I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualche modo, fanno torto altrui, sono rei non solo del male che commettono, ma anche del pervertimento ancora cui portano l'animo degli offesi.
I Promessi Sposi
Alessandro Manzoni
E poi ancora di moela e grisetta blu, rossa e forse bianca…
Sopravvivere…
"E' davvero piccina".
"Però è perfetta!".
"A me non sembra" – l'occhiata a sbirciare nella culletta da lontano – "Sì…ha cinque dita per ogni mano e per ogni piede…ma…non si dice bene della sua sorte".
"Che dite…monsieur?!" – abbozzò stupore poi non tanto stupito, la dama che accompagnava il gentiluomo – "E' nata da pochi mesi…datele il tempo di farsi bella".
"Che volete farci! Dite bene! Da quando quello svedese è tornato in Francia, tutto potrebbe essere!".
"Siete disdicevole! Che c'entra adesso…quello svedese?!".
"Perdonate madame, che necessità c'era per i nostri sovrani d'avere un altro figlio – una femmina per di più – che nulla potrebbe aggiungere alla già nutrita discendenza che si ritrovano? L'unico difetto che vedo in questa creatura è appunto se sia davvero figlia del re – e vi par poco come difetto?! - perché a me non era parso che il nostro sovrano fosse intenzionato ad averne altri - di figli suoi s'intende - dunque questa potrebbe essere uscita da chissà quale incontro tra la nostra regina e…".
Una risatina sapientemente dispersa dallo sventolio di piume recise l'oscenità del dialogo, ch'era troppo pericoloso calarlo lì, nelle stanze ove riposava la piccola Maria Elena Sofia Beatrice di Borbone – Francia, inaspettata quarta figlia di Luigi e Maria Antonietta, quando ormai nessuno aveva più necessità di congiurare contro la regina per via della mancata discendenza, che di pargoli ve n'erano a sufficienza, e nessuno aveva ormai più in animo d'accudire altri mocciosi oltre quelli già nati e grandicelli.
"Però ne convengo, è davvero minuta e fragile. Dicono che non ce la farà mai!".
"Che volete che sia madame, a chi potrebbe importare di una mocciosa, adesso, dopo tre bambini che bastano e avanzano per la discendenza di Sua Maestà?".
"Una robusta discendenza può solo giovare alla famiglia reale, la cui reputazione è già stata compromessa dalla faccenda della collana. Una figlia femmina è sempre un dono che si potrà elargire per rinsaldare alleanze!".
La regale mocciosa era nata il nove luglio dell'anno precedente.
In mezzo ai tormenti per via della faccenda della collana, la piccola era sbocciata fragile come un delicato fiore di margherita, appena lambito dalla rugiada del mattino.
S'intuiva tenerezza nei suoi confronti, unico delicato pensiero da dedicare a una creatura lieve che forse non avrebbe avuto forza – e nessuno gliel'avrebbe mai imposto – di sopravvivere.
"Vi vedo soddisfatta madame?".
"Oh…sì…vi ringrazio. Dunque la mia discendenza non sfigurerà affatto di fronte a questa bambina".
"Non comprendo il senso?".
"Vedete…vorrei il meglio per la creatura che Dio m'ha donato".
"Ossia…".
"Ella sarà destinata a sopravvivere per la gioia della mia famiglia".
"Siete fortunata allora. E quando avremo il piacere di conoscere…".
"Monsieur, di un'anima nata qualche mese dopo questa piccola principessa si deve avere riguardo ma quando il suo carattere sarà forgiato a dovere, allora sarà una gioia presentarvela".
§§§
Sopravvivere…
Il bianco inverno, fatto di torpore marcio, sole basso all'orizzonte, frusciare d'alberi spogli, rimestare stanco d'acqua putrida di serpi e rospi, aveva calato il suo manto ampio e gelato sull'ultimo scorcio dell'anno, chiudendo, entro la rigida teca fredda dell'assenza, i pensieri e i gesti, imponendo di sollevare gli occhi un poco inquieti all'ingranaggio oscuro e lontano del destino, ch'era sussultato d'un tratto, come un'enorme ruota dentata da tempo arrugginita per mancanza di cura e per via dell'acqua che vi è percolata all'interno, che all'improvviso a poco a poco riprende a ruotare e i denti, un tempo forti e spavaldi della corsa ininterrotta da secoli, cominciano a stridere tra loro, scorrendo faticosamente, fino a prefigurare d'incepparsi per sempre.
Volontà benevola o inevitabile necessità…
Nel febbraio dell'anno 1787, vedeva la convocazione l'Assemblée des notables, composta da 114 rappresentati designati, per discutere delle riforme fiscali proposte dal Ministro Calonne, perché oramai gli interessi sul debito accumulato assorbivano oltre la metà delle risorse per onorarlo, per via che ciò ch'entrava nelle casse del regno ammontava all'incirca a quattrocento settantacinque milioni di livres, mentre ciò che ne usciva, ciò che si spendeva, era stato calcolato s'aggirasse a circa cinquecentottantasette milioni di livres.
Si doveva porre rimedio al crescente divario…
La Francia doveva sopravvivere…
§§§
Sopravvivere…
Senza essere quella di un tempo, non più.
Né uomo, né donna, né nobile, né colonnello, né contessa.
Semplicemente…
Sopravvivere…
A ogni costo, a ogni prezzo, che la vita non la si comprende se non nell'istante in cui ti colpisce in faccia, quando ogni ora del giorno diventa lama di luce, ora cruenta, ora assonnata, quando il tempo scarnifica sangue e pelle e ossa, annientando ogni resistenza, ogni baluardo di fortezza, lasciando colmi soltanto di se stessi.
Sopravvivere, immaginando d'aver sempre avuto un compito nella vita, che non era stato scelto, ma da cui si era stati scelti, e che quel compito non fosse oramai più importante, se non che il senso del dovere, quello era parte di sé, come prima pelle che, se tolta o strappata via, non sarebbe rimasto più nulla di nulla, nemmeno l'essere umano che era.
Sopravvivere, eppure desiderare d'essere altro, vestirsi d'una pelle, quella pelle maschile che tutti le avevano sempre cucita addosso.
Non pensava più al torto fatto, né a quello eventualmente subito.
Ma lei non era più quella di un tempo e al tempo stesso lo era, inevitabilmente e senza scampo.
Non aveva alcun obbligo nei confronti di Odile, non avrebbe dovuto far nulla se non semplicemente raccattare i pochi averi, riscuotere l'ultima paga, chiudersi la porta della stamberga alle spalle e riprendere la via verso nord, verso Parigi, e tornare a solcare il terreno conosciuto, le strade fangose d'inverno e luride d'estate, ascoltare i rintocchi di Notre Dame, osservare la folla, scrutare i volti, cercare risposte.
Il volto commosso e un poco stranito di Amelie Jenevieux s'impose, con tutto il suo carico di gesti mal coltivati, promesse non mantenute, pietà interrotta.
Amelie Jenevieux s'era ammazzata perché non aveva più speranza.
Odile invece era lì, era viva.
Non poteva lasciarla lì.
Non ancora…
Non adesso.
Come sempre.
§§§
"Cosa avrebbe fatto? Non ha commesso nulla di male!".
Le mani afferrarono le sbarre della gabbia, rugginoso ferrame dall'inconfondibile sentore di vecchio, come sangue che cola dal metallo, rappreso e puzzolente.
Da fuori lo sguardo incrociò quello della reclusa, fiamma cerulea e furiosa, contro pece nera e tremante, in attesa che il fuoco si spegnesse lasciandola al freddo e alla morte.
Andatevene….- un sussurro dalla celletta…
"No!" – la risposta secca, che le baionette si spianarono contro l'estraneo che aveva messo piede nella saletta ove si giudicavano borseggiatori, puttane di strada, truffatori e tisici – perché pure andarsene in giro malati a infangare l'esistenza dei morigerati benpensanti, alla fine era un crimine – ricacciandolo indietro, in malo modo, nonostante quello fosse una bella persona, forse un poco sciupata e stanca, ma pur sempre un'effige ch'emanava ancora una sorta di aura di luce, seppur piegata dall'ombra che gravava, per via della preoccupazione per la damina di colore che se ne stava in piedi, ritta come un fuso, magra come una canna di palude, dentro la celletta in ferro, incastonata nella parete di legno della stanza.
Completavano la scarna rappresentazione d'un qualsiasi Giudizio – universale o plebeo non era dato stabilirlo – una risma d'avventori, per lo più dai curiosi del paesello putrido, che avevano saputo della rissa della notte precedente, poco fuori la bettola.
Poi un giovanotto, seduto a gambe aperte, scomposto, dall'aspetto disarmonico e scocciato, con una vistosa fasciatura al braccio e una alla gamba, ch'era grossa sì, ma di lardo e gola.
E ancora tre gendarmi e infine, dietro uno scranno ch'era poco più che un tavolaccio rabberciato coperto da un polveroso panno rosso, una specie di sagoma ossuta, unici segni distintivi una parrucchetta spelacchiata in testa - incipriata da poco, forse proprio per l'occasione, che risaltava ancora di più sul drappo rosso e che pareva il pennacchio di un pavore ormai anziano e morente - e una tunica nera, alquanto degna della più famigerata Inquisizione Spagnola.
Tutti occupati a recitare la propria parte, l'unico che se ne stava ritto, al pari della sguatteruccia dentro alla cella, era un uomo un poco anziano, somigliante al giovanotto seduto e sofferente, e che, a guardarlo bene, doveva probabilmente esser il padre del secondo, così che, ad osservarli ancor meglio si sarebbe potuto comprendere dalla faccia del padre, come sarebbe mutata la carnagione e i capelli di quello più giovane, semmai quello più giovane avesse avuto la fortuna di vivere abbastanza a lungo.
Sghignazzava il giovanotto, pareva quasi trattenere il respiro il vecchio.
"Monsieur…" – altalenò quello che pareva l'improvvisato giudicante – "Si da il caso che questa giovane abbia preso a bastonate il qui presente Monsieur Bouillabaisse, giovane di buona famiglia, il cui padre, Monsieur Bouillabaisse, come vedete, è molto preoccupato per la sua salute".
"Non è possibile!" – s'infervorò l'ospite, che si prefigurava svolgere una qualche sorta di remota difesa dell'accusata, stringendo i denti, ritrovandosi di colpo vulnerabile, dall'improvviso squarcio della mente, che andava via via colmandosi degli squarci del passato, ora che la coltre scura dell'inverno inghiottiva il paesaggio, rendendo uniforme acqua e terra, cielo e mare, arbusti e alberi rinsecchiti, screziati dell'oro dell'alba e del sangue del tramonto, ora che la statica nebbia fumante dagli stagni, si posava sulla memoria e la colmava dei sentori pietosi del passato.
"Monsieur…" – bofonchiò il giudicante – "L'hanno visto tutti!".
"Hanno visto cosa? E chi sarebbero poi questi…tutti?!" – sibilò quello che s'ergeva a difensore, andando sapientemente a squadrare l'affranto sguardo del vecchio Monsieur Bouillabaisse, perch'era lui a quel punto l'ago della bilancia, perché era al padre che premeva di proteggere l'onore del figlio, ma soprattutto della famiglia. Sarebbe stato bene approfittarne per cavarsi dai guai – "Non c'era nessuno quando il qui presente Monsieur Bouillabaisse…si permetteva di mancarmi di rispetto".
L'anziano Monsieur Bouillabaisse tremò, che dunque era vero che il figlio se la filava con i giovanotti – perché l'ospite era un uomo, senz'altro un uomo, com'era corsa voce, dopo la rissa, addirittura uno che aveva prestato il suo servizio per un mandriano del posto e tutti dicevano che che ci sapeva fare, con le bestie e con i ladri di bestie.
