Bellatrix: "L'armonica"

La mattina seguente mi svegliai lentamente, mi ritrovai nel mio letto disfatto, ero ancora completamente estraniata e stanca.

Mi sentivo leggera senza pensieri, l'effetto delle erbe di Rod scemava lentamente lasciandomi in un piacevole torpore.

Chiusi di nuovo gli occhi e tirai le coperte fino a sopra la testa. Non avevo voglia di svegliarmi, rimasi così per diverso tempo.

Solo quando vidi il sole già alto attraverso le imposte decisi di uscire dal letto.

Mi alzai lentamente, con fatica. Mi stropicciai gli occhi e ancora più lentamente mi vestii per la colazione.

Sapevo che era già abbastanza tardi, per cui non potevo permettermi di perdere ancora molto tempo.

Mi lavai il viso e mi pettinai per bene, notai allo specchio che avevo un aspetto più presentabile.

Scesi velocemente le scale e venni investita dalla luce del mattino che faceva male agli occhi.

Avanzai verso l'ala est della casa: la mia famiglia amava fare colazione nella veranda grande e luminosa che si trovava in quella parte della casa.

Nonostante non avessi alcuna voglia di fare conversazione, mi feci coraggio e li raggiunsi, mi avvicinai a mia sorella e mia madre, le salutai.

"Dove sei stata ieri sera, Bellatrix?"

Mi morsi le labbra, mia madre era già pronta per la discussione, io no, non mi ero preparata.

Tentennai cercando di inventarmi una scusa qualsiasi, ma non fui molto pronta.

"Con Rodolphus, madre, abbiamo ritardato, lo so, ma abbiamo perso la cognizione del tempo."

Guardai Cissy che mi sorrise debolmente.

Sospirai, capii subito che era una scusa debole, del resto non era facile mentire continuamente, fingere di essere una persona che in realtà non esisteva.

La mia vita a casa non era assolutamente rose e fiori i miei segreti rischiavano continuamente di essere scoperti.

Nessuno sapeva nulla di preciso su di me e sulle mie attività, nulla della magia oscura, nulla del mio maestro, nulla dei miei piani per il futuro, poco dei miei modi di vivere e passare il tempo.

Seguitare a sembrare solamente una brava ed elegante rappresentante della casata dei Black, diventava ogni giorno più arduo. Faticavo a reggere quella sorta di doppia vita.

"Non dire sciocchezze, non a me. Non siete venuti al ballo, nessuno dei due! Non vi ho visti e nessuno vi ha visti. C'erano molte persone importanti che voi dovreste conoscere e frequentare. Non siete più bambini, dovete smettere di giocare."

Rimasi in silenzio incassando mentre mi sedevo a mangiare qualcosa.

Rimasi fredda e impassibile.

"Scusate, madre, vi assicuro che la prossima volta ci saremo."

Narcissa mi sorrise sotto la sua frangia bionda e perfetta.

Sapeva bene che le mie erano tutte chiacchiere, che avrei comunque fatto diversamente.

Le sorrisi e la salutai con lo sguardo.

Mia sorella era a casa per le vacanze estive, le mancava ancora un solamente anno per finire la scuola.

Ero sollevata che fosse lì con noi, sperai che intervenisse a cambiare discorso.

Invece, non appena nostra madre guardò altrove, mi lanciò un occhiata allusiva: aveva qualcosa per me.

La sentii sussurrare avvicinandosi.

"Dopo vieni in camera mia."

Annuii in silenzio.

Allora fece in modo di distrarre nostra madre, dandomi il tempo di mangiare qualcosa con calma.

"Madre, il ballo è stato molto carino ieri sera, è piaciuto anche a Lucius, desidero partecipare anche al prossimo, credo non ci siano problemi, vero?"

Sorrisi mentre masticavo la mia fetta di torta.

Cissy aveva sempre un modo sottile ed elegante di parlare, di chiedere, ma otteneva sempre ciò che voleva.

Mi domandai cosa ci trovasse in Lucius Malfoy, che ultimamente era sempre nei suoi pensieri, ma mi limitai a ringraziarla per la conversazione che aveva iniziato, permettendomi di evitare ulteriori confronti con nostra madre.

Dopo la colazione ci ritirammo velocemente nella sua camera.

Lei chiuse la porta a chiave e mi guardò in silenzio. Sembrava seria.

"Allora? Cosa volevi dirmi, Cissy?"

