I seem to have attracted a troll reviewer, please just ignore them!

Ogni volta che lo riterrai opportuno accendi un sogno e lascialo bruciare in te

William Shakespeare

Quanto costa averti dentro

è come l'immenso

è lo stesso e il diverso…

Tutto questo sei tu

Ultimo

Foudre

Il chiarore dei bracieri, scostati il necessario per calare la sala nell'oscurità e convogliare l'attenzione al tavolo al centro, ondeggiò, riflesso e moltiplicato e scisso dalle superfici splendide e trasparenti dei vetri specchiati da un lato e delle alte finestre dall'altro.

Residui aloni di guizzanti arcobaleni, catturati dai prismi dei candelabri spenti, subitamente inghiottiti dai neri panni di copertura.

Faceva ancora un poco freddo, gli scranni del re e della regina erano adeguatamente circondati dal solito assembramento di cortigiani, dame, ministri, tutti frementi, aliti pesanti d'aglio e cacciagione speziata, tutti rigorosamente ad un passo dai reali ma tutti rigorosamente lì lì per fare un passo, attratti come falene da una lampada, occhi fissi al tavolo di radica lucidata a dovere, posto al centro della Sala degli Specchi, così da consentire a tutti di scorgere, più o meno adeguatamente, lo spettacolo messo in scena quella sera.

La superficie liscia della tavola rifletteva, moltiplicandoli, gli aloni dei moccoli lasciati accesi ai lati corti, il resto del piano occupato da tutta una serie di alambicchi, porcellane, ferri e fiammelle, governati dalle mani ruvide ma veloci dell'ometto stempiato, tarchiato e panciuto, occhialetti sul naso, che trafficava attorno alle arzigogolate bottigliette.

Re Luigi XVI era seduto sulle spine, estasiato, rapito, come un bambino sgusciato di soppiatto dentro un negozietto che sforna dolci all'uvetta e pagnotte al cioccolato.

Imbambolato, le mani aggrappate ai braccioli come a trattenersi dall'alzarsi e correre lì, più vicino, per godere della visione d'una rappresentazione già osservata nei cari testi, deliziato e perduto, in attesa di ricevere conferma alle teorie inculcate durante i sudati studi.

Lo sguardo di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, di contro, era fisso alla medesima direzione, seppure gli occhi spalancati, quasi sbarrati, parevano vuoti, diretti oltre il groviglio di vetri contorti ed eterei vapori che salivano dai paiolini riscaldati.

Un respiro fondo…

Lo sguardo corse oltre l'infisso di legno laccato, giù, fuori, verso il grande giardino buio, là dov'erano ficcati il cuore e la mente, là dove avrebbe voluto essere lei, la regina di Francia, con tutta se stessa, stretta tra le sue braccia, in quella notte di primavera dolce e lieve.

Dunque era per tale spettacolo che aveva dovuto presenziare al ricevimento, inscenare la propria devota accondiscendenza verso i doveri di sovrana.

Attendere…

Non sarebbe mai riuscita ad arrivare in tempo.

S'era scordata che quella sera i sovrani di Francia avrebbero ricevuto un importante ambasciatore d'un altrettanto importante paese.

Non un vero e proprio ambasciatore, che il paese da cui giungeva non era ancora neppure un vero e proprio paese, seppure anelava da anni a diventarlo, da che gli abitanti avevano intrapreso un'esaltante lotta per liberarsi da quello che ormai appariva solo un giogo soffocante.

E dunque la Francia, da sempre attenta agli equilibri di potere che ormai viaggiavano oltre i confini dell'Europa non aveva fatto mistero di aderire proprio a quegli ideali.

Soprattutto perché essi andavano ad indebolire la forza ed il potere e le ricchezze degli odiati avversari inglesi.

Monsieur George Washinton, proclamato comandante dell'esercito delle genti ribelli d'oltre oceano, quelle che avevano preso ormai da tre anni ad osteggiare gl'Inglesi per liberarsi dall'oppressivo potere ma soprattutto dalle tasse della Corona, aveva inviato per la seconda volta in Francia il proprio fidato confidente, Monsieur Benjamin Franklin, politico e scienziato, a perorare la causa americana.

Ed aveva suscitato enorme effetto ed interesse ed ammirazione, il fatto che l'ometto, ormai in età oltremodo avanzata, si dilettasse di esperimenti sulle forze che regolavano madre natura, così che quella sera, s'era stabilito di chiedere una dimostrazione – seppur pallida ed a mala pena abbozzata - delle sue scoperte sulla capacità delle punte di attrarre e condurre appunto la luce spessa delle saette generate durante le tempeste.

Che tutti c'erano rimasti di sasso…

Che davvero quella sera s'era messo a piovere…

Che tuoni e fulmini parevano quasi volersi scaraventare dentro la grande Sala, come invidiosi che un uomo avesse avuto l'ardire di catturare le gloriose forze degli dei, tentando di addomesticarle come scimmie curiose.

Che Maria Antonietta era disperata.

Subitaneo si sollevò il mormorio stupefatto allo scorrere della debole scintilla generata dalla conduzione delle punticine metalliche…

Lo stupore attraversò gli sguardi fissi dei presenti…

La stizza indusse Sua Maestà la Regina a chiudere gli occhi invece, mentre le orecchie si colmarono del pesante boato ch'era seguito al bagliore sfolgorante, di fuori, nella tempesta che imperversava sui giardini della Reggia, come nel cuore in subbuglio.

Strinse i braccioli dello scranno, Sua Maestà la Regina Maria Antonietta, imponendosi d'avere ancora un poco di pazienza con quella faccenda. Sarebbe stato disdicevole alzarsi ed andarsene anche accusando uno dei soliti mal di testa.

Anche se ormai da settimane, fastidiose emicranie scandivano le giornate della sua vita di regina e moglie del sovrano Re Luigi XVI.

Un matrimonio celebrato per metter fine alle ostilità tra Francia ed Austria.

Un uomo scelto come marito per rinsaldare l'alleanza tra i due paesi.

Un'unione ormai consumata da anni ma ancora avara del dono d'un erede che sarebbe divenuto il suddito privilegiato di entrambi i paesi, così che nessuno dei due avrebbe più mosso guerra all'altro.

Solo per questo.

Le emicranie non avevano dato tregua.

Era dall'inizio di aprile ormai…

E presto si sarebbe entrati nell'estate dell'anno millesettecentosettantotto.

Maria Antonietta aveva adempiuto ai suoi doveri di coniuge, giacendo con il re.

S'erano presi tutto di lei, la vita, il corpo, la giovinezza, la spensieratezza, il piglio asburgico…

Il cuore no!

Il cuore se n'era volato via, altrove.

Null'altro avrebbe potuto concedere di se stessa al regno governato dal suo illustre consorte.

Chiuse gli occhi Maria Antonietta ad immaginare la pioggia che inondava i giardini della reggia, spumeggiando lieve tra i roseti, inebriando l'aria dell'intenso e silenzioso gemere delle corolle fradice, a stillare il terso sentore dei fiori, a frusciare sull'erba, sulle petunie disfatte dal vento, ad ammorbidire i passi leggeri sulle pietre serene e poi quelli in punta di piedi sulla ghiaia bianca.