E correre dietro ad un uomo, per il vecchio Monsieur Bouillabaisse e per il figlio di Monsieur Bouillabaisse, sarebbe stato intollerabile, in un paese rispettabile e devoto, così lontano e così diverso dalla licenziosa Parigi.
Monsieur Bouillabaisse – quello giovane – prese ad agitarsi sulla seggioletta.
Monsieur le Juge tacque…
Monsieur le Défenseur comprese che il Monsieur le Juge non era proprio un giudicante, o meglio, lo era, ma a seconda di quel che faceva comodo e interesse di Monsieur Bouillabaisse, quello vecchio, non quello giovane.
Monsieur Bouillabaisse – quello vecchio - fece un passo, era quel che l'ospite attendeva - "Monsieur…converrete…" - abbozzò indeciso se diffidare dello straniero, renderlo colpevole agli occhi dello scompaginato consesso giudicante, oppure giocare la carta della mano tesa, del perdono, della trattativa che avrebbe messo al riparo tutti da sgradevoli conseguenze – "Che la vostra serva abbia colpito mio figlio".
"Ebbene ne convengo…" – che anche l'ospite avrebbe dovuto concedere uno spiraglio, per lo meno per vedere quel che avrebbe concesso l'altro – "Ma c'è da ammettere che il quadro era assai strano e che Mademoiselle Odile potrebbe aver avuto timore per me, ed essermi semplicemente venuta in aiuto".
"Insomma, non cianciamo di sciocchezze!" – aggiunse Monsieur le Juge che aveva intuito dove voleva andare a parare Monsieur Bouillabaisse, quello vecchio, mentre Monsieur Bouillabaisse, quello giovane, continuava ad agitarsi sulla seggioletta – "Dunque di fatto si sarebbe trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato?!"
Le apparenze…
Se apparenze dettavano altro, delle apparenze sarebbe stato necessario tener conto, così da scucire dalla faccenda almeno un colpevole.
C'era però che la faccenda era davvero scomposta e intricata e solo a primo impatto scaduta in una rissa a cui era seguita una banale bastonata.
C'era dunque dell'altro dietro, particolari parsimoniosi che facevano gola alla piccola folla che godeva dell'insolito spettacolo, declinata spettatrice così da poter poi riportare in giro per i paesi vicini le ghiotte dicerie.
Così s'era saputo accadeva a Parigi – che a Parigi accadeva spesso di finire coinvolti in notti agitate e ubriache, anzi, forse a Parigi non era poi nemmeno così sorprendente accadesse.
Perché dunque non anche lì?!
"Forse è accaduto a tutti!" – l'affondo scaltro dell'ospite – "D'essere nel posto sbagliato!".
Il respiro sospeso, così che si comprendesse il senso.
Non era stata solo una rissa quella che s'era consumata la notte precedente, ma era stata altro, era di più, era qualcosa che a Parigi ci avrebbero riso sopra, ma lì no, non lì.
Nemmeno lei avrebbe dovuto essere lì, ma altrove, sulla via per Parigi e poi altrove ancora, su quel sentiero malmesso che forse le avrebbe restituito un poco di pace.
Il giovanotto prese ad agitarsi.
Se la sguattera dalla pelle scura s'era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato non era poi così importante, anzi, non gliele importava nulla.
Non tanto quanto l'insinuazione che anche lui ci si fosse trovato.
Nessuna coincidenza poi, ch'era necessario trovare un cappio per appenderci qualcuno, per lavarsi la coscienza e forse continuare a fare quel che s'era sempre fatto.
Anche l'ospite alla fine aveva lo stesso scopo, o meglio, aveva la necessità di non restare appeso a quel cappio, né lui, né la sguattera dalla pelle scura.
Tutto stava nel comprendere chi avrebbe avuto più coraggio e meno remore ad appenderci l'altro, a quel cappio.
Monsieur Bouillabaisse – quello vecchio – si ritrovò spiazzato e zittito. Lui avrebbe dovuto essere l'ago della bilancia, l'ospite lo aveva compreso, e intenzionalmente l'ospite lo stava mettendo da parte, per tirare in ballo Monsieur Bouillabaisse - quello giovane - il suo insano vizio, che in verità avrebbe dovuto passare come semplice voglia di spassarsela, con buona pace della bigotta religiosità del consesso giudicante.
"A me no!" – ghignò inviperito, Monsieur Bouillabaisse – quello giovane – che piano piano scivolava, senza nemmeno essersene accorto, nelle sabbie mobili scavate dall'ospite, che lui, proprio lui - Monsieur Bouillabaisse, quello giovane - non ci voleva proprio passare per uno che correva dietro ai damerini – "M'avete fatto cenno dentro l'osteria. Ho pensato fosse una cortesia a lasciarmi passare…sono uscito e voi…".
"Dite proprio a me?!" – che s'avvicinò l'ospite, afferrò l'altro per il bavero della camicia, i gendarmi s'avventarono, il vecchio sobbalzò al cospetto dell'irruenza dello straniero spuntato da chissà dove, il giudicante balzò all'indietro sullo scranno, la sguattera s'attaccò alle sbarre gridando di lasciare il suo…
Padrone!
Era quel che ci voleva!
L'offeso, il padrone, il gentiluomo aveva forse ingannato la candida anima di Monsieur Bouillabaisse – quello giovane?!
E quello s'era forse lasciato corrompere!?
Quanta incolpevole compassione sarebbe stata spesa per l'ingannato e quanta per colui che aveva ingannato!?
"Continuate a mancarmi di rispetto…" – il respiro corto, l'affondo roco, la stoffa quasi sul punto di strapparsi – "Avrei forse chiesto io la vostra bocca sulla mia?!".
E nonostante indossi abiti maschili…è una donna autentica…
Sua Maestà ha fatto vestire la sua amante come un uomo e l'ha tenuta accanto a sé come compagna di giochi…
Rammentò in quell'istante, Oscar François de Jarjayes, d'essere stata appellata l'amante della regina Maria Antonietta…
Tremò la voce al riverberarsi del ricordo…
Il respiro si sollevò…
Monsieur Bouillabaisse – quello giovane – raggelò al cospetto di cotanta protervia, rovesciata addosso con tale noncuranza da mettere a repentaglio la sua morigerata fama.
Per un solo istante s'immaginò persino d'approfittarne e gridare così di fronte a tutti che sì, era vero, che quell'uomo gli aveva suscitato uno strano rimestare nelle viscere e gliel'aveva detto che era bello e quello non s'era sdegnato e anzi aveva fatto segno d'uscire.
Tacito invito o cortese negazione?
"Vedo che adesso siete meno convinto" – incise l'ospite approfittando del disorientamento – "Eppure…".
"Siete un demone voi! Ecco chi siete!" – no, no, non si poteva gridare ai quattro venti d'esser voglioso di ritrovarsi addosso a quello straniero che pareva sì bello da indurre il dubbio di non essere più se stessi – "E vi portate appresso quella bestia immonda, del colore della notte, dagli occhi pieni di vizio per voi, ma a voi quella non basta! E così volevate…volevate…".
"Se così fosse…l'avrei forse lasciata colpirvi?" – no, no, non si poteva gridare ai quattro venti d'essere una donna e che quel giovane l'aveva scambiata per un uomo e che se tutti avessero compreso che lei era una donna, tutto sarebbe andato al suo posto, nessuno scandalo, anzi, tutto si sarebbe ridotto a un convulso ma banale screzio amoroso, ma poi no, si sarebbe finiti ancor più nel fango, che a quel punto era lei ad aver corrotto quella serva dalla pelle del colore della notte, ma quella, a sua volta, aveva finito per corrompere lei, una donna – "O non v'avrei invitato a soddisfare il vostro desiderio di prenderci entrambi?".
Sussultò dal fondo il brusio acuminato, sollevandosi in un crescente boato scomposto e sconnesso.
Odile quasi si ritrovò a terra, le gambe non la reggevano più, che diavolo le prendeva all'altra di farsi passare per un uomo, un demone per giunta?!
Forse allora quella era davvero una strega, così bella e luminosa, d'essersi trasfigurata in un demonio e anche lei ci aveva creduto e adesso non era più sicura che le sue dita avessero sfiorato la pelle morbida, il seno tiepido e tondeggiante e la sua bocca avesse ascoltato il tepore umido di lacrime antiche, stilla di chissà quale remoto e tragico ricordo.
Ma da quale Inferno se n'era mai uscita quella…
Il brusio si ricompose.
L'ospite si zittì in attesa della prossima mossa del giovane Monsieur Bouillabaisse, dapprima paonazzo di vergogna, declinata via via in bluastro livore, che quello perdeva la battaglia, non ci stava a passare per fesso, che l'avversario al contrario pareva intenzionato a fregarsene delle belle maniere e dei bei principi e delle belle intenzioni…
Meglio sarebbe stato passare per una vittima del demonio…
O d'una strega…
"La questione resta…" – affondò il giovane prendendo ad agitare la gamba – "Quella…mi ha preso a bastonate e tutti…tutti i presenti possono vedere come sono ridotto! A cosa serve stabilire perché? Se per difesa, paura o rabbia?! Nulla sposta quanto accaduto!".
"Monsieur…volete un colpevole dunque!?".
Era così, com'era sempre stato e come sarebbe stato sempre.
"Dico che non so chi siete! Siete un forestiero, qui da poco nel nostro paese e da quando siete giunto è accaduto questo. Dunque o siete voi che vi portate addosso il marchio del diavolo, oppure è lei…lei v'ha chiamato qui!" - il dito puntato addosso alla sguattera – "Quella pelle…così scura…solo il demonio ce l'ha così. Prima è arrivata lei e poi voi…e allora…si deve pur far qualcosa. Lei m'ha colpito, ma l'ha fatto perché voi m'avete indotto a seguirvi. Ma io che sono devoto a Dio non sono caduto nella vostra trappola".
Una trappola…
Era tutto così prevedibile che l'ospite quasi dovette trattenere un singulto di riso, neppure sapeva ormai se sarebbe stato adeguarsi allo scenario, degno della più antica e severa Inquisizione oppure approfittarne…
La mente divisa…
Se lei era davvero un angelo…
Gli angeli possono avere paura?!
Voleva tornare ma doveva restare…
Voleva restare ma al tempo divenire invisibile…
Essere Oscar François de Jarjayes, dea e demone al tempo stesso…
"Propongo…" – un passo, Monsieur Bouillabaisse - quello vecchio - gonfiò l'orgoglio – "Non abbiamo bisogno di demoni qui. Questo è un paese rispettabile. Lei…" - il dito, anche il suo, puntato addosso alla sguattera – "Tornerà da dove è venuta!".
Odile s'ammutolì, intuendo ciò che era, creatura nera e diversa, intessuta di demoniaco sospetto e peccaminosa certezza, dunque da ricacciare all'Inferno.
Ma in fondo persino lei si riteneva immonda, che quell'angelo, quello che aveva incontrato in Guyana, aveva provato a salvarla ma…
Allora tutto sarebbe stato bene, tutto pur di scostare da colei che aveva appena conosciuto, quel fango.
S'immaginò Odile, si vide Odile, quasi cadde a terra Odile, i passi che risalivano sulla passerella d'una qualsiasi nave diretta in Guyana.
Non sarebbe mai giunta a Parigi, non avrebbe più rivisto il suo angelo, ma si sa, i demoni non sono ammessi al cospetto degli angeli.
La Guyana era stata il suo Inferno…
"Sarà impiccata e poi il corpo verrà bruciato così che di lei non resterà nulla. Tornerà là da dove è venuta!".
No…
Dunque la Guyana non era abbastanza infernale.