Senza dirmi una parola andò alla scrivania ed estrasse una busta bianca con la ceralacca.

"Tieni, l'ho intercettata stamattina presto, prima che i nostri genitori la vedessero."

Sospirai: un'altra lettera dal Ministero.

La presi in mano malamente, mi voltai e mi buttai sul letto. Chiusi gli occhi e sospirai.

"Bella, è la seconda nel giro di un mese, perché non ti dai una calmata?"

Allora guardai la lettera e la rigirai nelle mani, ebbi la conferma che veniva dal ministero: una convocazione a presentarmi per i fatti accaduti la notte precedente.

La gettai sul letto con stizza.

"Stavolta non ho fatto nulla."

Ci guardammo serie per alcuni istanti.

"Credimi, sorella, mi sono data una calmata. Sono sempre impegnata a studiare e fare allenamenti, faccio davvero solo quello che mi chiede il mio maestro e non mi chiede mai di fare queste cose. Di solito lo chiede ad altri."

Cissy non rispose nulla.

"Sicuramente Lucius saprà togliermi dai guai, è per questo, dopotutto, che mantiene il lavoro al ministero..."

La guardai duramente, non aveva senso che interpretasse la brava sorella, dopo che entrambe sapevamo bene che il suo nuovo fidanzatino, Lucius, aspirava a diventare un Mangiamorte.

Fu lei a distogliere lo sguardo, si spostò accanto alle finestre e riprese a parlare.

"Tu e Rodolphus vi divertite con queste cose strane. Fossi stata in te, sarei venuta al ballo, è stato splendido, elegante, pieno di bella gente."

La guardai e alzai gli occhi al cielo.

"Dai, lo sai che non mi entusiasmano quelle cose."

"Per piacere Bella, vieni almeno la prossima volta, non farti conoscere in tutta la nostra comunità solo e soltanto per le tue aspirazioni di far parte di quella setta di maghi."

La interruppi immediatamente.

"Non sai di cosa stai parlando, Cissy, nessuno nel mondo magico sa nulla di ciò che faccio."

Scosse la testa.

"Le voci corrono, Bella. Non è semplice far passare sotto silenzio tutto ciò che piano piano state creando, lo sai. Ormai tanta gente al Ministero è legata in qualche modo al tuo Lord Voldemort e questo è abbastanza palese. Poi c'è tutta la gente come Rod, che semina terrore ovunque tra i Mezzosangue. E poi ci sei tu..."

La guardai attenta, di cose ne sapeva in effetti, questo doveva essere l'effetto della vicinanza a Lucius.

"Io cosa?"

Sospirò.

"Tu che sembri essere la sua grande preferita."

Sorrisi.

"Non capisco che problemi ci siano in tutto ciò, Cissy."

Abbassò lo sguardo.

"Non lo so, mi fa tutto un po' paura. Vorrei che le cose restassero sempre come sono. Invece state cambiando tutti."

Scossi la testa.

"Anche il tuo Lucius è un Mangiamorte, questo non ti disturba? Io non sono una Mangiamorte, perché vieni a rimproverare me?"

Abbassò lo sguardo, sembrava triste e a disagio.

"So bene cosa fa Lucius e non ne sono contenta, ma lui ha un ruolo limitato. Tu invece stai facendo altre cose, molto altro di molto diverso. Hai tutto un mondo attorno a te che io nemmeno conosco e sei cambiata tanto in questo anno in cui io sono stata a scuola e non ti ho più vista."

Le parlai seriamente, cercai di minimizzare.

"Non fare i capricci, lo sai che ogni volta che torni a casa per le vacanze mi trovi ad aspettarti."

Quelle parole la colpirono.

"Non è vero, non è più come un tempo, tu non sei più come un tempo."

Fece una pausa poi continuò.

"Hai una vita segreta."

A quel punto la interruppi arrabbiata.

"Non ho nessuna vita segreta, non esagerare adesso."

Ci guardammo a lungo, molto intensamente. Faticai a sostenere il suo sguardo. Ad un certo momento fui lì lì per raccontarle tutto. Avrei parlato della magia oscura, del mio maestro e soprattutto dei miei veri sentimenti che iniziavo a sentire per lui, di tutta la mia vita segreta, come la chiamava lei, di sfogarmi su tutto e chiederle un parere, un consiglio, ma mi frenai.

Non volevo parlarne con nessuno, non potevo proprio. Nemmeno con Cissy.

