Il convoglio ferroviario sta entrando in quel momento all'interno della Gare de Paris-Saint-Lazare. Hutch guarda dal finestrino a bocca aperta; è abbastanza impressionato: il posto somiglia più a un monumento che a una stazione, o forse è lui a essere abituato a piccole banchine sperdute nel nulla, in effetti, dato che già le stazioni di New Orleans e Le Havre gli erano parse pretenziose. In tutta evidenza non aveva ancora avuto modo di dare un'occhiata a quella di Parigi. Quelle, gli ha appena suggerito Maloney, sbalordendolo più ancora.

«Perché, quante diavolo di stazioni ha questo posto?»

«Cinque, all'ultimo conteggio» lo accontenta, godendosi l'evidente stupore dipinto sul suo viso.

«Cinque?! Per una sola città? Ma che cacchio ci fanno con cinque stazioni?»

«Signor Bessy, Parigi è una grande città, una metropoli. Molta gente si sposta. Chiaramente è necessario fornire i mezzi, a tutta questa gente in movimento» spiega paziente. «Ora, vi consiglierei di svegliare il vostro compagno. Fra pochi minuti il treno si fermerà in banchina e potremo finalmente accedere a Parigi.»

Hutch a quell'esortazione si riscuote dalla sua incredulità e si appresta a fare ciò che gli è stato suggerito, non senza aver lanciato un ultimo sguardo agli edifici che li circondano, chiedendosi se e come riuscirà a sopravvivere in un luogo come quello.

Un'altra sorpresa, stavolta più che gradita, gli giunge quando, dopo aver recuperato i bagagli, si apprestano a raggiungerli sul veicolo di piazza noleggiato per l'occasione: le belle labbra di Cat si arricciano in un sorriso che dà tutta l'idea di essere lieto.

«Che cosa capita?» si informa Hutch, incuriosito.

Cat reclina il capo e il suo sorriso si addolcisce, provocando un breve scompenso cardiaco al suo compagno.

«Parigi. Mia madre l'amava molto. Me ne parlava in continuazione e sempre in toni entusiastici. È stata lei a insistere perché imparassi il francese. "Può sempre tornare utile" mi diceva. Beh, lo ha fatto, in effetti. Anche se all'inizio ci credevo poco.» Fa spallucce, ma la sua allegria non viene meno. «Chi diamine poteva interessarsi al francese in Messico? Ma le ho dato retta, per farla felice più che altro, e ne ho guadagnato una quantità di libri sulla Francia e sulla sua capitale. Quelli sono stati interessanti; avevano anche molte fotografie e immagini, che per un bambino erano essenziali.»

Ridacchia divertito al ricordo e Hutch ha una mezza idea di allungarsi e bersi quella risata direttamente dalla fonte. Poi rammenta che lì di fronte c'è il dottore depravato e desiste da quell'idea, non senza un certo rammarico.

Il resto del tragitto dalla stazione all'albergo lo trascorrono in un silenzio rilassato. Hutch ha il naso quasi appiccicato al vetro del finestrino, come fosse un bambino davanti alla vetrina di una pasticceria, e ammira i viali alberati, i palazzi guarniti, i marciapiedi lastricati, le persone ben vestite che passeggiano chiacchierando, alcune con al seguito cani al guinzaglio, le edicole traboccanti quotidiani e riviste, i negozi che espongono le loro mercanzie con grazia tanto da sembrare tutte boutiques di gioielli, i lampioni fitti come spighe di grano in un campo. Scuote la testa, sempre più frastornato, osservando a bocca aperta gli omnibus sfilare lungo il selciato.

«Sembra un altro mondo» mormora colpito.

«Forse lo è, dopo tutto» gli risponde Cat a bassa voce, intento ad ascoltare i suoni provenienti dalla strada.

Hutch sposta lo sguardo da Cat a Maloney e viceversa. Il dottore annuisce e torna a godersi il viaggio. Hutch si domanda che genere di gente può vivere in un luogo simile, e forse avrà la possibilità di ottenere una risposta durante il loro soggiorno in città.

«Santi numi! Pare quasi una reggia» sbotta Hutch, entrando nel salone d'ingresso dell'albergo.

Cat arriccia il naso, ma sembra piuttosto divertito. «Ti farei presente che attualmente la Francia è una repubblica.»

«Niente re?» si stranisce Hutch, fissandolo piuttosto sconvolto e forse perfino un poco deluso.

Avrebbe quasi il desiderio di aggrapparsi con le braccia al suo collo e baciarlo fino a togliergli il fiato. Peccato siano in mezzo a una sala di ricevimento. Troppi ficcanaso, nessuna riservatezza. Eh sì, un vero peccato. Sogghigna, quello nessuno al mondo potrebbe impedirglielo.

«No, Hutch: niente re. Però, se tu fossi passato di qui almeno diciotto anni fa, ci avresti trovato l'imperatore. Ritieniti fortunato.»

«Oh, so bene di essere fortunato: ho te. Che diavolo potrei volere di più?»

Cat arrossisce, poi sbuffa. «Smetti di scherzare» sibila, scontento per l'imbarazzo.

«Io non scherzo affatto» protesta offeso.

Leva gli occhi al cielo. «Va bene. Allora smetti di giocare a farmi imbarazzare di fronte a tutti e, piuttosto, conducimi alla nostra stanza.»

Hutch sbuffa una piccola risata divertita. «Ero certo che anche tu fossi molto impaziente di visitare la nuova camera.»

«Hutch» sibila, fulminandolo con i suoi occhi ciechi ma ancora perfettamente in grado di mostrare una minima parte della sua furia omicida.

«Va bene, calma. Stavo solo facendo un po' lo scemo.»

«Ogni tanto dici qualcosa di giusto» conviene Cat.

«Simpatico» lo rimbecca, non troppo offeso.

Posa con delicata cura una mano sul suo fianco e rinserra un poco la presa, poi fa strada, conducendolo oltre l'atrio e verso le vaste scalinate che portano ai piani superiori e ai loro nuovi alloggi, almeno per i prossimi giorni. In seguito si vedrà. Cat, in effetti, ha in progetto di trovare un piccolo appartamento in uno dei palazzi della capitale, non troppo centrale ma abbastanza vicino alla clinica del dottor Pearce, di modo da non dare troppo nell'occhio ma al tempo stesso non doversi sobbarcare ore di strada per raggiungere lo studio dello specialista.

Il ragazzo, aggrappato alle sue stampelle, si lascia condurre docile e fiducioso verso la loro meta, sperando in cuor suo che gli possa offrire l'opportunità di riposare per qualche ora, prima di reimmergersi nel caos della metropoli che imperversa là fuori.

Il dottor Maloney se lo sono lasciati alle spalle, per il momento, occupato nelle operazioni di registrazione, e poi forse in un sopralluogo del posto, al fine di soddisfare la sua sempiterna e morbosa curiosità per le novità che offre il loro soggiorno.