Odile cadde davvero, accasciata sulla pietra fredda del pavimento.
Negò, in fondo era un giusto epilogo, lei era un demone, lo era diventata dopo aver osato scorrere con le mani sulla pelle di un angelo.
Un angelo che si sarebbe fatto passare per il diavolo pur di salvarla.
Oscar deglutì, la mente sospesa, per un istante incredula di fronte all'ignoranza ch'era frutto di superstizione, ch'era frutto, sempre e per sempre, di quell'unica ragione che aveva guidato il mondo, il desiderio di sopraffare l'avversario, dominare la vita altrui, schiacciare quelli che non avessero accettato la regola, quelli che avessero sollevato la testa per reclamare un posto, un'idea, un respiro…
Per annientare tutti coloro che erano puri, perché si appartenevano, perché erano di se stessi e di nessun altro.
Che idiozia…
No, l'ospite non ci stava.
Capovolgere i ruoli, strappare la trama già scritta…
Un passo indietro…
"Alzati!".
S'avvicinò alle sbarre. I gendarmi si fecero sotto di nuovo, Monsieu le Juge s'aggiustò gli occhialetti sul naso per comprendere meglio, la piccola folla trattenne il fiato rattrappendosi come rapita dai movimenti sobri, studiati, per nulla scomposti, dello straniero giunto da poco e che pareva occupare tutto lo spazio disponibile, catturare con sapienza tutta l'attenzione, attraverso gesti lievi, toni ora pacati ora intensi, come davvero stesse recitando, come l'avesse sempre fatto e non se ne fosse mai reso conto.
Stupiva la disinvoltura, c'era da chiedersi s'essa fosse innata, dunque rivestiva come una pelle, la creatura ch'era diavolo, oppure sgorgava dall'animo, dunque essa era di natura divina, atta a calpestare la superstizione, ricacciare indietro l'idiozia rappresentata dall'ignoranza.
L'ordine s'abbatté sulla sguattera tremante.
"Monsieur…" – che Odile si rimise in piedi, pareva una bambola tirata da fili invisibili - forse erano quegli occhi cerulei e freddi - s'avvicinò alle sbarre, le dita nere s'appoggiarono alle dita bianche attaccate ai ferri.
Si sporse Odile, in silenzio.
Si sporse Oscar François de Jarjayes e per un istante, un solo istante, dimenticò chi era, distraendo la memoria, spazzando via l'onore dettato dal rango, persino il blasone dettato dal suo proprio genere.
Non era più nessuno, se non che voleva…
Si sporse e colse le labbra, sussurrando piano - "Non avere paura".
"Di voi…monsieur? E perché dovrei? Mi amate per ciò che sono e voi amate per ciò che siete. Temo solo di condurvi all'Inferno e voi…non potete…".
Silenzio…
Odile s'avvicinò ancora di più, così che le dita si strinsero a quelle dell'altra, così da tenerla lì, così che il sussurro giunse lieve al cuore e sordo alle orecchie dei presenti.
"Dov'è il vostro bambino?".
Immobile, il respiro sospeso, Oscar tentò di slacciare le dita strette alle sbarre dalla presa, ma le dita scure le trattennero.
Che Odile allora, fosse davvero una strega?
"Non abbiate timore…monsieur. Io non ne ho di voi e voi non dovete averne di me. Ho compreso chi siete e cosa vi è accaduto. Il vostro bambino dov'è? E' vivo?".
Il cuore rallentò un istante.
Un altro istante per comprendere s'esso si sarebbe arrestato così da porre fine alla caduta.
No, quel dannato cuore continuava a battere, e la mente piombò giù nella voragine composta da frammenti di vetro spezzati, schegge d'uno specchio deforme che non riusciva a riportare alcuna immagine nitida di ciò che aveva intuito, seppur solo compreso da un volo dell'anima, ma non come certezza dei sensi.
Tacque Oscar François de Jarjayes.
Tacque e poi ammise…
"Non lo so…".
Era vero.
Davvero rivide il volto di Madame Alexandra Roma Lemonde, la misera compassione, le braccia strette al frutto della colpa.
Ch'era vita però, e la vita non è mai una colpa.
"E allora…" – Odile respirò piano, come sollevata, perché non sapere concedeva la speranza di un'esistenza sconosciuta ma viva – "Allora dovreste cercarlo".
Fu Odile a sporgersi, fu Odile a baciare la bocca, un bacio fondo, un bacio accolto, il corpo che restava lì, ad accogliere un raro suggello d'affetto dopo mesi di feroce solitudine, come goccia d'acqua regalata in un deserto di morte.
Oscar rivide le spalle di Madame Alexandra Roma, lo sguardo corrotto dalla compassione, le braccia chiuse, il fagotto piccolo e immobile.
Il viso…
Il viso…
Il viso…
Dio…
Che volto aveva suo figlio?
André…
Forse gli assomigliava, la linea della guancia, la bocca…
No, i mocciosi così piccoli sono tutti uguali, rammentava i figli di Sua Maestà, i figli delle sorelle…
Non li trovava poi così differenti l'uno dall'altro, se non nell'incarnato, nelle rughe del visino che potevano essere più o meno distese a seconda della fatica o della leggerezza del venire al mondo.
Ma quale leggerezza si sarebbe mai potuta scorgere, o avrebbe mai potuto esservi nel venire al mondo, se in esso, nel venire al modo, s'era già deciso tutto?
Se la vita non proiettava che una debole ombra entro una camera vuota e dopo, al calar del sole, di essa non restava più nulla?
André…
Avrebbe almeno avuto il diritto di saperlo.
Che di figli, solo per qualche istante, ne aveva avuti tre.
Solo per qualche istante.
Che banale scusa, poi, dirsi che anche lui avrebbe dovuto saperlo, così d'avere una ragione per tornare e rivederlo, tornare e infliggere chissà quale dolore oppure forse…
Sollievo!
Se André avesse saputo ciò che era accaduto e come il destino aveva scelto per loro, per tutti e tre, forse avrebbe provato sollievo, nel comprendere che il proprio gesto non aveva avuto conseguenze.
Perché si era presentato quel giorno, il giorno in cui lei aveva deciso di sposare Victor Girodel?
Perché era giunto sin sul limitare di quel baratro?
Impedirle di compiere quel passo?
Ottenere indietro ciò che loro erano stati?
Non fosse mai che André si sarebbe sentito per lo meno sollevato che suo figlio era vissuto solo qualche istante, giusto il tempo di prendere su di sé tutte le loro colpe e tutto il loro amore, e portarli con sé chissà dove, chissà sotto quale terra e quale fiore?
Se quel giorno lei avesse fatto un passo indietro, se lei gli fosse corsa tra le braccia, lui avrebbe avuto contezza di ciò che era accaduto, di ciò che sarebbe accaduto.
Gli avrebbe distrutto la vita, immaginando lui d'averla distrutta a lei stessa.
Eppure…
Lei l'aveva desiderato…
Lei aveva chiesto…
D'essere amata.
E gli aveva chiesto di amare…
Non mi vergogno d'ammetterlo. Non vedo che male ci sia a diventare abili a usare il prossimo per ottenere il proprio benessere…
A qualsiasi prezzo?
Il prezzo lo stabiliscono le parti. Se va bene a entrambe…
Tutto ha un prezzo!
Eruppe la chiosa feroce, figlia della capacità d'adattarsi per non soccombere, distruggendo ideali, prostituendo la coscienza, mutando in demone che tratta delle questioni umane, per qualunque utilità, come scansare l'impiccagione e il rogo offrendo in cambio il prezzo dell'affronto per esser stato raggirato proprio da quel demone.
"Quanto vale il danno che avete patito?" – fredda, verso quello che si riteneva offeso in massima misura – "Il braccio e la gamba".
Monsieur Bouillabaisse – quello vecchio - mandò giù fiele - "Non è questione di prezzo! Qui non c'entra il danno, ch'è evidente! Qui si discute del demonio che s'aggira tra le nostre case! Un danno che non è visibile".
"O tra le lenzuola!" – s'impuntò bieco l'ospite, raggelando il vecchio, mentre il ragazzo offeso tremò, giocando al rialzo.
"Non possiamo tenerci questa specie di serpe!" – l'indice di Monsieur Bouillabaisse – quello giovane – puntò dritto come una lancia acuminata contro la sguattera – "Non m'interessa quello che ha fatto…potrei concederle il perdono…".
Dannato…
"Se ammettesse il suo torto! Se ammettesse d'avermi offeso così, perché gliel'ha detto il Demonio…".
"No!" – la serpe s'attaccò a sua volta alle sbarre – "Ammetterò ciò ch'è giusto…che v'ho colpito…ma perché voi…avreste voluto…".
La serpe intimoriva e faceva comodo al tempo stesso.
"Dunque…ciò che è evidente agli occhi di tutti non è importante. Mi pare ben il contrario di ciò ch'è stato detto poco fa!" – gli occhi di Monsieur le Défenseur caddero alle fasciature, alla gamba e al braccio, declinando evidente contraddizione – "Che volete dunque monsieur? E voi tutti!? Che si ripari al danno subito da questo giovane oppure che si sollevi la gente dal torto d'essersi ritrovata una creatura del demonio tra le lenzuola? Quanti…" – lo sguardo corse al pubblico variegato e che d'un tratto aveva preso a sudar freddo – "Quanti di voi hanno giaciuto con colei che additate essere una creatura del demonio senza esservene accorti? E' stata brava a nasconderlo!?".
Il brusio stavolta rimase incastrato nella gola asciutta degli spettatori che sì, forse qualcuno di loro, qualche volta aveva allungato la mano sulla servetta, sul sedere, tirando la sottana per vedere se sotto era come doveva essere, e poi gliel'avevano presa la mano tirandosela un poco in disparte, lasciando che quella sciogliesse il suo tocco lieve, le sue dita scure a stillare incosciente piacere.
Tanti abbassarono gli occhi, altrettanti li puntarono inferociti contro la pietra dello scandalo.
"E quanti vorrebbero fare altrettanto con me?!".
Gelo…
Odile non sapeva più che pensare, se non che sarebbe finita male, davvero male, e per tutti, davvero per tutti.
"Voi…dovreste…essere…impiccato!" – balbettò senza fiato Monsieur Bouillabaisse – quello vecchio.
"E voi invece dovreste esser fiero di vostro figlio!" – ribatté l'ospite, fuoco freddo dalla gola, mentre Odile sussultò, e i benpensanti dalle mani pesanti parimenti risollevarono gli occhi all'impressionante affermazione – "Intendo che lui non s'è lasciato corrompere, dunque perché addossargli un torto che non ha?".
"Che…" – balbettò Monsieur Bouillabaisse – quello giovane – "Dann…".
Oscar François de Jarjayes adesso aveva fretta, di correre via, di correre di nuovo all'Inferno, perché Parigi era l'Inferno, perché forse proprio là c'era quella strana verità ch'era sgusciata via dalla propria vita…
"La porterò via…questa creatura del Demonio. La porterò con me e me ne andrò anch'io, ove non potremo più nuocervi e soprattutto infangare il buon nome di questo bravo giovane che l'ha – che ci ha – riconosciuti. Ma per levarvi dal capo la colpa d'aver riconosciuto il Demonio, siccome il Demonio sa essere anche e soprattutto un buon commerciante…intendo almeno ripagare il danno, sì che davvero nessun altro torto macchierà la vostra gente, nemmeno quello d'aver voluto ottenere vendetta oltre ciò che Dio stesso decide. Dio ha cacciato il Demonio all'Inferno. Non spetta all'uomo farlo…".
Se si doveva andare all'Inferno, almeno valeva la pena farlo nel modo corretto, non era lecito fosse un giudice qualunque, d'un paesello qualunque, per via d'una gamba o d'un braccio offesi da una bastonata.