Avrebbe voluto correre via, strapparsi di dosso il dannato abito da sera, cacciarsi dentro un lurido mantello ed uscire sotto la pioggia per fermare colei che aveva incaricato di avvertire il conte che quella sera non sarebbero riusciti ad incontrarsi, lei, Maria Antonietta, Regina di Francia e lui, il Conte Hans Axel di Fersen.

Amanti senza potersi amare.

Una docile saettina eruppe tra gli spazi esigui delle punte metalliche…

Proprio come un roboante e ghiacciato lampo nel cielo avrebbe suscitato stupore e tremore, anche il debole chiarore sollevò un vibrante brusio d'eccitazione e la frenesia d'osservarlo, catturarne i contorni, fece ondeggiare i corpi alla ricerca d'una migliore visuale.

Lì - replicata la saetta in una stanza chiusa - parve a tutti d'intravedere la caparbia forza dell'uomo, capace di riprodurre l'insidiosa ed esaltante purezza della Natura, d'imbrigliare la sua bizzosa e dirompente forza, governata ed ammaestrata proprio come un cavallo selvaggio dall'astuzia e dalla cupidigia del primo.

Lo scaltro Prometeo che si fa beffe del re degli dei e regala il fuoco agli uomini, contro il volere degli dei stessi, così che gli uomini non dovranno più soggiacere al capriccio di bizzarri ed ingovernabili voleri.

L'uomo diviene dunque superiore alla Natura stessa.

§§§

Osservava l'altra, un poco sorpreso della visita inaspettata.

Era mercoledì…

Mercredi, 20 mai 1778…

Aveva lasciato la Francia per impedire a se stesso d'infangare il buon nome della Regina Maria Antonietta.

Aveva vagato in un'altra vita per tre lunghissimi anni.

Aveva corteggiato dame, intessuto rapporti sociali, armeggiato entro origami politici, conosciuto banchieri e figlie di banchieri.

Aveva ricevuto dal padre l'ordine di trovarsi una moglie…

Aveva quasi sfiorato il matrimonio.

Poi…

Era tornato in Francia da poco più di cinque mesi…

E no…

Non aveva più ritenuto opportuno sposarsi.

Sposarvi…

Si, sono tornato in Francia perché mio padre vuole che trovi una moglie.

Quindi siete andato a Troyes…

Per incontrare una giovane donna inglese, Miss Diesel. Viene da una buona famiglia e a mio padre a casa piacerà!

Miss Diesel è bella?

Sembra di sì…

E la sua indole? I suoi gusti, la sua educazione?

Non lo so, non l'ho ancora incontrata…

Sposereste una donna senza nemmeno essere innamorato di lei, Fersen!?

E allora…voi Oscar…vi sposereste solo se foste innamorata!?

Che dialogo assurdo!

Quello scambio tagliente proprio con colei che adesso stava lì, davanti a lui, fradicia di pioggia.

Era stata lei ad averglielo rimproverato.

Era stata lei ad aver sollevato il dubbio che non ci si potesse sposare se non amando…

Anche se poi, nemmeno lei aveva risposto.

Che, dunque, per entrambi i sentimenti fossero, alla fine, pregio immancabile su cui fondare un contratto di matrimonio?!

Che dunque il semplice contratto di matrimonio fosse di per sé definizione abominevole da applicare alla coscienza ed al cuore degli esseri umani!?

Dunque…

Aveva disatteso gli ordini del padre.

Aveva giurato che non si sarebbe più sposato, né aveva più cercato una moglie.

Anche se aveva continuato a corteggiare dame, tessere rapporti sociali, armeggiare entro origami politici, decantare bianchi incarnati e seni prosperosi, risate lievi e finti svenimenti.

E quel giorno era mercoledì…

Sapeva che Sua Maestà sarebbe stata impegnata fin oltre l'ora di cena.

Dopo…

Era prossimo a prepararsi.

Il vestito scuro appeso al manichino, stirato a dovere. Nessun vezzo, nessun orpello.

Sarebbe stato un incontro galante, nulla avrebbe tradito i gesti del corteggiamento, della ricerca d'aggraziate moine a colpire i sensi della dama e far così bella figura.

Nulla in quell'incontro sarebbe stato come in un qualsiasi altro incontro tra un uomo ed una donna.

Nessun sciocca galanteria…

Nessuna conversazione…

Tutto si sarebbe svolto in maniera più che discreta e gli amanti si sarebbero fatti bastare il tempo dei propri respiri, il ritmo del cuore, il senso della pelle sfiorata e trattenuta, così da imprimersi ancora sull'altro ed imprimere su di sé il senso dell'altro, per portare con sé, una volta che si fossero lasciati, il ricordo dell'altro.

Unicamente quello si sarebbero fatti bastare, almeno fino al prossimo incontro, così che il tempo sarebbe scorso in fretta e l'abbraccio fugace si sarebbe sciolto meno penosamente.

Nessun futuro…

Nessuna aspettativa…

Nessuna speranza.

Nessun rimedio allo strazio della separazione ed all'impossibilità di mutare il proprio amarissimo destino.

Da altro punto di vista, tutto sarebbe parso oltremodo eccitante.

Nessun impegno, nessuna promessa.

Che i grandi amori, quelli che magari si pensa conducano verso l'eternità, ben possono divenire peggio d'una prigione.

Stanze in cui guerreggiare, fingendo d'amarsi e giardini ove perdersi, fingendo di tradirsi.

L'amore era stata la migliore invenzione dell'uomo.

La migliore finzione a cui ci si sarebbe potuti appellare.

Per vincere un avversario, conquistare una sottana, strangolare un amante, affogare un figlio.

L'amore…

Che esso rende ciechi e sordi e gli amanti non vedono che il presente e non sentono che parole vicine alle orecchie…

Il passato colpisce e strugge e giustifica.

Il futuro non ha volto…

Il presente…

"Tutto rimandato…".

Il verdetto uscì dolente, senza possibilità d'appello, dalla bocca dell'improvvisato ambasciatore.

Un amante non ha alcun diritto.

Può solo sperare in un destino clemente, in un amico sincero, in una notte di pioggia che induce a desistere.

Un amante…

"Alla prossima settimana…".

Oscar François de Jarjayes scandì le parole asciutte, tono d'arida commiserazione che avrebbe potuto tradire una nota di mestizia ma no, il volto scuro e fermo rivelava un vago disprezzo, una pietà che non avrebbe rincuorato nessuno, forse solo un istante d'incertezza nello sguardo, indotto non tanto da colui a cui aveva recato il messaggio, quanto dall'immagine della regina ch'era scoppiata in lacrime per via della pesante richiesta ch'era stata costretta a sottoporre al Colonnello delle Guardie Reali.

Siete l'unica di cui mi posso fidare Oscar…

Fareste una cosa per me?