Fu lei la prima a distogliere lo sguardo, a cedere alle mie ragioni.

"Stai tranquilla, dai, sono sempre io. Domani stiamo un po' insieme, va bene? Mi racconti tutte le novità della scuola e anche di come va con Lucius!"

Lei annuì.

"Oggi non resti a casa? Sei impegnata?"

Aveva uno sguardo un po' triste e deluso.

Scossi la testa, mi spiaceva deludere mia sorella, ma non potevo proprio rimanere ancora con lei.

"Ho un impegno importante e devo fare delle cose prima, scusami."

La guardai.

Era vero: dovevo vedere il mio maestro nel pomeriggio e ancora mi restavano da fare alcuni esercizi per i duelli.

Cissy mi afferrò delicatamente, ma inaspettatamente per un braccio.

"Vai da Lord Voldemort?"

La sua voce era un sibilo.

Io risposi in un sospiro.

"Sì..."

Sentii un sorriso nascermi sulle labbra.

"Ti piace tanto, vero?"

Annuii ancora.

Anche lei mi sorrise guardandomi.

E non aggiunse più nulla.

Era giunta da un po' l'ora dell'appuntamento col mio maestro, mi avvicinai alla porta della stanza dove sapevo di poterlo trovare e la vidi socchiusa.

Mi sembrò strano, normalmente non voleva essere disturbato, ma notai che in quel pomeriggio il Quartier Generale era silenzioso e solitario, per cui forse non si era curato di tenere gli altri a distanza.

Aprii lentamente la porta, non entrai fino a che non ebbi il suo permesso.

Era in piedi dall'altra parte della stanza, mi fece un vago cenno di farmi avanti.

Richiusi lentamente la porta alle spalle, vidi che aveva nelle mani uno strumento piccolino, un'armonica. Restammo per un momento in silenzio, non sembrò fare caso a me per diversi istanti, poi si portò quell'oggetto alle labbra e iniziò a suonarlo.

Lo ascoltai a lungo, senza sapere che fare.

Non c'era volta in cui non amassi andare dal mio maestro e stare con lui, guardarlo, ascoltarlo, parlargli e provare incantesimi e battaglie.

Anche quando tutto diventava estremamente difficile, quando prendevo aspri e duri rimproveri, o sentivo di non riuscire a combinare nulla di buono, stare con lui era sempre una gioia.

In tutto ciò però vi erano comunque dei momenti, come quello che stavo vivendo, in cui le cose si complicavano non poco: lo trovavo nervoso, pensieroso, freddo.

Forse era semplicemente triste.

Capitava che in tali momenti suonasse quello strumento argentato.

Non ero abituata a vederlo così, eppure, più lo frequentavo, più iniziavo a capire che molti tratti del suo carattere e del suo umore, erano parecchio diversi da ciò che lui voleva mostrare al di fuori.

Suonava una melodia sconosciuta, anch'essa triste, quasi angosciante. Per diverso tempo ancora non mi parlò né mi considerò minimamente.

Era evidentemente distante, perso nei suoi pensieri, mille miglia lontano da me.

Solo.

Mi sedetti silenziosamente per non disturbarlo.

Lo guardai attentamente, con calma, osservai le dita pallide e sottili che si muovevano su quel maledetto arnese che lo rendeva sempre triste.

E gli guardai le labbra, quelle labbra che quasi mordevano l'armonica anziché poggiarvisi solamente.

Quel suono poi, quella melodia che le faceva emettere mi raggelava il sangue nelle vene e ogni volta desideravo che smettesse subito: era troppo forte il senso di tristezza e solitudine che mi trasmetteva quella musica.

Quello strumento in sé era bello, raffinato, un oggetto sicuramente confezionato ed elaborato da gnomi, di origini antiche, un cimelio. Gli stava benissimo tra le mani delicate, ma forti.

Eppure, non sapevo dire perché, ma lo maledicevo, avrei voluto non lo usasse più.

Mi infastidiva così tanto che provai a distrarlo.

"Maestro..."

Dapprima sembrò non ascoltarmi, poi però alzò lentamente lo sguardo verso di me, sempre senza rispondere.

"Nessuna lezione oggi?"

Rimase ostinatamente in silenzio.

Lo guardai negli occhi, notai che si concentrava su di me con fatica.

Cercai qualcosa da dire, qualcosa da fare, ma non sapevo esattamente cosa, poi inaspettatamente venne a sedersi accanto a me, lasciandosi cadere stancamente sul cuscino del divano.