"Avete detto che ciò che ha fatto questa giovane è sotto gli occhi di tutti. Io vedo ben una gamba fasciata e un braccio…lasciate che vi ripaghi almeno di questo…".
"E come?".
"So badare ai cavalli".
"Che idiozia! Non vi basterebbe…".
"Quanto allora?".
"Che…no…".
"Quanto!?".
Monsieur Bouillabaisse – quello vecchio – intuì la via d'uscita.
Che tutto ha un prezzo, anche scendere a patti col Demonio.
Impiccare l'estraneo e poi la giovane sguattera dalla pelle scura sarebbe equivalso a macchiarsi dell'onta d'ergersi a giudice di condotte che solo Dio avrebbe avuto buon diritto di giudicare.
Ma la fama d'esser un paesello maledetto dal Demonio, quella proprio nessuno voleva avercela sulla testa, e mettere in giro che gli abitanti s'erano fatti fregare da una simile creatura immonda avrebbe richiamato una pletora di preti giudicanti e bigotti e trasformato il luogo in una specie di rosario di congetture infernali e anime corrotte, col rischio di veder fuggire via venditori e acquirenti di bestie e di coscienze integerrime.
No, allora, se il Demonio voleva pagare il conto…
La faccenda poteva concludersi lì.
"Non voglio denaro da voi!" – s'impuntò Monsieur Bouillabaisse, quello vecchio – "Se lavorerete per me…allora vi concederò di ripagare il danno…".
"Cosa devo fare?".
"Tra due giorni partirò per Perpignan…devo portare centocinquanta tori…i nostri animali sono pregiati e ben accetti in Spagna".
"Mi state chiedendo di accompagnarvi?" – fredda…
"No!" – che la sguattera indemoniata s'attaccò alle sbarre – "Se non mi date retta…se non ve ne andate…glielo dirò chi siete…e allora…".
Odile, dentro la celletta, strinse la stoffa della sottana sgualcita, strappata là dov'era stata morsa dalla presa dei gendarmi, nell'istante in cui s'era vista acchiappata e ricacciata s'una nave e rispedita in Guyana, lontano dalla Francia, lontano da quell'angelo ch'era divenuto ragione di vita, meta e al tempo stesso inizio, e in quell'istante s'era ribellata in maniera così fonda, che persino il vestito ne era rimasto distrutto.
Intuì lo scarto della mente di quella che aveva appreso essere una donna e che - se qualcuno in quella stanza avesse intuito parimenti esserlo - avrebbe rischiato d'essere messa al rogo.
Sì perché Odile conosceva anche le streghe, che poi non erano altro che donne che sapevan fare e disfare le cose forse meglio di tanti uomini, ma questo agli uomini non è che piacesse tanto, che agli uomini non si doveva sottrarre la certezza d'essere i migliori, i più capaci, persino ad alleviare la tristezza delle dame amate, e semmai agli uomini gli fosse accaduto d'incrociare una donna che ne sapeva più di loro, a quelli non sarebbe andata tanto giù, senza colpo ferire.
Si voltò l'angelo o demone che dir si volesse, lo sguardo alla sguattera indemoniata, le dita strette alle sbarre, sussurrando di peccare ossia mentire - "Se dirai chi sono davvero sarà la fine per tutti. Anche per me! Tu sai chi sono. Ma i demoni li si pensa maschi e pare che tutti ne abbiano più rispetto. Che poi è solo timore d'essi che sono maschi. Ma una donna…una donna è nulla. Persino come demone verrei impiccata all'istante. E allora ti dico che se mi tradirai sarà a causa tua se non rivedrò mio figlio!".
"Siete…dovete fuggire da qui! Stanotte!" – balbettò l'altra tremando – "Lasciatemi qui e andate lontano dove sarete al sicuro".
La vita scorse davanti, fulmine immoto che squarcia il cielo.
"Non sarò mai al sicuro. Non lo sono mai stata. Non lo sono qui e…ovunque io andrò…" - il fulmine bianco indicò la strada - "Ma c'è un luogo ove potrei comprendere. Dove potrò tornare e attendere di conoscere chi sono e cosa è accaduto".
"E allora andateci!".
"Devo andarci con te. Se andrò sola, non troverò mai quel luogo, perché avrò tradito te, e colui che con le sue parole e il suo gesto ti ha condotto sin qui. E in quel luogo non ci sia arriva a mezzo d'un tradimento.
"Così sarà vostro figlio a restare senza di voi. Lo tradirete…".
Dunque sarebbe stato necessario andare ancora più lontano, per avvicinarsi di nuovo, per osservare quella fiducia distorta che l'aveva avvolta e l'aveva illusa e l'aveva plagiata dal senso di colpa che avrebbe annientato la famiglia Jarjayes.
"L'ho già tradito".
§§§
"L'ho già tradita".
"Che dite…monsieur?" – un sussurro, la vibrazione intensa e fonda mozzò respiro e parola, tramutandole in un singulto dapprima isolato, solitario, poi un respiro più fondo, così che anche la mano appoggiata alla bocca potè scostarsi, che quella – quella ch'era lì, sotto di sé - non avesse parlato o detto sciocchezze e commentato il fugace incontro, il corpo che s'inabissava entro movimenti animali, istintivi e ormai senza via d'uscita, perché si era all'Inferno e allora tanto valeva onorare la propria fama.
Ridicoli gli uomini a vederli mentre perdono il lume di sé, in balia del proprio orgasmo, indifesi e dannati…
Non sarebbe stata neppure questione d'amore, più semplicemente d'avere cognizione dell'istante in cui la mente perde se stessa.
"Non parlate!".
L'ordine eseguito, la coscienza perduta entro la follia, per veder di perdersi e disfare la smania che opprimeva i sensi, ch'era un uomo, ch'era così che s'atteggiavano gli uomini, lungi dall'essere santi, falsi e senza macchia, annegavano le notti entro ventri estranei, così da osservare in faccia il disgusto di sé, ch'era un bene osservarlo, il disgusto di sé, piuttosto che morire pian piano nell'inedia del corpo ormai lontano.
No, il disgusto salì…
Perdersi, rifuggire il lieve sorriso, i denti bianchi che mordevano piano la pelle, per poi ritrarsi e lasciar scorrere la lingua e il bacio, a risucchiare il calore incosciente.
Perdersi e immaginarsi colpevoli, che non avrebbe fatto meno male, ma almeno avrebbe reso umani e dunque irrimediabilmente peccatori.
La carne tesa intuì lo spasmo della resa, cautamente il corpo si ritrasse, godendo del tepore del ventre via via meno intenso e poi freddo, così che le forze ripiegarono il brivido gelato entro lenzuola di grezzo cotone.
Si perse André, si scansò un poco, senza desiderio di fuggire, inerme, sotto le dita incaute di colei che aveva preso e posseduto, e quella adesso gli accarezzava la testa mentre tra le viscere s'inanellava un fuggevole orgasmo, senza alcuno stupore, se non come riflesso all'orgasmo dell'altro.
Non sarebbe riuscito a restare lì.
Non quello.
Rammentò che su, lassù, a La port du ciel, gli accadeva di scivolare entro l'incoscienza dell'orgasmo, quel tempo immobile e incomprensibile, tinto del frammentato desiderio d'essere stato dentro lei, corrotto dall'intensità commossa, spaventato dalla separazione dei corpi che ad un certo punto si dividevano per tornare ad essere entità distanti.
Non voleva che accadesse come allora.
Rifiutava dunque di contaminare il ricordo con l'abbandono dei sensi - magra consolazione d'una stanchezza furiosa – così che non avesse finito per tradire davvero lo stesso istante vissuto con lei, altrove, tra le sue braccia.
Che idiozia!
Tradire il corpo dell'altra, ma immaginarsi di non tradirne il tempo trascorso assieme!?
Tradire l'amore dell'altra, ma immaginarsi di non tradirne la coscienza e l'orgoglio e la memoria e…
Si rialzò, un poco stranito, faticosamente, ma solo per via del peso immane e insensato del ricordo. S'impose di tenerselo addosso, quel ricordo, per imporsi il senso di colpa, lavarsi la coscienza dal gesto umano ma immondo, inevitabile ma del tutto ordinario.
La colpa concede il privilegio d'assolvere la coscienza, la colpa pesa e impone la costrizione della vergogna.
In fondo che male c'era a sfogarsi un po'?!
Non gliel'avevano detto e ripetuto quasi ogni sacrosanto giorno i vecchi compagni di ventura che ora erano divenuti compagni di guarnigione, la Compagnia B della Guardia Metropolitana di Parigi, alloggiata in Rue de la Chaussèe d'Antin, dove adesso anche lui viveva, come soldato, quando non tornava a casa di suoi figli?
Ma prima di tornare o quando la ronda lo permetteva, quando il tempo dell'attesa trasfigurava lo sguardo, quando la smania scemava e l'animo s'appellava alle poche risorse della ragione e della logica, allora la maschera vitrea crepava e crollava a terra, frantumata in mille frammenti a distorcere l'immagine del vinto, rivelando colui che lui stesso aveva davvero tentato d'impersonare o forse rappresentare da quando aveva lasciato la Francia.
Un inguaribile donnaiolo, pazzo per le sottane, viscido con le labbra…
Allora, era stato per proteggerla dall'immagine disinvolta e crudele del Conte di Fersen, ch'era un uomo alla fine dei conti, un uomo come lui.
O forse no, forse non aveva difeso e protetto nessuno. Aveva solo difeso se stesso dalla propria scelta, averla lasciata, e allora aveva deciso di essere un altro André, così che lo schifo non fosse giunto ad annientare le poche risorse rimaste.
Adesso…
Non c'era più nessuno da proteggere, così che prima o poi sarebbe riuscito a mettere da parte anche il tempo del ricordo e dunque prima poi si sarebbe concesso d'indugiare lì, accanto al corpo di colei che gli giaceva accanto, chiunque ella fosse stata, che non era lei.
S'era detto e ridetto che sarebbe morto per Oscar…
Non era forse morire anche quello?
Disfarsi del passato, annientare la coscienza, quella coscienza che l'aveva smisuratamente amata al punto da rifiutarla ormai chissà quante volte?
Quella coscienza che l'aveva portato ad amarsi smisuratamente al punto da pensarsi fulcro della vita dell'altra, essere indispensabile di cui lei non avrebbe mai potuto privarsi?
Dunque ci si doveva disfare di se stessi, dunque si doveva morire per ricominciare a vivere una vita banale, normale, idiota e senza domani.
Marcel Duvall non si stupì più di tanto, quando, gli occhi sollevati alla scaletta che conduceva al piano superiore, vide scendere il compare, il soldato triste, i capelli arruffati, le mani intente a riassettare la camicia, un poco stravolto, più nell'animo che nel corpo, il passo un poco indolente e l'aria di chi se l'era goduta quel tanto ch'era bastevole ad annegare qualche ora di solitudine.
Una leggera gomitata all'amico Dante, che osservava anche lui il soldato triste, il viso un poco tirato, inciso dal dubbio se la scelta dell'altro fosse stata una cosa buona oppure una fesseria da innamorato respinto, per via che quello aveva detto che avrebbe dato la vita per una certa donna, che invece la vita gliel'aveva presa e l'aveva buttata nello stesso ciarpame che galleggiava entro i rivoli di fango delle straducole di Parigi, dopo un temporale.
"Come sei conciato?" – saltò su Dante, l'intento bislacco di divertirsi, perché non era certo che la recluta avesse compreso appieno il senso del divertimento, dal momento che se ne usciva dall'alcova, con la faccia ancor più tetra di quando v'era entrato.