Siete l'unica a cui posso affidare questa richiesta…

Dovreste dirgli…

In segreto…

Che non posso vederlo…

Questa sera dovrò essere al fianco di Sua Maestà per ricevere un ambasciatore di non so quale paese…

Per favore…

Ditegli di perdonarmi…

Ditemi di sì Oscar…

Altrimenti non potrò più guardarvi in volto…

La scelta caduta s'una donna al pensiero che quella donna avrebbe potuto comprendere, essere solidale, accogliere la richiesta senza giudicarla.

Mai quella donna, il Colonnello delle Guardie Reali al servizio dei sovrani di Francia, mai avrebbe tradito Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.

Ma quella donna pareva non aver compreso, seppure aveva accolto la richiesta.

Sollevate il viso Maestà…

Come potrei negarvi questa richiesta?

Dunque questo era l'amore?

Mutamento d'animo che conduce alla disperazione…

Improvviso vuoto incolmabile che travolge ogni parte di sé…

Gioco di sguardi e movenze che colmano la noia quotidiana…

Oscar François de Jarjayes aveva iniziato a prendere coscienza dell'amore, attraverso l'amore di altri.

Un amore impossibile e dunque ancora più misterioso e straziante.

Un amore nutrito da fugaci incontri.

Il tempo della separazione mordeva gli istanti, uno dopo l'altro, rintocchi via via sempre più fondi e dolorosi.

Il tempo della separazione dettava il tempo dell'unione.

Non il contrario…

Il Conte di Fersen, destinatario della notizia, comprese, evitò di chiedere altre spiegazioni, che gli sarebbe stato dunque risparmiato d'attendere invano, sotto la pioggia, nel luogo convenuto, nascosto dalla florida e geometrica alberatura degl'immensi giardini della reggia, in prossimità dei cancelli che aprivano la via al Petit Trianon, col rischio, oltretutto, d'essere scoperto.

Non vi erano parole a descrivere il senso d'abbandono che scorse nello sguardo.

Che il conte avrebbe preferito di gran lunga attendere sotto la pioggia, ore ed ore, pur di godere d'un solo istante in più da colmare col senso dell'attesa, quella che precede l'incontro, e d'un altro istante ancora, quello della consapevolezza del prossimo incontro.

Solo l'attesa diveniva tempo capace di colmare il vuoto dell'attesa che avrebbe preceduto l'incontro ed il vuoto che ad esso sarebbe seguito.

La consapevolezza che quell'incontro non ci sarebbe stato mai…

Un amante dovrebbe saper comprendere al volo.

Il conte intuì che l'altra sapeva tutto ed era stata scelta perché persona fidata, incapace di disattendere la richiesta o peggio ancora tradirla.

Il conte s'immaginò che l'altra avesse compreso, perché anche l'altra era una donna e chi meglio d'una donna avrebbe potuto accogliere il senso d'un amore impossibile!?

Il conte osservò il volto dell'altra, fradicio.

Non scorse nessun particolare moto di comprensione.

Diluviava…

Un guizzo, l'invito ad evitare di riprendere la corsa…

"Restate…non potete rientrare con questa pioggia…".

Fece un passo il conte, di contro alle dita dell'altra che strinsero le redini a spiegare l'inconscio rifiuto.

Impalpabile istante…

Diluviava…

Oscar François de Jarjayes intuì una strana contrazione in fondo alle viscere, un sobbalzo del cuore che mai aveva accusato, se non dopo un allenamento estenuante o una corsa a perdifiato.

Scazzottate negli ultimi tempi non ne aveva più inscenate.

Si domandò che diavolo poteva essere quel moto insano e stupido che saliva dal petto e che torturava il respiro e che portava incoscientemente ad ammirare la pacatezza dell'altro, la silenziosa rassegnazione, ed al tempo stesso a disprezzarle.

Oscar François de Jarjayes disprezzava il Conte Hans Axel von Fersen, che si era innamorato della Regina Maria Antonietta.

Non disprezzava Sua Maestà, ch'era andata in sposa a quattordici anni ad un giovane e goffo Delfino, verso cui aveva manifestato un sincero affetto ma nulla più.

Un marito scelto da altri. Una regola usuale del tempo, nessuno mai aveva osato sottrarsi ad essa e nessuno aveva mai dubitato ch'essa fosse la sola regola da seguire per orientare la scelta del marito o della moglie tra le famiglie nobili.

Preservare il blasone…

Perpetrare la razza…

Non disperdere il patrimonio.

Rinsaldare l'alleanza tra due paesi in lotta da secoli ed appena riappacificati.

A quello servivano i matrimoni e dunque Sua Maestà non aveva colpa se la sua vita era finita rinchiusa in uno scrigno dorato, privo d'aria e sentimenti, offerto s'un piatto d'argento all'altro paese, all'altro sovrano, all'altro popolo, in cambio della pace.

Ben avrebbe potuto dunque sacrificarsi l'animo e la mente ed il corpo d'una principessa – che in fondo le principesse nascono anche per questo – per mettere a tacere cannoni e screzi diplomatici.

Ma il cuore…

Il cuore no!

Ma l'amore…

L'amore non sarebbe stato adeguato a determinare l'unione dei sessi e dei patrimoni.

L'amore incanta e disorienta ed è sfuggente, dunque impossibile costruir case salde sulle sue mobili fondamenta, fondare trattati di pace.

Al più l'amore può vezzeggiare, accarezzare i sensi in qualche lurida stamberga di Parigi.

Al più l'amore può nutrirsi dell'abbraccio grasso e sudato d'una qualche giovane prostituta della città…

E dunque il Colonnello Oscar François de Jarjayes disprezzava Fersen che, al contrario, aveva scelto di amare una regina, finendo così col mettere a rischio la purezza e la rispettabilità proprio di colei che lui sosteneva di amare.

Addirittura l'alleanza tra i due paesi.

Disprezzava Fersen, eppure…

Un moto di tiepido orgoglio sobbalzò nel cuore…

L'amore…

Che amore era quello?

Se persino lei gliel'aveva rimproverato all'altro, che non vi potesse essere unione senza amore, come poteva ora, di fronte ad esso disprezzarne in maniera così fonda e ruvida i contorni slabbrati e stanchi!?

Sposereste una donna senza nemmeno essere innamorato di lei, Fersen?!

E l'altro…

L'altro gliel'aveva ribattuto se anche lei avrebbe avuto mai quell'assurdo coraggio!

Dunque era l'amore che complicava la vita, distruggeva l'onorabilità, incrinava la fiducia del popolo, ridicolizzava l'effige della sovrana?!

E rendeva sciocchi e goffi gli uomini?

Contratti, indecisi…

Che amore era quello!?

Ammetteva però che se l'amore, quell'amore, era stato capace di sfidare convenzioni e rango e un matrimonio regale…

Se quell'amore, nonostante tutto, non s'era piegato ed anzi, per ogni giorno di separazione e di lontananza, era divenuto sempre più fondo ed intenso…

Dunque esisteva un solo amore o ve n'era uno distinto per ogni distinto amante?!

Non comprendeva Oscar François de Jarjayes. O forse era tutto molto semplice e banale e lieve.