"No, oggi nessuna lezione."

Appoggiò la testa sulla spalliera, i capelli gli andarono in parte davanti agli occhi.

"Sei libera stavolta, contenta?"

Sembrava tranquillo e calmo mentre mi parlava lentamente, eppure tra le mani rigirava qull'armonica incessantemente, ossessivamente. La stringeva con tale forza e con tale rabbia che le dita pallide e il palmo si erano arrossati.

"Non sono mai felice se non posso imparare la magia da voi, maestro."

Sperai che non mi mandasse via subito, che mi tenesse accanto a lui ancora del tempo.

Lui sorrise appena.

"Sei una ragazza volitiva, dotata e legata alla magia oscura in modo naturale. È un piacere insegnare la magia a te."

Ero felice di quello che mi stava dicendo, ma non risposi nulla, mi presi tempo.

Era così sconnesso dalla realtà che le sue parole, la sua voce, il suo sguardo, tutto sembrava venire da un mondo diverso, un tempo e uno spazio che poteva vivere solo lui.

Cercai un appiglio, un modo per profanare quel suo mondo, ma non lo trovai. Fu lui che improvvisamente si scostò i capelli dagli occhi e mi guardò.

"Strano solamente che non riesci a capire se sei una strega di aria, terra, acqua oppure fuoco."

Quasi rise a quelle sue parole.

"Mi prendete in giro, maestro?"

Lui scostò lo sguardo.

"Sì, un po'."

Mi sorpresi a pensare che avrei voluto avvicinarmi a lui, avvicinarmi alle sue labbra, alla sua pelle al suo viso.

Avrei voluto abbracciarlo e chiedergli cos'era tutta quella sofferenza di quei momenti, da dove provenisse.

Non faceva nulla per allontanarmi, al contrario, mi guardava, seguendo il filo dei suoi insondabili pensieri.

Pensavo a come avrebbe fatto lui per toccarmi e farmi godere. Immaginavo che mi prendesse e mi baciasse, immaginavo come avrebbe fatto.

Ogni volta che ero davanti a lui mi sentivo come una ragazzina ingenua e priva di esperienza, in preda ad un istinto che non capivo e non sapevo controllare a pieno.

Stavo insieme a Rod ormai da anni, avrei dovuto essere abituata alle dinamiche di relazione fra un uomo e una donna, ma con lui tutto cambiava completamente.

Forse perché era molto più adulto?

Forse perché aveva una personalità tanto particolare, magnetica e misteriosa?

Non capivo.

Fu lui a parlare per primo, interrompendo i miei pensieri.

"Se continui così lo capirai presto. Non avere fretta."

Mi guardò intensamente per un attimo fugace, poi si allontanò sospirando stancamente.

Ero totalmente presa dall'intensità del momento, mi batteva il cuore all'impazzata ed ero pietrificata dall'emozione.

Eppure eravamo stati leggermente più vicini del solito. Nulla di più.

Allora perché tutte quelle sensazioni?

Sentivo il sangue pulsarmi nelle vene.

Tentai di concentrarmi sulla realtà distogliendomi da tutte quelle emozioni galoppanti. Vidi che si strofinò una mano sul viso e si sistemò i capelli lontano dagli occhi.

"Non stai andando male, per ora dovrai solo studiare ed esercitarti di più."

Annuii, ma non ero contenta.

"Va bene, però perché oggi non mi volete allenare? Non staremo perdendo tempo? Ogni volta che suonate quell'arnese siete..."

Mi morsi le labbra.

Non avevo ancora imparato ad esser discreta con lui, ubbidiente e brava. Mi sfuggiva ancora quel tono imperioso, capriccioso e infantile che sapevo di non dover usare.

Lui non si adirò, al contrario mi guardò con curiosità. La sua calma era talmente profonda e imperturbabile in quella giornata che forse avrei persino potuto dirgli la verità.

Alla fine però scelsi di mediare con una frase ambigua.

"Diciamo che siete strano."

Non trovai nulla di meglio. Attesi la sua reazione.

"Davvero?"

Restò calmo e impassibile, non si spostò nemmeno dallo schienale del divano.

Mi limitai ad annuire abbassando lo sguardo.

"Ma no, Bella, non c'entra nulla quello strumento."

Lui sorrise, guardandomi esattamente come se parlasse con una sciocca ingenua.

"Non la so suonare neanche per davvero. La uso soltanto per non dimenticare dei momenti importanti. È un simbolo."