"Come te!" – ribatté André Grandier chiudendo gli ultimi due bottoni dell'uniforme – "Ti sei mai guardato allo specchio?!"
"Ehi…amico…allora vedi che spassartela ti giova allo spirito?".
"Se lo dici tu!" – il sarcasmo colò come melma s'un campo di fragole.
Che dietro spuntò quella con cui il soldato triste se l'era spassata…
I due beoti la scrutarono così da trarre qualche indizio.
Quella fece un gesto, spallucce, un brivido o forse una smorfia, che non si comprendeva appieno il senso, s'era rimasta soddisfatta - in fondo sarebbe stato un punto d'orgoglio, così che le famose Guardie Francesi non avessero avuto di che sfigurare - oppure no, ossia dunque tutto s'era compiuto come era accaduto durante la guerra in America, da Brest fino a New York e poi a Fort Awegen e insomma…
Che il soldato triste non era poi quel gran donnaiolo farfallone che aveva fatto credere di essere e che mai e poi mai aveva concluso nulla con alcuna delle dame di cui s'era vantato e questo per non far torto all'unica che amasse e avesse mai amato, quella che si vestiva come un uomo e di cui adesso nessuno sapeva più nulla.
"Porc…" – Dante si alzò, una mano sulla spalla del soldato triste, che quello non facesse per voltarsi, le dita strette, lo sguardo a Marcel, che almeno gli offrisse da bere all'altro e se ne stesse buono per il tempo d'uno scambio di vedute con la gentile damigella.
"Senti…" – il braccio della dama afferrato con lieve forzatura.
"Ma siete impazzito monsieur? Che volete?" – sconcertata…
"Che è accaduto?" – severo…
La dama strabuzzò un poco lo sguardo – " Che insolenza! Chiedo venia…cosa interessa a voi? Siete disgustoso! Non sono affari vostri!".
"Sì che lo sono!" – arrancò Dante – "Perdonate, non nel senso che intendete voi! Il mio amico laggiù…ha perso qualcuno che amava…una donna. E noi lo si vorrebbe veder almeno un poco più felice. O per lo meno allegro, insomma meno triste. Che francamente non lo si può più vedere ridotto a quel modo. Sono anni sapete che lo vediamo così e ci saremmo anche un poco stancati. Anzi! Non lo vogliamo proprio più vedere così affranto. E vogliate crederci che ci abbiamo provato ancora a ficcarlo nelle braccia di una donna. Che poi quella…insomma…avevamo creduto ch'era un uomo ma poi è saltato fuori che era una donna che vestiva come un uomo…insomma…se v'aggrada e non vi disturba…casomai lo fareste…".
"Non ho capito un accidente di quel che dite! Dovrei fare cosa?".
"Ecco…vestirvi da maschio…magari al mio amico gli viene meglio…".
Che le parole s'incepparono travolte dal ceffone che la dama rifilò sulla brutta faccia del soldato Dante Renard.
Che insomma, d'accordo che lì, al A'samedi Prochain, non si faceva tanto gli schizzinosi, ma impicciarsi così degli affari delle dame e della padrona, Madame La Coque, e delle segrete trame che s'intessevano con quelli che approdavano lì, come fossero naufraghi dispersi nell'immenso mare della solitudine…
Sobbalzarono i commensali, che lì, al A'samedi Prochain non s'era mai veduto volare un ceffone, sì forse per una mano sul sedere, qualche dama s'era rivoltata sdegnata, ma mai per via d'una piega così strana e incomprensibile ch'era seguita a un incontro concordato da entrambe le parti.
Tutto era mutato dal tempo di Brest, il soldato triste non si tirava indietro e le dame gli morivano dietro che quello era veramente bello.
André parimenti intuì la sceneggiata, si rialzò, a passo spedito contro il soldato idiota.
Dannazione, la dama andava difesa, come fosse stato difendere il proprio amore, quello per l'altra, che tradirla già pesava e annientava, ma che almeno il tradimento fosse lasciato in disparte e tenuto chiuso nel tepore dell'alcova, lontano dalle orecchie degli idioti compari, che almeno il tradimento fosse una questione solo sua e di nessun altro.
"Adesso hai passato il limite!" – basso e severo contro Dante.
La dama si ritrovò inspiegabilmente estasiata, che raramente qualcuno s'era mai degnato di metterla nel bel mezzo d'una rissa.
Il soldato triste prese per il colletto Dante…
Dante l'afferrò per le spalle, l'altro, indignato per via della solita ingratitudine, dell'esibita spocchia verso le maniere dirette che orchestravano i gesti dei Soldati della Guardia, finanche a spingersi a chiedere a una puttana se era rimasta soddisfatta, se il soldato se l'era goduta, se davvero a quello gli fosse finalmente balenato nel cervello e nelle brache di dimenticare l'eterno amore, quello inciso nel tempo della vita da sempre.
Possibile che André ancora dubitasse della buona fede dei soldatacci?!
Possibile che non riuscisse mai ad apprezzare il disinteresse di quelli a scovare un poco di felicità, fosse anche quella che spezzava semplicemente il ritmo del respiro e incurvava le gambe?
Ecco che si alzarono un poco tutti allora, perché in effetti quella sera il drappello era comandato di ronda ma il drappello s'era fermato lì, al A'samedi prochine, per un goccio di vino, per riposare un istante, che a Parigi, di notte, c'era sempre un gran daffare, per via dei mercati clandestini di farina e spezie, e di quelli non tanto clandestini di puttane e damerini che s'offrivano ai passanti, non era ben chiaro se per alleggerire il portafogli prima o dopo aver offerto la mercanzia.
L'aria della notte, satura di profumi antichi, sterpaglie secche, androni neri, odorosi d'umida muffa, polvere di cometa invisibile adagiata sulle labbra…
L'aria della notte, appena sfiorata dal tepore della nuova stagione, ch'era da poco passata la metà dell'anno, sprezzante dei ricordi, sempre uguale eppure ogni notte diversa, per via dello scorrere del tempo, inesorabile e tiranno…
Un pugno…
Non fu ben chiaro chi avesse avuto l'ardire di collocarlo in faccia a un soldato, forse uno spasimante della bella dama che si ritrasse intimorita di farsi male, ma inorgoglita che qualcuno fosse finito a fare a pugni per lei…
Non accadeva spesso…
Il guaio era che quelli che avrebbero dovuto contenere e sedare la rissa, eran proprio quelli che l'avevano istigata e allora davvero nessuno si ritrovò a capirci più nulla, tanto che anche Alain e Gustav e gli altri del drappello, circa dieci soldatacci, si ritrovarono accerchiati.
O forse no, forse proprio loro passarono ad accerchiare i fomentatori, che non si capiva dunque chi avrebbe dovuto riportare l'ordine e chi invece dell'ordine se ne faceva beffe.
"Un padre di famiglia!" – lo screzio volò addosso al soldato triste – "Guarda come ti sei ridotto tu!".
"I miei figli stanno benissimo! Non credere di potermi insegnare come si tirano su i mocciosi!".
"Quelli sono bravi ragazzi! E tu li hai illusi d'esser una brava persona. E continui a illuderli, ma soprattutto a illudere te stesso!".
"Io sono chi sono…non deve interessarti!".
Volavano parole, frasi storpiate, discorsi accennati e tranciati dall'ennesima sedia scostata forse per colpir meglio o proteggersi meglio.
"Intendo che se non te la scordi…quella…quell'altra…" – grugnì Dante ritrovandosi il pugno alzato contro André e André parimenti il pugno sollevato contro l'altro – "Finirai male!".
Alain s'avvicinò per evitare il peggio ma poi ammise che una sonora scarica di ceffoni non avrebbe fatto male al soldato triste, avrebbe voluto essere al posto di Dante, convenne fosse meglio lasciar fare all'altro che se ne intendeva di scazzottate.
Perché se la prendevano tanto poi…
Che interessava a loro se quello – il soldato triste – continuava ad avere nella testa l'immagine dell'altra, il suo volto…
Che avesse perso la testa, ci poteva anche stare…
Ma…
S'era arruolato André, alla fine c'era riuscito, vai a sapere s'era stato grazie al padre di quella, un certo Generale Jarjayes, che quell'idiota di André aveva servito fin da quando era bambino, e forse il nobile ufficiale l'aveva aiutato, solo per lavarsi la coscienza d'aver tirato su il moccioso come un servo devoto e senza spina dorsale.
Oppure chissà chi altri.
Alain stesso alla fine l'aveva aiutato a finire lì, a Parigi, nella Guardia Metropolitana, nella Compagnia B, quella che pattugliava le strade della capitale, quella dove ci si divertiva in fondo.
Non come la Compagnia A, che stava a Versailles, con il compito di controllare i giardini della reggia, quelli che si perdevano nella boscaglia fitta, dove non accadeva mai nulla, se non che qualche disgraziato finisse sin là, attirato dai profumi che uscivano dalle cucine della reggia.
Gliel'aveva chiesto perché avesse scelto la Compagnia B, che avrebbe potuto scegliere l'altra, che quella donna era nobile e di certo - casomai fosse riapparsa da chissà dove era finita - non si sarebbe mai ritrovata, mai e poi mai, lì, nella lurida Parigi, in mezzo alla gentaglia che verminava in città, ma avrebbe continuato a vivere tra le regali lenzuola della sua casa, poco lontano dalla reggia, a far la guardia al re e alla regina…
Sul camminamento, lassù, dove si poteva osservare un poco più netto il profilo della città, quella sera, alla fine André aveva ammesso con Alain, che lui l'avrebbe riveduta lì, a Parigi, non aveva particolari certezze di ciò che diceva, non aveva speso una parola su ciò ch'era accaduto, ma sapeva che Versailles e la sua reggia e le sue lenzuola di seta non l'avrebbero più accolta, ovunque lei fosse stata.
Lei era la moglie di Victor Girodel…
Lei era nobile…
Ma per lei essere nobile voleva dire altro.
Qualcuno sputò che stavano arrivando altre guardie, un altro drappello di chissà quale guarnigione, e che a farsi trovar lì, soldati con la divisa addosso, a menar le mani nemmeno si sapeva più perché, sarebbe stato poco onorevole, e soprattutto si sarebbe rischiato di vedersi decurtato lo stipendio, per via dei danni, per via del chiasso, per via del fastidio.
Le sedie rumorosamente risistemate, i tavoli ridisposti secondo la geometria della bettola, i soldatacci presero a calmare gli avventori che s'erano avventati l'un contro l'altro e tutti contro i soldati.
Una banale minaccia - "Abbiamo l'uniforme sulle spalle, chi s'azzarda a proseguire lo sbattiamo in cella".
Qualcuno ancora ubriaco di vino e rabbia provò a protestare, che l'avrebbe detto ch'erano stati proprio i soldati a cominciare.
Qualcuno dei soldatacci si prese la briga d'afferrarlo per il colletto, la recalcitrante spia, per indurlo alla resa, che non sarebbe accaduto nulla a nessuno, bastava solo tenere la bocca chiusa.
La dama accorse a pulire uno sbuffo di sangue dal labbro del soldato triste, quello si lasciò medicare, dimenticandosi dei compari che continuavano a guardarlo in cagnesco, perché non c'era nulla da fare, di loro non si curava nessuno, di quello, i capelli un poco allungati sulle spalle, l'occhio guercio, l'aria da nobile, il viso bello, pulito, mai scomposto entro la foga della disperazione, ebbene a quello erano sempre tutti appresso.
Tutti tranne quella donna ch'era sparita.
Si riassettarono davvero i soldati.
La porta della bettola spalancata da un calcio, l'oste affannato a ripulire il pavimento da cocci e avanzi di pane rovinati a terra, Madame la Croque a risistemarsi il decolté avvizzito dalla lotta impari.