E allora s'era tutto semplice, il fatto di non riuscire a comprendere scherniva ancora di più i suoi sensi, abituati sin da giovane a non adattarsi alla visione ovvia, a scardinare le convenzioni, ad indagare l'animo umano, per nessun altro motivo che compiere in maniera egregia il proprio dovere.

La vita e l'anima spese per l'onore del casato dei Jarjayes.

Ed ancora più fonda era la smania oscura di non comprenderlo quell'amore, essendo lei una donna!

Come poteva una donna non comprendere che diavolo fosse l'amore!?

Non lo comprendeva e da un po' di tempo aveva cominciato ad impazzire dietro allo strano gioco di forze che s'agitava nella testa.

I pensieri sempre più spesso orientati al conte, gli occhi a cogliere lo sguardo dell'altro, non vista, i passi diretti nella direzione dell'altro, a distanza però, che l'altro non si fosse accorto di lei e lei avesse così avuto tempo e modo di studiarlo e comprenderlo.

Disprezzava il Conte di Fersen, il Colonnello Oscar François de Jarjayes…

Perché l'altro aveva preso a ghermire i sensi, disorientare gl'intendimenti, comparirle davanti anche quando non era lì e ad imporre d'allontanarsi, stare a distanza, quando l'altro si fosse avvicinato.

Nulla seguiva più il senso della ragione ma un altro senso, suadente e beffardo, irriverente e splendido, dello splendore angusto e ridicolo di ciò ch'è incomprensibile.

Sopraffatta e disorientata…

Stremata e disgraziatamente consapevole d'essere colpevole di ciò che la ragione non afferrava ma che il cuore aveva forse già inteso.

S'era concessa, prima di giungere fin lì, d'attardarsi a riflettere, parlare a se stessa, sola, le spalle accarezzate dal vento che gonfiava nuvole cariche di pioggia e ricamava, ondeggiando intenso, mobili geometrie sul manto d'erba e sull'acqua calma del fiume e piegava le fronde e agitava l'animo, piegato anch'esso dal ferreo intento di non cedere alla follia d'un amore non corrisposto…

Il proprio per il Conte di Fersen…

Aveva sussurrato a se stessa oscure parole…

Le stesse che rimbombavano nella testa da giorni.

Sembra tormentato qualsiasi cosa faccia…

E non può fare nulla per ciò che sta accadendo.

Com'è stato possibile cadere in un amore così doloroso!?

Cosa può esserci di così doloroso nell'amare e nell'essere amati!?

Ci sono molti amanti che non potranno mai confessarlo…

André…

Parole ch'erano uscite dalla bocca di André.

André che parlava di amanti, come fosse stato un amante qualunque…

Rammentò che s'era voltata e l'aveva squadrato, André.

Che diavolo gl'importava a lui di ciò che accadeva a Fersen?

Che ne sapeva lui, André, di cosa avesse significato non poter confessare il proprio amore!?

E per metter fine a quelle assurde congetture s'era calata nel ruolo che le competeva.

Allenarsi fino allo sfinimento, illudersi di respingere famigerati complotti contro la famiglia reale, maldicenze, attentati…

Che però sarebbe stato impossibile usare l'acciaio per fendere e stracciare le lingue affilate, le colate d'insinuazioni…

Se l'avesse avuta di fronte a sé, avrebbe detto ciò che pensava davvero alla sua regina, di non dimenticare mai che lei era la Regina, la madre della Francia.

Di non dimenticare il ruolo che il destino le aveva riservato…

Un onore ed un dovere servire la Francia!

Che così dunque aveva sempre ragionato Oscar François de Jarjayes.

Il ruolo ed il destino.

L'onore e le regole.

Che però, lì, sul ciglio del fiume, il vento alle spalle…

Quel destino e quell'onore s'erano mescolati a lacrime impossibili da tenere in gola.

Aveva compreso la sofferenza di Maria Antonietta…

Aveva compreso la forza d'un amore impossibile…

Aveva ammesso che lei, Oscar François de Jarjayes, era una donna.

Inevitabilmente e senza scampo, una donna che…

Fermati Oscar!

Che cosa potresti mai dire di due amanti che si amano l'un l'altro?

Ci sono molti amanti che non potranno mai confessarlo…

Le dannate parole di André…

Che André sapesse davvero ciò che tormentava il cuore del Conte di Fersen?

Che gl'importava?

Dunque lei disprezzava Fersen…

Non perché l'altro erodeva ogni giorno la dignità ed rispetto della regina verso il suo popolo ma perché lei stessa aveva compreso…

Disprezzava Fersen che amava un'altra donna.

Disprezzava Fersen che non amava lei e non avrebbe mai potuto amarla.

Fersen erodeva la certezza di ciò che era, il senso del dovere, la perfetta sintesi tra onore e rispetto.

Fersen erodeva la corazza, stracciava l'uniforme…

Dunque lei s'era ritrovata improvvisamente donna – che poi lo era sempre stata e l'aveva sempre saputo, seppur donna capace di bastare a se stessa, come vanto, come scudo, immolata al culto dell'onore e del destino scelto da altri…

Essere una donna…

Capace di sentire come una donna…

Essere donna…

Esistere come tale…

Solo, un gradino più in basso.

Essere donna non amata e non avere nessuna speranza.

Essere donna…

E ritrovarsi con le spalle al muro…

Dissonanza acuta…

Disprezzava Fersen perché in realtà l'amava.

Restate…

L'invito rimbombò nella testa, le tempie pulsavano, la faccia fradicia, ancora un poco e non avrebbe più visto il sentiero.

Che stava accadendo…

Il galoppo affannato e disperato…

Il cuore in pezzi, senza un'apparente ragione, solo perché l'altro l'aveva invitata a restare.

Se l'avesse fatto…

Sollevò gli occhi per distinguere la strada inondata d'acqua dal ciglio erboso ed insidioso.

Lo scarto della zampa del cavallo s'una pozza…

La schiena s'irrigidì per mantenere la postura e non rischiare di finire a terra, le gambe si strinsero al corpo dell'animale.

Se fosse caduta quello le sarebbe finito addosso schiacciandola…

Rialzò gli occhi…

I capelli appiccicati alla fronte bagnata…

S'accorse, poco più avanti, d'una figura che avanzava contro di lei.

Perchè diavolo era lì?

Come faceva a saperlo?!

S'era ben guardata dal rivelare la richiesta della regina…

Non avrebbe mai tradito la fiducia di Sua Maestà.

O forse, più semplicemente, non voleva che André sapesse.

Di quella visita, di quel messaggio da recapitare a voce perché nulla di scritto potesse compromettere l'onore di Maria Antonietta.

Anche se Andrè mai avrebbe messo in pericolo l'onore di Sua Maestà…

E dunque…

Dunque c'era che forse era lei a non aver avuto coraggio d'informare André di quell'incontro, che l'altro sarebbe stato capace d'indagare lei, guardandola in faccia, seppur lei fosse stata di spalle, perché sì, lui ne sarebbe stato capace di scoprirla e comprenderla, forse persino dalla posa un poco più curva delle spalle…

Come avrebbe potuto spiegare?

