Hutch è abbastanza agghiacciato da quel che ha appena rivelato loro il dottor Pearce. Istintivamente ha rinserrato la presa delle braccia attorno a Cat, quasi a voler impedire che quel che prospetta il medico trovi una realizzazione a spese del compagno.

«Un… trapianto? Vuol dire prendere la parte danneggiata e sostituirla con una corrispondente che… apparteneva a qualcun altro?»

Pearce sorride di nuovo, facendo schizzare un brivido gelato su per la schiena di Hutch.

«Invero, non avrei saputo spiegarlo in parole più semplici e chiare. C'è però un problema, o meglio, tre possibili inconvenienti.»

«Nh…» mugola Cat. «Come mai la cosa non mi sorprende?» borbotta sarcastico.

«Vedete, qualunque operazione, di qualsiasi livello, nasconde in sé possibili insidie e inevitabili controindicazioni. Anche la più semplice, per un motivo o per l'altro, può andare male. E il mio campo di studi, e di pratica ultimamente, è complesso e ancora in via di nuove scoperte. Capite bene che, con queste premesse, non posso né mi sento di assicurarvi che possa essere portata a termine, né che anche essendolo tutto fili liscio in seguito. Come dicevo, ci sono degli inconvenienti. Prima di tutto assicurarsi che i vostri occhi, a parte il danno alla cornea, siano sani e, pertanto, possano correttamente tornare a funzionare in seguito all'operazione; e per capire questo servono esami più approfonditi, chiaramente. Ciò stabilito, serve trovare un donatore idoneo; inizialmente i miei colleghi avevano optato per ricambi animali, ma si è presto dedotto che non fossero adatti se inseriti sull'essere umano, pertanto la possibilità è stata scartata. A questo punto non è rimasta che un'opzione.»

«Un altro essere umano. Evidentemente morto» commenta Cat, facendo impallidire il compagno.

«Proprio così. Aggiungerei, a completamento: morto da molto poco, in quanto gli organi di un essere vivente, una volta che il cuore abbia smesso di funzionare, degradano velocemente e diventano presto inutilizzabili.»

Hutch grugnisce, abbastanza scosso dal discorso. Cat non sembra altrettanto colpito. Ma Hutch ha presto imparato che la sua sensibilità è tutta particolare, e che la morte non è necessariamente il male peggiore. Come dargli torto, avendo imparato a conoscerlo.

«Gli altri svantaggi?» indaga a quel punto Cat.

«Una volta trovato il possibile donatore, non è detto che l'organismo del ricevente (in questo caso il vostro) tolleri il trapianto. Vi sono numerosi fattori che inducono il corpo umano a rifiutare quel che ritiene un corpo esterno. In gergo medico si chiama rigetto: accade quando il sistema immunitario dell'organismo del trapiantato attacca il nuovo organo ritenendolo estraneo e quindi potenzialmente dannoso. Non si può fare nulla, se non accettare il fatto compiuto, in quel caso.»

«Non una buona prospettiva» ammette cupo Cat.

«No, infatti. E c'è di più. Fino a ora non è mai stato possibile effettuare un nuovo tentativo.»

«Questo significa che se va male la prima volta non ce ne sarà una seconda» ragiona Cat.

«Proprio così. Almeno, non per il momento. Forse in futuro, ma per quel che ne sappiamo ora ciò non è possibile. Stessa situazione nel caso in cui si presentassero problemi durante l'operazione, o successivamente. Inoltre, è mio dovere informarvi che qualunque organo, trapiantato su un nuovo organismo ricevente, tende a essere meno forte del suo predecessore, più delicato, diciamo, e facile al danneggiamento in casi in cui, normalmente, potrebbe uscirne senza conseguenze. Questo significa che nel caso in cui l'operazione avesse buon esito e il vostro organismo accettasse di buon grado il trapianto, servirebbe porre maggior attenzione ed evitare assolutamente di mettere a repentaglio la salute dei vostri occhi. In caso contrario, come detto prima, non ci sarebbe una seconda opportunità di porvi riparo.»

«Capisco» soffia Cat, apparendo tutto intento a rimuginare sulle parole del dottore.