Quella contro il tempo.
Una rissa tra avventori e soldati della guardia era anche accettabile, che in fondo quelli erano pari ai primi, figli del popolo o giù di lì, comunque reietti e giocatori d'azzardo, ricettatori di fucili e pane avanzato dalla mensa, insomma, gente che tirava a campare esattamente come la gente di Parigi, ma con altri soldati, di altra risma, di altra razza, là dentro, Madame La Croque, non ce la voleva proprio.
Marcel Duvall per poco non scoppiò a ridere.
Davvero incredibile che a riportare l'ordine fossero quelli d'un drappello di soldati comandati da un certo ufficiale francese, uno che si chiamava Victor Clement de Girodel, che dopo aver patito l'incursione nella propria casa, l'aveva giurato che prima o poi, avrebbe trovato il modo di impiccare il ladro e il suo scagnozzo.
Dunque quello era il marito…
E c'era da scommetterci che doveva averlo saputo che lo scagnozzo s'era arruolato.
C'era da chiedersi allora se il marito si fosse fatto alle calcagna dello scagnozzo del ladro mica per prendere il ladro, ma per stanare proprio lo scagnozzo e soprattutto…
Dove diavolo l'aveva messa quella moglie così bella, quella giovane sottile e bianca, lo sguardo di furia celeste come prima d'un temporale, i capelli ribelli come dovevan essere la testa e il cuore…
Dove diavolo era finita quella, se il marito era lì, a bazzicare le stradacce di Parigi, come fosse impazzito, come se anche lui, neppure lui, sapesse dov'era finita, e allora si fosse ridotto a star dietro a quello che un tempo l'amava, lei, quella donna, ma neppure lui adesso sapeva dov'era finita?!
"Via…via!" – prese a smozzicare Marcel – "Prendete quell'idiota e portatelo via! Mademoiselle…" – rivolto alla dama stranita – "Di grazia, prendetevi il nostro amico e mettetelo in salvo. Vedete…dovete sapere che quello è davvero uno a cui piacciono le donne, e pure tanto, e si da il caso che l'ufficiale ch'è appena entrato sia il marito di una di quelle…" – tossicchiò – "Insomma…mi avete compreso?!".
Sempre più lusingata la giovane sfoderò un sorriso smagliante - "Monsieur farò di meglio!" – lo rimproverò, riassettandosi vestito e capelli – "Portatevelo via voi il vostro compare! Non ha fatto altro che dirmi che l'aveva tradita! Chissà di chi stava parlando? E mi pare d'intendere che potrebbe essere la moglie di quello ch'è entrato!? Insomma…mi avete compreso?!".
"Caz…" – la solita sgomitata tra Marcel e Dante chiuse la chiosa – "Non c'è speranza. Portiamolo via. Quello è perduto…se non perderà il senno per quella…".
"Secondo me l'ha già perso".
"Allora…prima o poi…perderà la vita!".
André ebbe il tempo di scorgere Girodel, un istante…
Un passo impose d'avvicinarsi…
Sarebbe stata la fine per tutti.
"Dannazione! Se quelli si mettono a discutere verrà fuori che qualcuno si ritroverà la lingua sciolta e parlerà e ci sputtanerà davanti a tutti!" – sputò Dante – "Mica posso prendere per il collo la gente, con quelli qui dentro!".
I tre soldatacci fecero ostruzione, muro, schieramento, insomma, a chiudere la vista tra i due amanti traditi.
La dama sfilò, leggera come una piuma, un'occhiata veloce a Madame La Coque che prese a gorgheggiare saluti e omaggi e complimenti e che non era accaduto nulla e che se a lor signori fosse gradito accomodarsi, avrebbe offerto loro un buon bicchiere di rosso o di bianco, come a lor signori fosse apprezzato.
L'occhiata fugace scorse tra i due amanti ribelli.
La gelosia infiammò le viscere ma ancora di più la straziante assenza.
Per la prima volta André Grandier comprese che Victor Girodel l'aveva perduta, l'altra, ossia non sapeva più dove fosse, forse in Inghilterra, forse chissà dove.
Per la prima volta André Grandier comprese che doveva essere accaduto altro.
Ci aveva provato a seguire il filo della collana – si dice che per trovare un ladro bisogna seguire la traccia di ciò che ha rubato – quel filo che reggeva la stessa sorte della refurtiva del ladro più famoso di Parigi, il baratto tra i preziosi rubati e l'oro e le monete da donare ai più poveri.
Un filo fatto di perle e diamanti…
Che però non aveva portato a nulla. I ricettatori di Parigi non ne sapevano nulla, tanto meno gli strozzini.
E lei non era tornata.
Erano passati mesi da quando non l'aveva più veduta.
Si ritrovò spinto in strada André Grandier, tirato su da terra per la giacca come un sacco vuoto.
Si issò a cavallo, la mente ormai perduta, dispersa nell'assenza dell'altra, dilaniata dal dubbio se restare a Parigi oppure lasciare la guarnigione e mettersi a cercarla.
Dove…
Quelle due volte ch'era tornato a casa, il Generale Jarjayes gli aveva biascicato che sua figlia era in Inghilterra, ma nella seconda visita, poche settimane prima, la convinzione pareva come prosciugata dal dubbio, perché anche una missione segreta prima o poi finisce, e anche di una missione segreta si doveva pur saper qualcosa, se non altro perché era segreta.
Lo sguardo lontano, Jarjayes aveva pronunciato il nome d'una persona che André aveva conosciuto, di sfuggita, in America e poi aveva rivisto quando aveva tentato d'interrompere lo scellerato matrimonio.
Madame Alexandra Roma Lemonde…
André aveva ascoltato il nome sussurrato, come sovrappensiero, dal Generale Jarjayes.
Il cervello aveva preso a macinare congetture, così, per tenere a bada la crescente pazzia, era tornato spesso da quella casa, dov'era impressa l'ultima immagine dell'altra, mentre le gambe tremavano, mentre la gola si strozzava nel gridare il nome.
Là era rimasto imprigionato il suo volto, quello che s'era distratto, tre quarti di stupore stanco nell'udire il proprio nome, e lui, come un idiota, ricacciato indietro dagli scagnozzi di quella donna.
E a quella, gliel'aveva letto in faccia, lo strano ghigno, come se quella se lo fosse aspettato che lui si sarebbe presentato lì, per insinuarsi nella decisione dell'altra, mandate a puttane il suo matrimonio, così che nulla sarebbe mai mutato nella vita di nessuno.
Che idiozia immaginare che le persone siano ancora dove sono state, che lì dov'erano state, oramai c'era solo un brandello di ricordo, effige immaginata, profumo impresso nella testa, ma no, il corpo non c'era più, non c'era altro che ciò che c'era nella testa, nessun altro gesto, nessun'altra parola e allora la pazzia prendeva il sopravvento, restituendo immagini distorte, occhiate assurde, rimbombi cupi di terre lontane ove zoccoli acuti calpestavano la polvere.
Il cervello cedette…
E gli pareva davvero che Oscar François de Jarjayes quasi non fosse mai esistita, ingoiata da un destino immenso e più forte che né lui, né nessun altro avrebbero mai potuto scalfire.
§§§
"Victoire!".
"Oui Madame Rosalie?".
"E' successo un guaio!".
"Come sempre!" – sorrise l'altra, sollevando gli occhi dal foglio, ove compitava misure e calcoli, per ritagliare alla perfezione le quote di tessuto d'abbinare – "Uno solo?".
"Abbiamo ricevuto un ordine…ma io non posso andare e dunque dovresti andare tu".
Scintillò lo sguardo, tremarono un poco le mani, ch'era la prima volta che Victoire Jenevieux sarebbe andata da sola a compitare misure s'una persona in carne e ossa, per poi imbastire l'abito commissionato.
Perch'era accaduto che Madame Rosalie Lamorlière si fosse accorta della grazia d'inchiostro e pigmenti intessuta dalle dita di Mademoiselle Victoire Grandier, e così aveva deciso di proporla come apprendista nella sartoria ove anche lei lavorava di tanto in tanto.
"Madame Rosalie…non so mica se sarò capace?!".
"Dovrai per forza piccola, ma non è un compito difficile…vedi…".
Rosalie Lamorlière porse un foglio ove era riportato un elenco.
Prese a leggerlo, con lo stesso intercalare d'un qualsiasi famigerato interlocutore che aveva richiesto i servigi di sartoria e che pareva fosse lì, anche se lì c'erano solo loro due, Madame Rosalie Lamorlière e la piccola Victoire Grandier.
Quinze bonnets d'enfant en bandera, huit en taffetas et bissino…
Vingt bonnets en moela et autant en grisetta, décorées avec la dentelle…
Un chrêmeau…
"Contre les muavais esprits!" - rise Victoire, anche se i camicini contro gli spiriti maligni erano molto in voga tra la gente del popolo.
Trente-six bandes en drap éternel, autant en lin et autant en laine…
Vingt pièces de drap de mantille, autant en lin, lin cottonina, indena…
Dix lanì de Molton.
"Et le couleurs?".
Bleu, rouge, mais aussi blanc bien sûr! Non, je n'accepte pas le noir!
Et puis bien sûr, marqués, rouges, noirs, verts, jaunes!
Vingt chemises…
Dix chemises longues et autant cache-corsets.
Quinze soutiens brassiéres.
Deux fourrures.
Les chemises bien sûr avec et sans manches longues, en toile et soie…
Oh…le robe longue. Oui!
Sept jupe et dix tablier…
"Ma…quanti abiti…non sarà difficile?! Da sola?".
"Mia cara, lo so…ma mi hanno detto che dovrebbe trattarsi di piccoli scampoli di stoffa. Dovresti proprio andare tu. Sei brava a disegnare abiti, ti viene naturale e saresti la più adatta per questo lavoro. A proposito, rammento che m'avevi parlato d'una stoffa con certa tessitura di cotone e lino…".
"Rigatino!?" – fece eco e rima la mocciosa, scivolando giù dalla seggiola e correndo a scansare da ritagli di stoffa, la pezza giusta d'un azzurro nuovo e bello, sorprendentemente lieve come d'un cielo di primavera.
Rosalie ammirò il tessuto disteso, la mano accarezzò la consistenza - "Sei stata brava a sceglierla. Quel mercante parlava una lingua strana".
"Madame Rosalie, mica lo capivo bene nemmeno io. Ha detto che la tessitrice che ha ideato questa stoffa si chiama Caterina. E la stoffa viene dall'Italia e il colore sembra quello del mare che ci sta vicino. Righe bianche e turchine, come le onde del mare bianche e azzurre. Ma il mare non l'ho mai visto".
"Ri-ga-ti-no?! Ca-te-ri-na!" – tossicchiò Rosalie – "Caterina e poi?".
"Caterina da fa…faen…non me lo ricordo più!".
"Potresti portare la stoffa con te, così la mostrerai a madame…".
"Quale madame…Madame Rosalie?".
"Madame Roma Alexandra Lemonde!".
§§§
Rue du Jour...
Victoire, impaurita ed emozionata, non era certa se Madame Roma si sarebbe rammentata di lei, se l'avrebbe accolta senza rimostranze sul fatto che lei era in fondo un'orfana, figlia di chissà quale donna reietta, mentre suo padre…
Alle perdute avrebbe fatto in fretta, scusandosi di non essere preparata a sufficienza per quell'incarico così urgente.
"Ma tu…" – lo sguardo di Madame Roma trasecolò tra il perplesso e lo schifato – "Non sei Madame Rosalie Lamorlière!".
Non era una domanda bensì una constatazione, o meglio, un rimprovero, che la padrona di casa aveva condensato in una richiesta il disappunto di ritrovarsi dinnanzi una mocciosa di poca esperienza, e per giunta capace d'essere una discreta spina nel fianco ma al contempo una inusuale sfida al destino.