No…

Non era neppure quello…

Una sola parola di quella faccenda e André che non aveva mai mancato di guardarla in faccia…

André avrebbe compreso.

Ch'era stato André ad accennare ai fantomatici amanti…

Certo, tanto per parlare.

Dunque era stata attenta.

O almeno, nella testa, s'era immaginata d'essersi sforzata di farlo…

Oppure era impossibile nascondere certi pensieri!?

Eppure André adesso era là.

Davanti a lei, il cavallo in corsa sotto la pioggia.

Fradicio, aveva portato con sé un mantello perché forse aveva osservato il cielo, aveva intuito ch'esso minacciava pioggia.

Era uscito e le era venuto incontro.

Come aveva fatto a comprendere che lei era andata a casa del Conte di Fersen? E non da altri?!

E come avrebbe potuto immaginare che, con quella pioggia, il conte non l'avrebbe invitata a trattenersi e lei no, lei avrebbe declinato l'invito, per rimettersi in marcia!?

S'incrociarono in corsa…

Oscar si voltò per osservare l'altro che proseguiva e poi arrestava il cavallo e riprendeva il sentiero per ricomporre il passo dei cavalli.

Anche lei trattenne l'animale, rallentando l'andatura, imponendosi d'accogliere la sortita dell'altro.

Gli sorrise…

Un debole ringraziamento…

Incomprensibile l'intuito dell'altro, se non che tutt'e due non s'erano mai dovuti spiegare nulla.

O forse André aveva a tal punto raffinato la propria capacità d'anticipare gli ordini, i desideri, gl'intendimenti, che dunque gli riusciva naturale e quasi inevitabile.

Un abbraccio discreto…

Erano sempre stati abili a cavalcare assieme, lui un passo dietro a lei ma quando fosse stato necessario, un passo accanto…

Il mantello gettato addosso.

Un abbraccio silenzioso…

Si lasciò abbracciare.

All'improvviso, il fradicio della pioggia, nonostante fosse ormai primavera inoltrata, parve raggomitolarsi e dissolversi, accarezzato e poi avvolto dal tepore del corpo dell'altro, accaldato dalla corsa, a ricoprire quello di lei, quasi si fosse riversato su di lei non un mantello di stoffa ma un manto intiepidito appena scostato dal fuoco, adagiato sui muscoli, a respingere il freddo e restituire ad essi il senso di sé.

Pochi istanti…

Il tempo d'ascoltare la stretta lieve e discreta, forse anche una mano che accarezzava la spalla, forse per scaldarla e scacciare il freddo…

Il contatto rinfrancò e disorientò.

Come aveva fatto André a comprendere?!

Se lo chiese, mentre, muta, entrava a piedi nelle scuderie, lui che non la guardava ma afferrava le redini per andare a gestirle alla solita maniera.

Il sottopancia slacciato, il morso sfilato con delicatezza…

I cavalli presero a scrollarsi.

Erano fradici…

Fremevano in attesa d'esser strigliati.

In attesa di ricevere cure e carezze.

E lei se ne stava lì, muta, nemmeno fosse stata uno di loro.

E di nuovo il disprezzo crebbe.

Non era da lei, non era bene essere così deboli.

No, non avrebbe accettato nulla, né una carezza, né una parola.

L'abbraccio di pochi istanti prima riemerse solo per suscitare un moto di disprezzo.

Il chiarore della saetta s'insinuò fugace attraverso le finestre e la porta semichiusa, tratteggiando vaghi contorni ed ombre guizzanti.

Oscar osservò André ammansire gli animali un poco spaventati dalla luce e dal rombo ch'era seguito, passare la mano sul collo tornito, scostare la criniera per asciugare il manto.

Quel palmo lieve capace d'esser forte…

Non vedi nulla, ascolti solo il sordo rimbombare del cuore, le parole di Fersen nelle orecchie…

Restate…

Per un istante, solo un istante, le dita s'erano strette alle redini.

Per un istante, solo un istante, il corpo aveva tremato, cogliendo il salto del cuore che avrebbe voluto cedere, conducendo i muscoli ad accogliere l'invito, scendere da cavallo, entrare nella casa del conte, restare a conversare con lui, a scaldarsi davanti al fuoco, assaggiando un tepore nuovo, diverso, una concessione che mai aveva attraversato i sensi prima di allora.

Le parole sarebbero uscite lievi e guardinghe ma almeno l'avrebbe osservato l'altro, lontano dal riverbero ossessivo e beffardo delle fredde superfici vitree ove si specchiavano da sempre i passi dell'uno e quelli dell'altra, gl'inchini e gli ossequi dell'uno ai cenni della donna che il conte amava.

La radiosa Galleria degli Specchi, assumeva, alle volte, lo stesso calibro oscuro d'una stanza delle torture.

Uno sguardo, sapientemente occultato, non sarebbe passato inosservato a chi si fosse collocato nella posizione giusta, nell'angolazione perfetta per scorgerlo - replicato mille volte dalle superfici lisce e splendenti - e dunque scovato anche laddove il malcapitato avesse fatto di tutto per mantenere contegno e riservatezza.

La dannata sala amplificava e scindeva ogni respiro…

Impossibile dunque attardarsi ad osservare il volto di qualcuno.

Là dentro si sarebbe stati colti in fallo e nemmeno si sarebbe compreso da chi.

Invece nella casa del conte tutto sarebbe stato oltremodo discreto.

Oscar si contrasse mentre rammentava lo scatto del corpo, lo sdegno con cui aveva scrutato l'altro, di contro al sangue caldo che l'aveva attraversata, raggelato dalla corsa sotto la pioggia.

Se si fosse trattenuta, il conte avrebbe potuto comprendere, intuire l'affetto.

Meglio dunque aver riservato sdegnato disprezzo, sobrio pietismo, piuttosto che rischiare la corruzione dei ruoli.

"Stai bene?!".

Lo sguardo si sollevò. André stava davanti a lei, la guardava adesso, pareva davvero esser in grado di leggerle dentro, così che lei fu costretta ad indietreggiare, a scostare il viso.

"Si…".

"Sai…mia nonna era preoccupata per te, così m'ha spedito a cercarti…".

"Davvero…tua nonna…" – poche sillabe sgusciate da labbra mezze sigillate.

Oscar ammise che la risposta era credibile. Nanny, con quella pioggia scrosciante, s'era di certo messa a piangere, presa da una crisi di nervi e così il nipote, che lei gliel'avesse chiesto o meno, s'era deciso ad uscire per raggiungere la sconsiderata padrona.

Sì, restava però senza risposta la domanda più importante.

Come aveva fatto André a scegliere la strada che conduceva al palazzo dove abitava Fersen?!

André la prevenne.

Lei sussultò alla spiegazione.

