Mi sono presa una pausa dalla storia principale per scrivere tre missing moments, ambientati in tre momenti diversi della vita di Charles ma in qualche modo collegati tra di loro e che si incastrano con l'inizio della storia. Spero che vi piacciano.
Cominciamo con questo: Inferno.
Piccola premessa: io amo First Class e credo che sia fatto benissimo, il ritmo è perfetto e non manca nulla … quasi. Il finale va bene così, ma secondo il mio modesto parere manca qualcosa su Charles tra "Oddio non sento più le gambe" e "Che bello voglio fondare una scuola per i mutanti" ed è proprio questo aspetto che voglio approfondire in questo capitolo.
1. Inferno
"CHARLES! CORRI, CHARLES! CORRI!"
"VAIIIII!"
Raven e Sharon gridavano con tutto il fiato che avevano per incitare Charles, mancavano pochi metri al traguardo, era davanti a tutti … quando finalmente tagliò il traguardo entrambe esultarono battendo le mani e saltando per l'entusiasmo.
Charles rallentò gradualmente la corsa e si fermò poco più avanti, sudato e con il fiatone ma felice, aveva vinto … aveva … Cercò con lo sguardo sua madre e Raven ma all'improvviso tutti iniziò a girare, il verde del prato e degli alberi si fuse in una sola macchia verde che divenne sempre più scura … Cosa stava succedendo? Stava perdendo i sensi? Non era possibile! Era stanco ma non fino a quel punto …
"Charles?"
Sentì che qualcuno lo stava chiamando, una voce lontana, indistinta … era sua madre? No, allora chi era? Era stato dunque solo un sogno?
"Charles!"
Lentamente riuscì a tornare alla realtà. Dove si trovava? Era sudato ma non per la corsa, aprì lentamente gli occhi e si rese conto di essere in una stanza d'ospedale, il piccolo ventilatore posato su uno dei comodini non era sufficiente ad alleviare il caldo. Com'era arrivato lì? Si guardò attorno e vide che accanto a lui c'erano un medico, Alex e Moira ed era stata proprio lei a chiamarlo.
"Mi dispiace doverti svegliare ma il Dottor Torres deve parlarti." disse Alex, visibilmente a disagio.
Charles provò a mettersi più comodo sul letto ma quando provò a muovere le gambe il ricordo di ciò che era successo lo travolse come una valanga: le bombe, il proiettile, il dolore, Erik e Raven che svanivano in uno sbuffo di fumo rosso, tutto tornò alla sua mente come se lo stesse vivendo in quel momento.
Il Dottor Torres prese una sedia e si accomodò accanto a lui, Charles immaginò che non portasse buone notizie così, per permettergli di parlare più tranquillamente, per primo gli si rivolse in spagnolo.
"La ringrazio per essersi preso cura di me."
"È il mio lavoro" rispose lui, rassicurato dal fatto di potersi esprimere nella sua lingua "Purtroppo però non porto buone notizie. Quando è arrivato qui era incosciente e in pessime condizioni."
Charles annuì, ricordava fin troppo bene quelle ultime ore: Erik e gli altri erano svaniti, lasciandoli soli in quella dannata spiaggia e, non potendo per ovvi motivi chiedere aiuto a nessuna delle navi che si trovavano al largo in quel momento, si erano rassegnati ad aspettare.
Avevano atteso, tutta la notte e parte del giorno successivo, Charles concentrato tutto il tempo per captare anche il più piccolo pensiero in avvicinamento e finalmente, quando stava quasi per perdere la speranza lo aveva sentito, un pescatore che passava da quelle parti. Con le ultime forze rimaste era riuscito a condurlo da loro e a costringerlo ad accompagnarli al porto più vicino … poi nulla, doveva aver perso i sensi per lo sforzo eccessivo perché non ricordava più niente.
"Abbiamo provato ad operare per tentare di riuscire a risolvere la situazione ma il danno è troppo grave, non c'è stato niente da fare."