Victoire Grandier si prodigò in un inchino sobrio, era cresciuta, aveva un lavoro, per quanto fosse ancora molto giovane, e una famiglia, per quanto non fosse davvero la figlia di Monsieur André Grandier, e neppure la sorella di Argo Grandier, ma una punta d'orgoglio quella sì, quella era sbocciata piano piano e adesso aleggiava fiera dallo sguardo, sprigionando brillanti note di giallo dorato, come spighe che dal verde si avviano a sfumare all'oro.
Madame Alexandra Roma Lemonde ricambiò il saluto, ricacciando in gola il rimprovero frutto d'alterigia e al tempo stesso paura.
Avrebbe sfruttato la presenza della mocciosa, che rammentava un poco stupida, di poco acume, ossequiosa ma tarda, per instillare a poco a poco nella società la propria verità delle cose.
Era una giornata di tiepido sole quella, alto sopra i tetti di Saint Eustache.
Victoire Grandier mostrò dapprima i tessuti alla dama che scorse con le dita alla consistenza della stoffa, voltandola e rivoltandola come a sincerarsi che fosse di ottima qualità, utile ma anche elegante e distinta, così che chi l'avesse avuta indosso non avesse sfigurato, ingolfato in una sorta di sciocco sacco, indegno d'una nobile famiglia come la sua.
Victoire scrisse le sue note, aveva elaborato una sorta di alfabeto veloce per appuntarsi tutte le richieste della cliente.
"Avrai sete?" – domandò Madame Roma alla fine dell'ispezione dei tessuti – "Oggi è una bella giornata. Esci pure in giardino, prenderai lì le misure necessarie per confezionare gli abiti che mi sono necessari. Nel frattempo ti farò preparare il tè, lo prenderemo sotto la quercia in giardino. E' ancora spoglia, ma ho fatto appendere una tenda contro il freddo".
Victoire si stupì, ma le avevano insegnato a non mostrare stupore, ad accettare qualsiasi stranezza fosse uscita dalla bocca delle clienti di Madame Rosalie Lamorlière, allieva di Madame Jeanne-Marie Rose Bertin, ch'era la più famosa sarta della Francia, colei che aveva confezionato gli abiti di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
"Ti avverto…" – concluse Roma severa, accomiatandosi per ordinare di preparare il tè – "Non intendo accettare un lavoro che sia meno degno d'uno eseguito per il figlio d'una regina! La mia famiglia vanta un rango all'altezza di coloro che risiedono alla reggia. Ho gli stessi privilegi e d'ora in avanti anche i doveri che mi sono stati assegnati da Nostro Signore in Persona".
Victoire mandò giù angoscia e non mostrò timore.
Il re e la regina li aveva osservati da lontano, le erano parse due persone uguali a tutti gli altri.
Mentre Nostro Signore difficilmente si mostrava…di Persona.
Era una bella giornata in effetti, seppur la primavera accennava a esibirsi in corolle bianche di margheritine di campo, dischiuse qua e là dalla terra rinvigorita, in mezzo a ciuffi d'erba più teneri e vivi, a sfidare il freddo, a ridosso del muro di cinta, mattoni impenetrabili e una fitta siepe d'alloro, ove Victoire riconobbe il varco un poco nascosto da cui Argo era entrato e uscito a piacimento alcuni mesi prima, per cercare il dannato falco, fino a quanto André gli aveva detto di non tornare più in quella casa.
La padrona doveva dunque sentirsi davvero sicura e protetta da Nostro Signore in Persona se non s'era nemmeno accorta dell'oscuro pertugio.
Una cassa in legno scuro, dai lati alti, collocata al centro d'una specie di recinto circondato da delicate tende in organza, riposava sotto i grandi rami della quercia nuda, un curioso contrasto quello, come se dall'albero si fosse dipanato un grande bozzolo e la cassa ci fosse racchiusa dentro.
Victoire scostò l'organza, sulla punta di piedi si sporse per osservare dentro la cassa, lo sguardo s'allacciò ai grandi occhi blu – attirati dall'improvviso apparire d'una sconosciuta – d'una specie di bamboccio adagiato in quella che si rivelava essere duque una solida culla.
L'emozione sgorgò dal volto del neonato che accolse l'ospite con un sorriso entusiasta…
Le orecchie si colmarono d'un suono netto, conosciuto e mai dimenticato.
Victoire scostò la tenta di nuovo e stavolta osservò in alto. Lo stridio del piccolo falco s'incise nella testa.
"Che mi venga un accidente!" – strillò, subito tappandosi la bocca con la mano – "Sei tornata bestiaccia!".
Il linguaggio ricordava quello del Soldato Alain Soisson, quando era solito appellare Pur, il piccolo falco di Argo, ormai scomparso da molti mesi e che tutti ormi aveva creduto perduto per sempre.
Una pernacchietta dabbasso…
Uno stridio acuto ma lieve, come a cullare la creatura che sbrodolava saliva di sotto…
§§§
Sopravvivere…
Il cervello cedette…
Per una moltitudine di ragioni…
Madame Alexandra Roma Lemonde…
Il nome sgusciato dalla bocca del Generale Jarjayes…
Rue du Jour...
L'annuncio sgorgato dalla bocca della piccola Victoire, che gliel'aveva detto al padre che lei si sarebbe recata in quella casa per prendere misure e mostrare stoffe, Madame Roma esigeva un certo guardaroba degno d'un principe di rango reale.
Brillavano gli occhi della bambina, mentre raccontava dell'incontro con un bambinello buffo e grassoccio e nel mentre che tesseva le lodi del moccioso, s'era imbattuta, riconoscendola, la dannata bestiaccia, com'era solita appellarla il soldato Alain Soisson…
Argo era balzato in piedi pronto a correre là, ma il padre gliel'aveva negato il permesso, che Argo, per la prima volta s'era ribellato quasi scontrandosi con André, come invasato che quello non gli avesse permesso di ritrovare il falco.
"Addirittura due?!".
Stavolta fu il soldato Alain Soisson a dispiegare un tono insolitamente alterato, che quello la sapeva lunga, e poco o niente aveva pregio di stordirne i sensi e stupire l'intelletto, ma questa volta davvero la decisione gli pareva una pazzia.
Bernard Chatelet, chiuso nel mantellaccio nero, spruzzato di minuscole gocce gelate, parimenti non aprì bocca.
L'aiuto che André Grandier gli aveva offerto nei lunghi mesi precedenti di agguati, furti, rocambolesche fughe, ingoiati tutt'e due dai meandri neri e lerci di Parigi, in qualche modo andava ripagato, ma persino Bernard Chatelet s'era ritrovato stupito dalla richiesta dello scagnozzo.
Per una notte, per una sola notte, André Grandier avrebbe vestito i panni del Cavaliere Nero – impersonando il famigerato ladro - non avrebbe rubato nulla per non destare scalpore, a meno che non avesse trovato chissà quali preziosi o denaro.
Al contempo Bernard Chatelet – il vero Cavaliere Nero - avrebbe compiuto il suo dovere altrove.
In questo modo chi dava loro la caccia si sarebbe trovato disorientato, la città avrebbe addirittura immaginato che il ladro fosse guidato dalla mano del Diavolo, capace di moltiplicare l'effige e con essa la rabbia e la paura.
Una manovra un poco folle che però avrebbe consentito di entrare in quella casa che adesso non appariva più disabitata e vuota.
Doveva tornarci dentro, doveva ritrovarsi lì, in quel dannato fazzoletto di terra ove l'aveva veduta per l'ultima volta.
Nella notte intrisa di pioggia gelata, calata addosso come un mantello fradicio e troppo pesante per tenere caldo ma impossibile da scostarsi di dosso, che sennò l'imperfetta leggerezza del gelo avrebbe ucciso, la mente corse alla corsa a cavallo per raggiungerla e poggiarle la stoffa sulle spalle, lo sguardo a scorrere su di lei, profilo asciutto di complice mestizia, occhi bassi di terribile gratitudine, che gli avevano stretto il cuore e l'avevano indotto a lasciarla.
L'amore non si fida della mestizia, della compassione, della pietà.
L'amore rifugge tutto tranne che se stesso e non accetta altri che se stesso e non sopravvive che alimentato dalla propria stessa fiamma.
L'amore è Narciso di sé, imbevuto della propria ubriaca follia…
L'amore non ha luogo ove vivere e nemmeno luogo ove morire, se non in se stesso.
Nel buio, Bernard Chatelet scorse su per la corda, a scalare il muro di cinta dell'edificio prescelto.
Nel buio, André Grandier fece meno fatica, che Victoire e Argo gliel'avevano detto di quello squarcio nella siepe di alloro e arbusti sempreverdi, capaci di ostruire la vista ma abbastanza rinsecchiti da esser violati senza sforzo, in prossimità del muro di cinta di Saint Eustache.
Il grimaldello a scassinare il chiavistello della porta chiusa, mentre il cuore era fermo, la vista attenta a entrare senza urtare nulla, il respiro sospeso ad ascoltare ogni più sinistro cigolio capace d'interrompere questa volta sul serio e per sempre la modesta carriera d'un modesto ladro, che aveva avuto il torto d'aver rubato un cuore.
Aveva tentato di restituirlo, ma quel cuore pareva essersi perduto e dunque era divenuto impossibile da recuperare.
Il respiro in accordo ai passi accorti, le orecchie tese ad ascoltare il respiro di quelli che avessero abitato la casa.
In fondo sarebbe stato divertente fare un baccano del diavolo, svegliare gli ospiti della dimora, incutere terrore e scatenare strilli, scuoterli dall'oblio d'essere solo nobili arricchiti e lei - la dannata Madame Alexandra Roma Lemonde, quella che s'era ritrovata a scrutarlo con sdegno e lui a scrutare lei, a tentare di carpire che diavolo avesse in testa, quella - ricacciata indietro, nella sua pelle di serpe dagli occhi color malva, indegna persino di strisciare…
Chissà quale ingiustizia doveva aver subito nella vita e dunque chissà quale vendetta aveva covato in mezzo alle ragnatele che avvolgevano il cuore…
Il passo cauto, l'unico occhio scorse alla geometria delle stanze, non sapeva se vi fossero guardie o custodi, non gli pareva che Argo gliene avesse fatto menzione, ch'era stato necessario essere prudenti e al moccioso indiano era stato consentito soltanto di fare da sentinella, proprio come fossero stati in guerra, e a quello non gli era parso vero di sbirciare nei dintorni di quella casa, sgusciando dentro la siepe, restando in ascolto di voci e ordini ch'erano parsi i soliti ordini dettati ai domestici, al giardiniere, alla comare che s'occupava della cucina, alle sguatterine addette a lavare lenzuola e panni e…
Non c'era nulla di strano in quella casa, nessuno all'infuori della padrona che passeggiava spesso sue giù per lo studiolo, dilettandosi nella scrittura di lettere, sfogliando volumi d'una ricca biblioteca ch'era ricomparsa d'improvviso a riempire gli scaffali rimasti vuoti e polverosi dopo mesi di assenza, ricamando centrini di pizzo, sistemando fiori nei vasi, alla stessa stregua d'una qualsiasi nobildonna, dedita alla cura del piccolo e grigio e angusto ed egoista mondo d'una dimora nobile ma non sontuosa.
L'unica singolarità, che il moccioso non s'era saputa spiegare, era lo strano via vai di giovani ch'entravano al mattino, al desinare e alla cena, e che uscivano poco dopo, eccetto una – Argo aveva avuto l'ardire di restare a curiosare fino a che il campanile di Saint Eustache non aveva battuto le ventitré – che restava lì, nella casa, a far chissà cosa.