"Conosco ciò che sta accadendo tra Fersen e Sua Maestà…" – ammise calmo, senza tradire assunti melliflui o compromettenti – "La regina ti ha fatto chiamare…poi te ne sei andata senza dirmi nulla…ho immaginato che fosse per via di Fersen…la regina si fida di te…ho pensato ti avesse affidato un messaggio per lui che non dovesse passare per altre bocche che la tua…oggi è mercoledì…".

Un respiro…

Mercredi, 20 mai 1778…

"Hai pensato bene…" – roca, quasi cinica, fu l'ammissione che l'altro aveva colto nel segno.

Istintiva ed incontrollata sgorgò la sensazione d'inquietudine, come se un poco le fosse dispiaciuto che il ragionamento dell'altro si fosse fondato sul semplice fatto che quel giorno era mercoledì.

Un po' le dispiacque d'esser così trasparente e prevedibile, ma alla fine poi non troppo.

"Ho detto a mia nonna di prepararti una cioccolata calda. Qui finisco io. Vai…sono sicuro che ti ha già messo una camicia pulita accanto al fuoco! Non vorrai ammalarti…".

"No…certo…grazie…" – balbettio stentato – "E tu…".

"Verrò più tardi… devo provvedere ai cavalli…oggi li abbiamo maltrattati a sufficienza…".

Si sorprese ad ammettere che André era stato bravo, la conosceva bene.

Ma non così bene.

Ammise che se André s'era dato quella spiegazione, nulla di sé e dell'insulsa e sgraziata incapacità di comprendere ciò che provava verso il conte, doveva esser trapelato, nemmeno a lui che le era sempre stato accanto e che la conosceva bene.

E non era poi così bravo!

Non s'era spinto a spiegarle perché lui era così certo che l'avrebbe incrociata sulla strada del ritorno. Non si era azzardato ad addentrarsi nell'oscurità del rifiuto che lei aveva opposto all'invito di Fersen a restare.

O forse davvero André sapeva già tutto…

E la conosceva talmente bene che sapeva già che lei avrebbe rifiutato…

Si concesse dunque solo uno sguardo, mentre usciva, alle spalle dell'altro, alle vigorose spazzolate che André aveva preso a dare al manto del cavallo, gesto intenso ma lieve, il manto fradicio rinvigorito a poco a poco, fremente d'intenso piacere.

Crebbe la stizza alla visione del gesto.

Crebbe la rabbia di sé nell'essersi attardata ad osservare un gesto insulso, uguale a quelli che aveva visto migliaia di volte nella sua vita.

Quel gesto catturò, o forse…

E' tutto?

Tutto ciò che immagini di me?

O forse…

Un respiro…

Il chiarore fulmineo dell'ennesima saetta illuminò le ombre statiche delle assi delle pareti ed i grovigli di finimenti penzolanti da chiodi e ganci, covi di morbido fieno…

Forse sai altro?

Sì, forse André sapeva altro...

Si voltò André, sentendosi osservato, la guardò, s'immaginò che lei fosse rimasta lì per essere interrogata, solo con lo sguardo, perché fossero altri ad indovinare e a cavarle dalla gola quell'insana verità.

"Oscar…c'è altro?".

C'è altro che vorresti dirmi?!

Che vorresti confessare a me o forse a te stessa?!

Perché sappi che io non potrei mai rivelarti nulla…

Di ciò che senti….

Non spetta a me farlo.

E non hai il diritto di chiedermi d'illuminare la tua mente su ciò che senti…

Non questo!

Dimentica Fersen…

Dimenticalo!

Non voglio che pensi più a lui!

"No…scusa…io vado…".

La porta si richiuse, un tonfo sordo perduto nel chiarore dell'ultimo bagliore smorto, il temporale proseguiva il suo corso, allontanandosi.

La corrente d'aria fredda alitò qualche istante, mescolandosi al tepore della scuderia, scorrendo sulle dita ch'erano rimaste ferme, immobili ai finimenti appena riposti.

André s'inchinò ad osservare una zampa del cavallo.

Massaggiò l'articolazione dello stinco sinistro...

Una mezza imprecazione, vai a capire se per via della zampa o per colpa di quella specie di scontro muto che s'era consumato pochi istanti prima.

O peggio ancora…

La rabbia riemersa, mescolata a paura e gelosia.

Che Oscar fosse finita a casa del Conte di Fersen era stata congettura facile da realizzare.

Che lei sarebbe tornata indietro, senza accettare lo scontato invito del conte a restare…

Il cuore aveva ripreso a battere solo quando l'aveva vista spuntare dal sentiero…

Il cuore…

Appeso al nulla.

Quella era la sua vita.

André, riprese le redini. Pochi gesti a sellare di nuovo il proprio cavallo.

Si tirò su il bavero della giacca, il mantello ancora fradicio buttato sulle spalle.

L'aria ridivenne fredda e umida…

L'ennesimo chiarore istantaneo illuminò nuovamente la paglia asciutta…

Il tonfo del portone…

Al diavolo…

§§§

Le dita accarezzarono il vestito scuro ancora adagiato sul manichino.

Un gesto di stizza, l'abito afferrato con furia e gettato sul letto, le dita a slacciare i lacci della camicia, a scalzare calzoni e brache…

La mente immersa nella visione dell'impotenza.

Se stesso schiacciato dalla vita dell'altra, Sua Maestà la Regina Maria Antonietta e adesso anche dalla vita di un'altra donna ancora che, pochi istanti prima, l'aveva guardato con disprezzo e commiserazione.

Sì, questo ci aveva letto il Conte di Fersen nello sguardo di Oscar François de Jarjayes.

Come non darle torto?!

Le dita si bloccarono, per consentire al cameriere d'aggiustare colletto e bottoni e polsini.

Lì, negli istanti di forzata immobilità, ammise che avrebbe preferito dunque attendere sotto la pioggia, là, sul limitare dei cancelli che aprivano la strada verso il Trianon, là, al buio.

Mille volte avrebbe preferito attendere e non vedere arrivare nessuno, piuttosto ch'esser lì, nel buio della propria stanza, trafitto dalla devastante certezza che non avrebbe davvero incontrato nessuno.

Ammise poi, con inusitato e sorprendente cinismo, che se l'altra fosse rimasta, lui, il Conte Hans Axel di Fersen non si sarebbe visto costretto ad uscire comunque dalla propria casa, dalla propria infernale e devastante solitudine, per ficcarsi nelle braccia morbose e grasse e calde di Parigi, solida amante lasciva, capace di catturare viandanti e parigini tra le sue vie lerce ed ammorbate di piscio ed escrementi.

Un respiro fondo…

Gli ultimi vezzi, un fazzoletto ricamato e profumato nel taschino, le monete in tasca…

"Il signor conte rientrerà?" – chiese il domestico.

Negò, il signor conte…

§§§

"Sua Maestà la Regina s'è appena ritirata nelle sue stanze…le dame di compagnia sono con lei…i ministri…alcuni hanno preferito parimenti ritirarsi…" – spiegò il soldato sull'attenti, la faccia un poco umida di pioggia.

"Immagino…e Sua Maestà il Re…" – chiese l'ufficiale osservando i giardini inondati di pioggia.