Il dottor Pearce annuisce e rimane qualche minuto in silenzio, osservando il ragazzo e, di tanto in tanto, l'uomo alle sue spalle che lo stringe possessivamente a sé e gli lancia sporadiche occhiate apprensive.

«Ritengo, a questo punto, di aver presentato le possibilità a grandi linee. Suggerirei che vi prendiate qualche giorno per riflettere su quanto è stato esposto. Sono certo che il vostro dottor Maloney provvederà diligentemente a ricontattarmi, qualora riteniate di voler procedere e fare un tentativo. Dico bene?» domanda all'interessato, riservandogli un sogghigno saputo che, suo malgrado lo fa arrossire lievemente.

Maloney annuisce compunto e rimane rispettosamente in silenzio, attendendo che siano i suoi due compagni di viaggio a decidere in che modo procedere.

«Hutch» soffia in un mormorio appena. L'interpellato si fa attento, aspettando di conoscere il verdetto del suo compagno. «Riportami alla nostra camera, per favore.»

Lo stringe brevemente a sé e annuisce contro la sua nuca. «Certo. Vieni» lo invita, posando piano un palmo in fondo alla sua schiena e aiutandolo a rimettersi in piedi.

Le stampelle di Cat ticchettano regolari lungo il lucido pavimento dello studio privato, dirette verso l'uscita, ma si arrestano prima di raggiungere la soglia.

«Sto pensando che le magre possibilità da voi prospettate non sono propriamente a mio favore. Ma, sapete, niente lo è mai davvero stato» ragiona, rivolto all'oculista, prima di riprendere la strada. «Immagino che tornerò a darvi noia» considera lasciando lo studio.

Il viaggio di ritorno in fiacre è silenzioso. Nessuno, fra i tre uomini a bordo, ha davvero il desiderio di commentare quella prima visita. Hutch stringe a sé Cat come se ne andasse dalla propria vita; e forse non è troppo lontano dalla realtà: di certo ne va della propria sanità mentale, e forse anche di quella del compagno, che dal canto suo si limita a rimanere aggrappato con le dita contratte al suo maglione, morbido e caldo in maniera rassicurante. Di tanto in tanto Maloney sposta lo sguardo su di loro e nei suoi occhi Hutch può scorgere una piccola parte della propria desolazione.

Giunti infine all'hotel che al momento li ospita, finiscono con il separarsi. Maloney adocchia con malinconico desiderio l'angolo bar, ma scuote la testa e si risolve a salire la scalinata che lo condurrà alla propria camera. Hutch accompagna Cat lungo quelle stesse scale, attento ai suoi passi lievemente traballanti, posando di tanto in tanto gli occhi sulla sua schiena e domandandosi quali pensieri passino per la sua testa scompigliata.

Non deve attendere troppo per conoscerli. Una volta richiuso alle loro spalle l'uscio, Cat abbandona le sue stampelle che scivolano rumorosamente a terra, si volta e si aggrappa con forza alle larghe spalle di Hutch, mentre il suo respiro accelera in modo allarmante, spaventando il compagno.

«Cat» soffia atterrito, circondandolo con le braccia.

«Avevo davvero iniziato a pensare che ci fosse una qualche possibilità, sai» bisbiglia in tono cedevole.

Hutch digrigna i denti e serra strettamente le palpebre sugli occhi già mezzi umidi. «Io… M-mi dispiace» smozzica incerto.

«Credi che io valga la pena di tutto quel che ci sta investendo?»

«Cat» ringhia, infuriato. «Smettila. Lo sai che lo penso. Qualunque cosa tu voglia fare, qualunque sia alla fine la tua decisione, potrai sempre contare sul mio appoggio. Io ti amo, e desidero solo che tu stia bene, che tu ritrovi la tua strada, senza rimpianti. Il resto sono cazzate senza importanza. Hai capito?»

«Sì» mugola, mentre tenta di regolarizzare il respiro, il volto mezzo seppellito contro il collo del compagno. «Non lasciarmi andare, Hutch. Ho il terrore di precipitare.»

«Non lo farò. E se cadrai, beh, ti seguirò.»

«L'hai già fatto» soffia scosso.

«Lo rifarei altre mille volte, per altre mille vite. Qualunque cosa, per poterti avere accanto.»