Nulla di strano…
Nulla d'inconcepibile…
Nulla di nulla…
André prese ad aprire le stanze al piano terra, lo studiolo, la cucina, la dispensa e altri due piccoli stanzini ove erano riposte alcune piante che non potevano patire freddo e gelo.
La casa era ordinata, sobria, pulita, silenziosa, se si eccettuava il russare di qualcuno che aveva il sonno pesante, respirava abbastanza rumorosamente, indicando la via di quella ch'era una stanza da letto.
Non trovò nulla nel cammino, se non pesanti candelabri d'argento che sarebbe stato bene lasciare dov'erano, e poi alcuni paramenti sacri, forse doni ricevuti da qualche parente della padrona di casa, che s'era saputo possedere tre stanze nel diroccato convento gestito dai religiosi di Mont Saint Michel, come aveva spiegato Jarjayes, in uno dei tanti racconti sospesi, per via dell'assenza della figlia.
Ed era stato come ritrovarsi dinnanzi all'imbocco di un sentiero, seppur fatto di parole e congetture, più che da pietre miliari e miglia da percorrere, una strada che conduceva verso un luogo lontano, scorto nel viaggio verso Brest e poi mai più rivisto, perché quando era ritornato a casa, la prima volta dall'America, aveva viaggiato in una berlina senza finestre, come si conveniva a un disertore, ladro e assassino, mentre la seconda, dalla Guyana, anche se la finestra c'era, non aveva avuto in animo di scrutare il paesaggio di fuori.
Era inutile cercare i segni della propria terra, che lui avrebbe solo voluto vedere lei, almeno per qualche istante, e scorgere se dal volto fosse trapelato quel disprezzo che lui stesso le aveva piantato nel cuore come un'erba cattiva che a poco a poco soffoca l'arbusto, vincendo persino sulle spine, avvolgendo il povero fuscello, finanche a soffocarlo e ucciderlo.
La stanza era in penombra, appena rischiarata dal tepore d'una candela che s'allargava a illuminare il pavimento ricoperto da tappeti istoriati da scene di caccia con animali sconosciuti nella terra di Francia ma noti nelle terre lontane ove aveva probabilmente viaggiato il marito di Madame Roma.
Il chiarore albino s'allungava sino a metà della stanza mentre la parte superiore sino al soffitto restava immersa nella penombra greve d'una mesta giornata di pioggia.
Sussultò André, il respiro trattenuto, che nel divanetto a lato della stanza giaceva mezza seduta ma fieramente addormentata una ragazzotta, un poco in carne, infagottata in uno scialle di lana, la cuffia in testa, i piedi tirati su, rattrappiti l'uno contro l'altro e la mano sinistra a tener saldamente chiusi i lembi della camicia e sopra di quelli i lembi d'una specie di grembiule.
Non comprendeva, inutile restare, il rischio era alto, non v'era nulla di strano, nulla d'insolito, nulla, eccetto il grossolano russare della giovane, come avvolta da un atavico sonno.
Il passo cedette indietreggiando, lo sguardo intuì quella ch'era una specie di cassa, ampia, di quelle ove si trasportano sacchi di spezie o tappeti o grandi vasi che devono essere avvolti in spessi teli di cotone, così che non finiscano per cozzare tra loro, nel viaggio, urtandosi e finendo in mille pezzi.
Quella casa era pregna di simboli di paesi esotici, forse civiltà scomparse, strappati a popoli e genti lontane…
Il pigolio…
La giovane tirò un respiro più fondo, un rantolo dal naso, insaccandosi ancora di più nella scomoda postura.
Il pigolio…
Il passo…
La curiosità mozzò il battito del cuore, implose la mente entro una sorta di azzardo, un vuoto colmo di niente.
Per la prima volta nella sua vita si trovò di fronte ad una scelta che lo percorse e lo trafisse e lo lasciò incredulo di fronte a sé stesso.
Il passo…
Lo sguardo spaziò attirato da altro…
C'era una sola direzione verso cui rivolgersi da quel momento, la stessa verso cui si sarebbe diretto per tutto il resto della vita.
Lo sguardo si sporse, piano, lentamente, il respiro cadde scorgendo una faccetta tonda, la testa appena ricoperta da lanugine chiara, occhi trasparenti e grandi, che lo scarso chiarore declinava d'un blu profondo.
La penombra impose cautela, l'unico occhio restò fisso, a osservare, scontrandosi col buio, scontrandosi con l'ignoranza di non sapere chi fosse il botolo, ch'era sveglio, ficcato nella cassa, poco più che sul fondo, adagiato s'un morbido materasso di lana o forse cotone grezzo, la copertuccia scalciata via in un angoletto, dall'agitarsi di gambette e braccia, un piede nudo, senza calzetta, che raspava puntando contro il fondo.
L'agitazione dei pugnetti spinti verso la bocca, che s'apriva e si chiudeva, lo sguardo scrutava avanti a sé, forse senza vedere ancora con assoluta capacità.
André si sporse ancora di più, l'ombra chiuse il rettangolo chiaro, gli occhi s'aprirono di più come falene attratte dalla luce, accorgendosi finalmente del volto che l'osservava.
S'immobilizzarono entrambi…
Occhi, respiri e corpi, un poco intimoriti…
L'uno, la bocca dischiusa, l'attenzione catturata, il cipiglio un poco corrucciato che l'ombra incombeva e non pareva conosciuta dunque amica…
L'altro corrotto dall'istinto che avrebbe dettato di ritrarsi, non v'era alcun pericolo se non quello di incutere timore, e andarsene e piantar lì tutto e proseguire la ricerca.
Gli accadde di ritrovarsi sospeso, immerso nello sguardo limpido e trasparente.
Allungò la mano André, il guanto di cuoio nero gemette, le dita s'aprirono a sfiorare…
Gli occhi spalancati…
Se ne accorse André, che ritrasse la mano, evitando di chiudere il pugno così che il cuoio non producesse lo sgradevole stridore capace d'innescare timore.
Si sfilò il guanto, così che la mano fu libera, sospesa…
Che s'allungò la mano, di nuovo e allora la pelle sfiorò la pelle e il dito si trattenne a sfiorare la guancia, intuendo la consistenza liscia e grassoccia della gota.
Il tocco non indusse timore, davvero, bensì un accenno di sorriso, le gengive rosa e visibili dettavano una creatura di pochi mesi, ancora senza dentini, la lingua a giocare a mimare chissà quale godurioso pasto.
Che…
Oscar…
Accarezzarla e baciarla e sentire la sua voce…
Dio, la bocca era la sua…
La bocca di Oscar…
Oscar…
Dovette chiudere gli occhi André, mandar giù pura pazzia, come se quella avesse preso a scorrergli nelle vene, al posto del sangue, e nei polmoni, al posto dell'aria.
Perduto…
Rimase lì, senza nemmeno respirare…
Che si sgranarono allora gli occhi, piano, presero a fissare avanti a sé, forse intuendo una luce che aleggiava accanto.
Blu intenso, a tratti trasparente…
André rimase lì a fissare lo sguardo e quello istintivamente scivolò a quello di lui.
Gli parve davvero che l'altro lo stesse guardando.
Uno sbadiglio…
Il corpo si tese, stirandosi e inarcandosi…
Un mugolio leggero…
Un gorgheggio più intenso…
La ragazzotta alle spalle grufolò un rantolo di fastidio…
"Shhh…" – sussurrò André, accarezzando la guancia, ma non ci fu verso, il gorgheggio divenne strillo, il corpicino sobbalzò come punto da un ramarro, gli occhi si serrarono sdegnati, la bocca s'inarcò in uno scarto d'insofferenza.
Che André fu costretto a ritrarsi, non seppe bene dove, perché era al secondo piano della casa, le tende tirate non offrivano via di fuga s'un balcone o una finestra, la ragazzotta s'era ridestata di colpo, finendo quasi per cascare dal divanetto, mentre dal corridoio s'intuivano passi concitati, come se qualcun altro si stesse precipitando per controllare.
Un moccioso guardato a vista nemmeno fosse stato il figlio del re.
Il cuore riprese a battere forte, la testa diceva di restare lì per osservare e al tempo stesso di andarsene, non tanto per non farsi scoprire, quanto perché se fosse stato scoperto non sarebbe più riuscito a tornare, il moccioso sarebbe stato ingoiato dalla casa, ancora di più di quel ch'era stato fino ad allora, perché in effetti Argo, che ci era entrato diverse volte dalla breccia della siepe, non aveva mai notato la sua presenza, dunque il moccioso non era mai stato portato all'aperto, fuori, in giardino, ch'era troppo freddo forse, se si eccettuava quella volta in cui Victoire aveva preso le misure per gli abiti.
Di fatto nessuno ne sapeva nulla…
L'istinto s'innervò nelle dita inducendo a compiere un passo, afferrare il moccioso e portarlo via da lì, come fosse stato il bene più prezioso, come se non dovesse esser lasciato lì, che quella non era la sua casa.
Pazzo…
Che gli dettava il cervello?
Pazzo…
Si gelava fuori…
E che ne avrebbe fatto poi di quel moccioso?
Il respiro tacque…
Riconobbe Madame Roma spalancare la porta, il moccioso prese a strillare, la ragazza si riassettò la veste, prendendo a sbottonare la camicia.
La padrona di casa sollevò delicatamente il bambino porgendolo a quella che si rivelava essere una balia.
Tutto precipitava e tutto s'annebbiava, come lui fosse tornato indietro, sulla Jason che lo portava via da lei.
In quell'istante comprese che il moccioso non aveva una madre, la ragazza lì per allattarlo.
Madame Roma s'era accomodata sul divanetto, a controllare che il pasto venisse offerto con dovizia e cortesia.
André divenne statua di sale, l'abito nero confuse l'attenzione, mentre dietro la tenda, nell'angolo scuro della stanza, immaginava, fu costretto a immaginare e basta, e le domande s'affollarono e la testa parve scoppiare.
I pochi indizi…
Gli appigli messi assieme, uno dietro l'altro, senza immaginare null'altro, che tutto scivolava e scompariva entro una nebbia fatta di assenza e vuoto, senza confine, come tra cielo e mare, quando la marea copre la terra e tutto è avvolto dall'acqua e non c'è modo di trovare la strada…
La strada…
Mont Saint Michel…
Avrebbe chiesto qualche giorno di permesso, solo qualche giorno, affidato i figli a Rosalie e Bernard e Alain e Marcel e Dante e Gustav e insomma…
Perché alla fine i suoi figli – quei figli – erano figli di tutti.
Sarebbe partito per raggiungere il luogo, dove tutto diveniva senza confine, come tra cielo e mare, quando la marea copre la terra e tutto è avvolto dall'acqua e non c'è modo di trovare la strada.
Non aveva certezza di nulla, l'unica certezza era che sarebbe tornato lì.
Rivedere il moccioso…
André attese, muto, senza muovere un muscolo, pigiandosi contro la parete, divenendo ladro di respiri e parole, ordini e gesti che riuscì solo a immaginare.
Carpire una sola parola in più…
La giovane balia venne congedata in fretta, dopo aver adempiuto al suo compito.
Dunque la padrona di casa – quello non poteva essere suo figlio – si sarebbe occupata del resto.
Nella penombra, altri istanti…
André chiuse gli occhi in ascolto della voce di Madame Roma che cullava il bambino.
A poco a poco la stanza ridiscese nel silenzio, rotto solo dallo schiocco della porta, il vuoto colmo del lieve gesto di scostare la tenda, muovere un passo, ridiscendere con lo sguardo al profilo addormentato.
Avrebbe voluto prenderlo e portarlo via con sé…
Rapirlo, come fosse stato suo.
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