"Sua Maestà s'intratterrà ancora per qualche tempo con l'ospite…l'ambasciatore…pare si siano ritirati nel laboratorio di fisica…".

La visione indusse un sorriso tirato.

"Il nostro signore non ha mai nascosto la sua ammirazione per le arti…a quanto pare le dimostrazioni di quell'uomo devono averlo favorevolmente colpito…".

"Sì, e se si considera che quello è giunto in Francia per invocare l'aiuto del re…".

"Non solo militare immagino! Credo che otterrà ben più di tre o quattro guarnigioni di soldati da spedire nelle nuove terre!"

L'uomo s'arrestò, la mano passò tra i capelli lunghi e sciolti, umidi ma non disordinati, liberi, che a lui non piaceva legarli, com'era uso a quel tempo.

E nemmeno acconciarli in arzigogolati boccoli o peggio ancora ficcarli sotto un'incipriata parrucca.

L'uomo era cadetto della sua famiglia…

Aveva avanti a sé una brillante carriera militare tra mura istoriate di marmi ed arazzi e velluti nella reggia più sontuosa mai conosciuta al mondo. Forse solo in Oriente ci si sarebbe potuto imbattere in un luogo altrettanto ricco e raffinato. Ma in Oriente non si sarebbe mai potuto aspirare alla cultura ed alla supremazia dei francesi ch'eccellevano in tutte le arti, prima fra tutte quella di governare.

L'uomo credeva nel suo re, nel suo rango, nel suo onore…

Credeva d'esser stato prescelto e predestinato per quell'incarico.

Servire i reali di Francia.

Non però nel grado più alto.

Solo un gradino più in basso.

Lì, nel gradino più basso, sulle prime gli era presa una stizza non da poco a ritrovarsi lì, lui, uomo, seppur cadetto…

Ma lì, nel gradino più in basso, s'era reso conto sarebbe stato più facile servire lei…

"Il Colonnello Jarjayes?" – chiese l'uomo

"Ha lasciato la reggia prima dell'ingresso dell'ambasciatore Franklin. Non è ancora tornato. Comunque ha lasciato detto che se avesse tardato voi potevate ritirarvi. Non sono previsti servizi di ronda questa notte. Diluvia…".

Il Tenente Victor Clement de Girodel osservò la coltre cupa del giardino sontuosamente fradicio dalla pioggia fina e fredda, ancora più buio, privo delle luminarie che solitamente venivano accese nelle ore notturne, sul finire della primavera, per condurre i passi dei reali che avessero voluto compiere una passeggiata assieme alla corte o ad ospiti particolarmente importanti.

Oppure per orientare i passi degli amanti…

Era mercoledì in effetti ma evidentemente per quel giorno altri incontri importanti alla reggia non ce ne sarebbero stati.

Così aveva stabilito, seppur a mezzo dell'ordine indiretto, il Colonnello Oscar François de Jarjayes.

Lì, gli occhi ficcati alla coltre scura del giardino…

Dalla visione oscura riemerse il volto dell'altra.

Rammentò la stizza quando aveva saputo che per ottenere il posto di Comandante delle Guardie Reali avrebbe dovuto battersi in duello con lei.

Siccome Victor Clement de Girodel aveva stabilito che quell'incarico era già suo, gli era parsa un'assurdità – persino poco onorevole - pagare lo scotto di duellare davanti ad un pubblico, davanti al Re, che Luigi XV voleva almeno vedere con i suoi occhi chi fosse più bravo, con una donna…

Dannazione…

Strano modo di diventare Capitano delle Guardie Reali!

Aveva immaginato sarebbe stato facile battere una donna.

Facile ma non onorevole…

L'onore…

Aveva stabilito che non avrebbe forzato gli affondi, avrebbe caricato con parsimonia i montanti, avrebbe evitato di ferirla al viso e all'orgoglio.

Chissà che razza d'orgoglio doveva aver mai quella…

Non s'era soffermato neppure un istante a pensare all'altra.

Per lui contava solo aver sentito dire in giro ch'era graziosa, bella addirittura…

Poi però, inaspettatamente e contro ogni ordine stabilito dal re in persona, quella se l'era ritrovata davanti, altezzosa e cinica come sanno esserlo i rampolli di buona famiglia.

Arrogante al punto da sfidarlo, lui, da solo, sulla via per Versailles, che quella aveva sputato di non avere aspirazione a nessun titolo di Comandante.

Dunque quella, oltre che graziosa era pure intelligente…

Che forse quella s'era immaginata di finire a gambe all'aria, visione di certo assai disonorevole per una donna…

Forse s'era presa paura…

Ch'esser battuta davanti a tanta gente non avrebbe fatto piacere a nessuno!

Victor Girodel ci aveva provato a rassicurarla e a redarguirla al tempo stesso!

Ch'era bella…

Ch'era una donna…

E che lui era un gentiluomo e non sarebbe stato appropriato per lui battersi con una donna…

E vincerla…

E quella no, gli aveva piantato la punta della spada in faccia e l'aveva sfidato…

Perché – aveva detto – non le interessava quell'incarico ma non rinunciava per paura e dunque quella sfida sarebbe stata l'unico modo per dimostrarlo.

Strano modo di diventare Capitano delle Guardie Reali…

Quella gli era sgusciata dalla visuale, era indietreggiata, era finita di lato e poi di nuovo di fronte…

Secca ed inesorabile, la punta della spada aveva colto il bersaglio, esattamente come lo strano serpente dalla testa triangolare che lui aveva veduto chissà quando, un giorno, alla reggia, portato da chissà quale dignitario di chissà quale paese straniero.

Il manto squamoso, coriaceo…

L'affondo secco sulla povera vittima rimasta pressoché immobile dopo il morso.

Pochi passi…

Un altro scambio…

Un altro morso…

Nemmeno s'era reso conto che il duello era terminato…

Lui avvolto e stritolato nelle spire dell'altra.

Un respiro fondo…

L'uomo si mise i guanti aggiustandosi la sciabola al fianco.

Si diede di nuovo dell'idiota e del presuntuoso.

Per aver sottovalutato quella allora…

E per averla sottovalutata dopo…

Che di una così avrebbe anche potuto innamorarsi…

Ma una così…

Una mano tra i capelli, un sospiro, le dita corsero al colletto dell'uniforme, stranamente stretto e soffocante quella sera.

"Lascio a voi l'incarico di sorvegliare le stanze reali…io mi ritiro…".

Lo scatto dei tacchi dei sottoposti, sull'attenti…

"Tenente!".

Il saluto militare…

I passi s'allontanarono in direzione delle scuderie…

Era mercoledì sera…

§§§

L'abito adagiato sulla seggioletta, la stoffa dei braccioli, velluto stanco, sbiadito, macchiato, consumato dal tempo e dalle dita che l'avevano stretto e strofinato, per piacere o per rabbia.

Lo sguardo corse fugacemente alla stanza scura, alle assi del soffitto, annerite dal fumo delle candele e degl'incensi bruciati per offuscare i pensieri.

Ombre nere e polverose ricamate sui mobili e sui tendaggi.

