno esperienza di Obito solo furioso. Ritto nel parcheggio, sotto la finestra di Kisame, Obito si è trasformato in un'entità disturbante, qualcosa che può esistere solo negli incubi più terribili. E ora è da solo con Itachi chissà dove.

"Sasori, come fai a essere così menefreghista?" Deidara sbraita, agita il pugno in aria "Questa è la prova della tua mostruosa cattiveria!"

Kisame deglutisce a fatica: "Perché non vi calmate e cercate di spiegarmi che diavolo succede?"

"Quando Itachi uscirà da quella porta lo vedrai per l'ultima volta" Sasori continua imperturbabile "Obito lo sta licenziando, lo accusa di aver creato un ambiente altamente tossico, vuole toglierselo di torno prima che possa danneggiare l'intera squadra in maniera irreversibile."

"Obito taccia Itachi di difetti in cui pecca lui, gli getta ombre addosso per invidia" sebbene Deidara continui a strepitare, stavolta non si può certo negargli la ragione "Non siamo mai stati sereni come con Itachi."

Incredibile, Deidara piange con la faccia premuta tra le mani.

"Dove sono adesso?" Sapere Itachi in balìa di Obito rende Kisame sempre più agitato.

"Barricati in bagno" Sasori continua monocorde tra un collega sconcertato e l'altro in lacrime "D'altronde è l'unica stanza disponibile, a parte questa."

Non arriva nessun suono dalla porta sbarrata, non si sentono voci. Dopo pochi secondi Itachi la apre e ne esce con calma, nessun segno della recente discussione sul viso. Entra in ufficio, non parla e non guarda i colleghi, raccoglie la sua borsa per poi avviarsi come un fantasma all'uscita.

"Itachi…" Kisame si alza, ma la presenza di Obito materializzatasi sulla porta gli impedisce di procedere.

Si fronteggiano. Kisame potrebbe stenderlo a piacimento con un pugno per poi lanciarsi all'inseguimento di Itachi, gridargli di non andarsene poiché non ha mai visto niente di più straordinario. E al diavolo Obito e la ImmerTech.

Però resta immobile nonostante i singhiozzi di Deidara gli gridino di intervenire e senta lo sguardo di Sasori puntato dietro la testa.

L'estenuante fermo immagine sarebbe durato in eterno se il fracasso in strada non avesse rotto il fosco incantesimo. Un clacson e uno stridio di gomme avviano la baraonda. Grida di uomini, di donne, un bambino che piange. Due portiere sbattono, parte una lite furiosa subito dopo. Altri motori si accalcano e restano in folle, la ressa aumenta a dismisura.

Stavolta Kisame reagisce, si scolla dalla faccia distorta di Obito, corre davanti alla scrivania condivisa. Supera Deidara che ha smesso di piangere e Sasori che finalmente sembra turbato dall'evento inconsueto.

Kisame si appiccica alla finestra, si maledice per aver appannato il vetro col fiato. Torce il collo per scansare la nebbia da lui creata e che ancora cela la macchia scura posta dove i paraurti delle due macchine coinvolte convergono. Lì c'è una radura su cui la folla impazzita evita di passare. Giunge un'ambulanza costretta a fermarsi distante a causa della via intasata. Kisame segue con gli occhi i soccorritori. Corrono, salvo poi fermarsi sconsolati una volta superate le due auto.

Finalmente il vetro si schiarisce, si palesa una bambola rotta, così scomposta da aver perso ogni logica della forma umana. Una gamba, completamente scollegata, sfiora la testa. Un braccio è torto dietro la schiena, l'altra mano congelata nell'atto di afferrare la borsa a tracolla sbalzata a diversi metri di distanza, la pelle ferita affiora dalla manica stracciata. Quello è il primo impatto, ha scaraventato il corpo verso il secondo colpo che, invece, è stato letale.

Il viso è appiattito sull'asfalto ormai privo di forme e profondità, una pozza rosso scuro si allarga a vista d'occhio. Densa, quasi solida.

"Itachi!" Kisame grida, con le mani frantuma la finestra. Si taglia, il sangue gocciola dalle stalattiti di vetro. Le sue urla rimbalzano tra le pareti dei palazzi "Itachi!"

Kisame non può sentire le mani di Deidara e Sasori che lo trattengono impedendogli di buttarsi di sotto.