Fece una pausa guardandomi più serio.

"Oggi è stata una giornata pessima, certe cose sono andate storte, succede ovviamente, ma non sopporto quando non posso fare come decido."

Alzò le spalle.

"Presumo che tutto questo mi abbia fatto ripensare a cose passate."

Mi diede in mano l'armonica, io la guardai con orrore, ma in fondo era una cosa sua, per cui poi la strinsi forte e la tenni con me.

"Ne avevo una tanto tempo fa, quando ero un bambino, me l'ero conquistata con fatica e mi hanno costretto a separarmene. Odio che mi si tolgano le cose che mi conquisto, odio che mi si privi di qualcosa che per me ha importanza. Allora dovetti sottostare, adesso invece detto io le regole."

Disse queste parole con un tono inquietante. Era così pieno di rabbia, odio e rancore, che faceva angosciare persino me.

Rigirai l'armonica tra le mani.

"Questa non è quella che avevate tanto tempo fa, maestro?"

Guardò prima me, poi restò zitto per qualche istante, distogliendo lo sguardo, perdendosi nei suoi pensieri.

"No, quella era solo un giocattolo, questa te l'ho già detto, è semplicemente un oggetto simbolico."

Non capivo: non era facile per lui raccontare, come non era facile per me intuire il suo mondo così diverso dal mio. Un mondo violento, crudo, freddo.

"Questa armonica è un oggetto antico, di certo lo vedi anche tu che sei abituata a questo genere di anticaglie. L'ho presa molto tempo dopo, me la sono fatta regalare per compensare l'altra."

Sorrise beffardo, me la riprese dalle mani e la fece girare nervosamente tra le sue dita affusolate.

Rimasi a lungo a guardare quelle mani nervose, quello sguardo pieno di rancore.

"Chi ve l'ha regalata?"

Nel momento stesso in cui proferii quella domanda mi resi conto di aver sbagliato. Ero gelosa, mi sentivo arrabbiata, ma non avrei certo dovuto rivolgermi così al mio maestro.

Per un momento temetti le sue ire, ma lui mi guardò quasi divertito. Non si arrabbiò.

"Me l'ha regalata una ragazza, a Hogwarts, tanto tempo fa."

Concluse la frase guardandomi con palese provocazione.

Non riuscii a dire nulla, non sopportavo anche solo il pensiero che alcune donne e ragazze lo avessero conosciuto. Figuriamoci così tanto da fargli un regalo che per altro aveva ancora.

Mi sentii bruciare gli occhi per le lacrime e distolsi lo sguardo. Ero arrabbiata e disperata al tempo stesso.

Non era normale tutta quella gelosia.

Non era normale che mi sentissi così.

"Gliel'aveva data un professore, Silente, pensava che lei avesse talento a suonare e gliel'ha data. Io per compensare una vecchia storia me la sono fatta regalare a mia volta."

Sentii che anche lui distoglieva lo sguardo da me, osservò per un momento l'armonica e poi riprese a suonarla. Quel suono che lo portava sempre lontano da me.

Tutta quella storia non mi era piaciuta, cercai di interessarmi del presente.

"Cosa suonate, maestro?"

Si fermò e mi guardò.

"È una canzone che probabilmente non conosci, ne ho imparato un pezzetto tanto tempo fa."

Sperai che non mi dicesse che gliel'aveva insegnata quella ragazza, e per fortuna quello me lo risparmiò.

Fece una pausa veloce poi mi fece capire che dovevo lasciarlo solo.

"Oggi non ho voglia di vedere nessuno. Domani, forse, faremo doppio allenamento, teoria prima e pratica poi."

Non avrei mai voluto andarmene, ma non potevo fare diversamente.

"Va bene, mio maestro."

Si alzò lentamente facendomi cenno di seguirlo.

Osservai la sua armonica.

Era finita in mezzo ad ampolline vuote, tutte abbandonate in disordine sul divano della stanza. In realtà non gli importava, era un oggetto inutile per lui.

Lo guardai ancora attentamente, l'ultima volta prima di andarmene.

Pallido, magro, misterioso ed enigmatico. Quanto era bello.

Mi sorpresi ad arrossire, sentivo le guance calde e cercai subito di dissimulare.

È solo una cotta, davvero, solo una stupida cotta.

Mi ripetei questa frase più volte nella mente.

Eppure non pensai nemmeno per un momento che fosse vera.