Odore stantio di chiuso, abbarbicato alle evanescenti scie di perduti profumi, piegati come fiori recisi dalla lama fulgida e bieca di spudorati amplessi.

Pochi gesti…

Cordiali e freddi…

Nessun corteggiamento…

Quattro monete gettate con stizza in un piattino di porcellana, sull'angoletto più lontano del comò, lasciate prima del tempo, così d'accorciare i tempi ed esser certi che tutto si sarebbe consumato in fretta.

Fingere che di tempo ce ne fosse poco, quando in realtà sarebbe stato sempre troppo.

Quel tempo trasudava disprezzo di sé.

Si doveva fare in fretta per non dar tempo alla coscienza d'infierire.

Acquietare la smania…

Acquietare i sensi così da non perdere la ragione.

La massa bianca e tesa dei muscoli ben torniti e giovani prese ad ondeggiare, ritmicamente impegnata ad accedere allo spazio scuro ed evanescente dell'incoscienza, sublime dimensione indotta dall'orgasmo rubato e rabbioso.

Diluviava fuori…

Di nuovo…

L'udito impegnato a distinguere il suono della pioggia, infiltrata tra le gronde e i coppi e i camini e le fessure delle finestracce, a poco a poco si chiuse, riempito dal rimbombo del sangue che scorreva veloce ad innervare carne e vene, imponendo alle dita di stringere la presa, accanirsi e strapparsi di dosso lo strazio d'un amore senza speranza.

Che l'amore senza futuro è ciò che di più straziante la coscienza arrivi a concepire.

E allora non c'era niente di meglio che fingere di consumarlo in fretta e bene, quell'amore, o ciò che gli assomiglia di più, appagando almeno i sensi, dilaniando la coscienza, consentendo ad essa di sfuggire all'ignobile realtà.

Tutto fuso...

Grida roche e pioggia scrosciante…

Il respiro temprato e sensuale della dama tenuta stretta, invogliata dal tintinnio delle monete, soggiogata dal corpo giovane e bello, lusingata dai gesti lievi e cordiali da cui s'era fatta spogliare ed accarezzare quanto sarebbe bastato.

Senza profferire una parola, l'ospite aveva pungolato e stuzzicato i sensi ed il sesso, così da convincere la dama ad accogliere il contatto deliziosamente corretto e lieve.

La massa bianca si tese, implose il grido sgraziato e sghembo.

Ridicoli gli uomini a vederli mentre perdono il lume di sé, in balia del proprio orgasmo, indifesi e dannati.

Soffiò greve, nell'istante, la luce della saetta, l'ennesima, a squarciare il cielo buio, poche fumaiole di camini altolocati a riscaldare le stanze umide delle soffitte della città.

Soffiò il respiro a sputar fuori la stizza, lo sdegno mescolati allo squallido appagamento.

Che c'era di male poi…

Nulla…

Così andava il mondo e non aveva senso sottrarsi alle sue innate regole!

Il gesto veloce di scostare lenzuolo e coperta…

Un rantolo di disappunto…

Tutto era già finito e la stizza era ancora lì, assieme allo sdegno ed alla tiepida distensione dei muscoli.

Il calore dell'amplesso s'espanse disperdendosi assieme ai sentori sudati dei corpi…

Pochi passi verso un polveroso separé che con ironico pudore avrebbe consentito all'ospite di ripulirsi e orinare prima di ricongiungersi all'amante.

Pochi gesti, rimestare di tessuti ed imprecazioni discrete, che la brocca recava acqua gelata e le membra erano ancora morbidamente accaldate.

"Perdonate monsieur è fredda…ma siete arrivato all'improvviso…" – si schernì la dama adagiata sotto le coperte calde.

"Mademoiselle…ciò che avete elargito questa sera è stato più che sufficiente. Non starò certo a recriminare per un poco d'acqua fredda…e poi…non credo davvero che l'acqua gelata sia una vostra imperdonabile dimenticanza…una provocazione semmai…".

L'ospite s'asciugò velocemente il torso e i genitali, gettò via l'asciugamano freddo per ricacciarsi sotto la coltre tenuta in caldo dall'amante.

Rise quella, una risatina sciocca e fintamente permalosa, che dunque il trucchetto aveva avuto breve vita. L'acqua fredda era oltremodo miracolosa per certi aspetti, soprattutto ridurre il tempo d'un amante a riprendere vigore.

"Monsieur…siete un villano!" – sussurrò la dama fingendo di respingere il bacio dell'altro.

Che quello si spinse contro la guancia: "E voi siete davvero un'imprevedibile strega!".

Ridacchiò la donna…

Poi lo sguardo si fece serio…

"Si…l'acqua era calda fino ad un'ora fa poi…so che non giungete mai oltre un certo orario e so che non accade mai di mercoledì…".

"Mercoledì…mercoledì…giorno infausto della settimana! Mercoledì…giorno di mercato! Di mercoledì si vendono polli a Les Halles…".

"E fiori a Quai de L'Horloge!".

"E di notte…".

"Si vende amore…mon ami…" - sussurrò la dama, le dita accarezzavano suadenti la carne fredda e turgida – "Come tutte le notti…".

L'uomo rimase fermo, come inchiodato al tocco…

L'altra lo spinse indietro e si tirò su le coperte.

"Mercoledì…" – respirò piano l'uomo andando con la mente alla dannata giornata, sempre la stessa, d'ogni settimana, d'ogni mese ormai - "Mercoledì…".

Il suono ripetuto…

Le mani s'infossarono giù, sotto le coperte, le dita presero a stringere la testa della donna, i capelli, mentre la bocca dischiusa s'aprì ed il corpo si tese aprendosi al discreto incedere della bocca dell'altra, insistente e saggia a toccare la punta della carne, istigare di nuovo il sangue a rimbombare nella testa.

§§§

"Nanny…".

"Dimmi bambina…".

"André?".

"Oh…anch'io mi sono chiesta dove sia finito! L'ho mandato a cercare nella scuderia e m'hanno riferito…insomma…".

"Insomma?!".

"Manca il suo cavallo…dev'essere uscito quell'incosciente…".

"Uscito? Con questa pioggia!?".

"Oh beh…con questa pioggia! Senti chi parla! Voi mademoiselle mi avete davvero inquietato! Non vi si vedeva arrivare così ho detto ad André d'uscire…che quello poi aveva già sellato il cavallo…".

"André…".

"Come no! M'ha anticipato d'un soffio! Si vede che mi conosce bene! Sì proprio bene!".

Gli occhi davvero si ficcarono al buio di fuori, per intuire la sagoma dell'altro…

Che c'era andato a fare fuori a quell'ora…

Era buio…

Pioveva a dirotto…

Un fulmine, l'ennesimo, cadde squarciando il cielo, poco lontano.

Il ricamo chiaro condusse lo sguardo a scrutare il cielo su e poi ad osservare la sagoma violacea delle colline attorno, ridisegnate nel guizzo, screziate di pioppi e querce inondate e piegate dal vento.

Dove diavolo sei?