Hutch, all'interno del fiacre che li sta conducendo alla stazione ferroviaria di Le Havre, divide la sua attenzione tra Cat, che a tratti sonnecchia appoggiato alla sua spalla, e Maloney, che fa del proprio meglio per raggomitolarsi fra il divanetto e la tappezzeria nella speranza di non essere individuato dall'esterno (e tolto dalla circolazione in via definitiva). Scuote la testa, divertito. L'intenzione di Cat di mettere un po' di sana ansia nel loro dottore era buona, la realizzazione un po' meno. Più che ansia, ha instillato puro terrore. Chissà se gli toccherà trascinarlo fuori a forza? Già convincerlo a uscire dalla locanda per farlo montare sul veicolo è stata un'impresa. Spera di non dover ripetere l'esperienza. La sua preoccupazione principale è Cat che, non potendo vedere quello che lo circonda, deve rimanere forzatamente accanto a lui. Se ora gli tocca di doversi sobbarcare anche la sopravvivenza del dottore non ne uscirà più. Ma a lui chi ci pensa? In effetti, quello è Cat, che negli ultimi giorni si è scervellato per scovare il modo più sicuro per lasciare Étretat senza farsi reperire. Fosse dipeso da Hutch sarebbero scesi in strada e avrebbero chiamato il primo fiacre disponibile. Quando Hutch, con una certa dose di incoscienza, lo ha proposto a Cat, si è beccato un'occhiataccia da manuale e, non contento, una filippica abbastanza irritata sulle alte probabilità di essere scoperti nell'atto di svignarsela prima ancora di partire. Hutch ci è rimasto male per i primi trenta secondi, poi ha dovuto convenire con il compagno che aveva tutte le sue ottime ragioni (come accade del resto nella maggior parte dei casi).
«Htc…»
«Ehi» mormora piano contro la sua tempia. «Come ti senti, piccolo?» domanda, vedendolo sfarfallare le ciglia, confuso.
«Stanco» soffia in tono incerto. «Dove siamo?»
«Ancora sul fiacre. Ehi, Doc, quanto manca a Le Havre?»
Maloney arrischia un'occhiata al finestrino. «Meno di un'ora, credo» borbotta, tornando a immergersi sotto la coperta da viaggio.
«Hai potuto vedere qualcuno? O qualcosa di strano?» indaga cauto.
«Ogni tanto mi guardo intorno, ma non ho ancora visto nessuno che ci segue, non apertamente.»
Sospira, provando ad accoccolarsi meglio contro il suo fianco. «Speriamo.»
«Il ginocchio?» si informa con prudenza.
«Non troppo male» commenta asciutto.
Che nel linguaggio di Cat significa un grado di dolore più o meno sopportabile ma comunque abbastanza fastidioso.
«Pazienta ancora un poco. Sul treno avrai un po' di tempo per riposare» cerca di consolarlo.
«Nh» soffia, annuendo appena e chiudendo gli occhi ancora una volta.
La stazione è un nugolo di gente che va, viene, gira apparentemente in tondo, schiamazza, saluta, versa lacrime, carica e scarica bagagli, corre, grida… Anche Cat avrebbe una gran voglia di gridare, ma si trattiene, anche se a stento. Hutch non ha bisogno di un ennesimo episodio di crisi di panico, ne ha già dovuti tollerare a sufficienza. Però, dannazione, quanto è difficile.
«Ehi» mormora la voce pacata del suo compagno, proprio accanto sul suo viso.
«Sto bene» sibila, senza riuscire a convincere nessuno dei presenti, men che meno sé stesso.
«Una volta te la cavavi meglio con le frottole» gli fa presente Hutch, confermando i suoi dubbi.
«Sopravviverò» chiarisce, intenzionato a non creare ulteriore disagio.
Lo sente sospirare. «Va bene. Solo, mi serve che tu mi avvisi prima, se hai l'impressione che sia troppo. D'accordo?»
Stira le labbra, amareggiato. «Ho chiaro il concetto: terrò bene a mente di non sopravvalutare le mie possibilità.»
«Cat…» mormora in tono desolato. «Sai che non intendevo questo. Sto semplicemente cercando di esserti di aiuto.»
«Stai cercando di proteggermi. So che lo fai. È solo… complicato. Mi fa male la testa, e mi fa male il ginocchio, e vorrei controllare che non ci siano quei due scemi nascosti in mezzo alla folla ma… non posso farlo. Capisci?»
«Meglio di quanto immagini» garantisce Hutch.
Cat solleva il viso e aggrotta la fronte. «Davvero?»
«Oh, sì. Devo tenere le mani affondate nelle tasche e aggrapparmi alla stoffa con le unghie, altrimenti finirei per acciuffarti, circondarti con le braccia e stringerti al petto per impedire a chiunque e a qualunque cosa di sfiorarti.»
Un lieve sorriso a mezza via fra il divertito e l'intimidito sboccia sul suo volto, regalandogli un po' di quella luce che da giorni, ormai, manca. Scuote la testa, ma non dà l'idea di essere troppo contrariato.
Dopo essere finalmente saliti a bordo del vagone a loro assegnato, e dopo che Cat ha obbligato Hutch a fare tre volte l'ispezione del loro scompartimento, degli altri scompartimenti sul loro vagone e anche dei vagoni che li precedono e seguono, per accertarsi che non ci sia nessuno in vista che possa provare nuovamente ad attentare alle loro vite, si sono sistemati più o meno confortevolmente all'interno dello scompartimento assegnato a loro, hanno chiuso le porte facendo in modo che rimanessero ben bloccate durante tutto il viaggio verso Parigi e solo dopo tutto questo il ragazzo ha tratto un lungo sospiro e si è steso, prendendo sonno in circa venticinque secondi netti.
Hutch, ancora abbastanza incredulo, lo sta fissando a occhi sgranati già da qualche minuto, senza riuscire a capacitarsi di quel che ha di fronte.
«Il signor Stevens dorme, è inutile che vi ci spacchiate sopra la testa. Questi sono i fatti» gli dà l'ennesima conferma Maloney, ora raggomitolato in un angolo del divanetto.
«Non capisco come sia possibile. Meno di un minuto prima mi ringhiava addosso perché mi accertassi che fosse tutto perfettamente sigillato e che nemmeno una mosca potesse entrare senza permesso… e ora dorme. Come diamine è successo?» esclama sbalordito.
«Non ne ho idea. Il ragazzo sembrava comunque piuttosto provato. Va in ogni caso detto che, negli ultimi mesi, ho potuto appurare quanto la sua capacità di prender sonno a ogni ora del giorno e in qualunque posto sia notevolmente elevata. Suppongo, dal punto di vista medico, che ciò sia da annoverarsi fra i fattori positivi… credo» commenta, a sua volta abbastanza basito.
Hutch, ancora attardandosi accucciato di fronte al viso di Cat, trae un profondo respiro. Infine si risolve a rimettersi in piedi e raggiungere l'altro lato del divanetto che ospita il dottore, preparandosi al viaggio che li condurrà verso la capitale. Se non altro, si augura, Cat giungerà a Parigi più riposato di quando è partito. Quella è certamente una buona prospettiva, perché negli ultimi giorni Hutch ha dovuto più volte trattenere la propria ansia per impedirsi di costringere il suo ragazzo a stendersi per rilassarsi un po'. Invece è rimasto a guardarlo, prendendo nota di tutti quei piccoli particolari rivelatori dell'affaticamento e cercando, nel suo piccolo, di alleviarne gli effetti logoranti.