Charles lo vide esitare, credette per un istante che avrebbe detto che se fossero arrivati prima avrebbero potuto fare qualcosa, ma lui non lo disse e Charles non tentò nemmeno di leggergli la mente per verificare se fosse vero, si limitò a stringere il lenzuolo tra le mani tremanti.
"Mi dispiace."
Il Dottor Torres non disse altro si alzò ed uscì dalla stanza mentre Moira prese il suo posto accanto a Charles.
"Andrà tutto bene" gli disse prendendogli la mano "Ti aiuteremo noi, non dovrai preoccuparti di nulla. Hank ci sta aspettando al porto e ovviamente è nascosto."
"Dovremo trovare un modo per tornare a casa" disse Alex "Il jet è completamente distrutto e non credo che ci farebbero salire su un aereo."
Charles lasciò la presa di Moira e in qualche modo riuscì a mettersi seduto, tremava per il pianto represso e i suoi occhi erano rossi e lucidi ma riuscì a ricacciare indietro le lacrime, doveva concentrarsi sul presente.
"Posso occuparmene io" disse "Contatterò Hank e farò in modo che ci raggiunga in aeroporto, una volta lì userò i miei poteri per … non lo so … fare in modo che tutti lo vedano normale e anche per i biglietti non ci sarà problema."
"Sarà troppo faticoso per te! Sei sicuro di riuscire a farcela?"
Charles si limitò ad annuire, sopraffatto da troppe emozioni in quel momento.
"In ogni caso non sarai dimesso prima di un paio di giorni, perciò cerca di riposare, noi penseremo a Hank." disse Alex.
Charles si sforzò di sorridere, Moira lo baciò sulla fronte.
"Noi andiamo, torneremo appena potremo, tu cerca di dormire, va bene?"
Non fu difficile per lui accontentarla, appena uscirono lui tornò a stendersi e si addormentò nel giro di pochi minuti.
Charles conservò pochi ricordi dei giorni seguenti, dopo la lunga degenza in ospedale tutto accelerò all'improvviso, il trasferimento in aeroporto, l'acquisto dei biglietti, lo sforzo per far apparire Hank normale e il sollievo una volta atterrati a New York, sollievo momentaneo perché fu costretto a usare nuovamente i suoi poteri con il tassista che li portò a Westchester. Solo quando finalmente furono soli si lasciò nuovamente andare e si fece inghiottire dalle tenebre dell'oblio per dare tregua al suo corpo e alla sua mente.
Dormì per un giorno intero e quando si svegliò, quando vide Hank raggiungerlo con la sedia a rotelle che avevano portato lì da Cuba, fu allora che tutto il suo mondo crollò, fu allora che capì che quella sarebbe stata la sua vita, che Erik e Raven erano davvero andati via, lo avevano davvero lasciato.
Non fu facile adattarsi a quella nuova vita: Moira, Hank e Alex erano sempre lì con lui e lo aiutavano in ogni situazione ma ben presto iniziò ad essere insofferente verso tutte quelle attenzioni, non sopportava di essere toccato, ogni gesto era eccessivo, ogni domanda inopportuna, tutti cercarono di portare pazienza ma Charles si era chiuso in un silenzio ostile che pian piano li aveva allontanati e lui, inevitabilmente, era rimasto solo. Solo almeno in apparenza, perché senza che lui se ne rendesse conto loro non smisero di aiutarlo: mentre Hank continuava a lavorare alla sua nuova sedia a rotelle Alex e Moira vegliavano su di lui da lontano, assicurandosi che riuscisse a lavarsi e a nutrirsi almeno una volta al giorno.
Quanto tempo era passato? Un mese? No, non così tanto tempo, eppure le giornate si erano dilatate e un minuto era lungo quanto un'ora. Charles trascorreva la maggior parte del suo tempo a letto, si alzava solo per andare in bagno e lavarsi, cosa che era diventata man mano più facile per lui. Agli orari dei pasti arrivavano o Moira o Alex, lasciavano un vassoio con il cibo e se ne andavano senza parlare e Charles non faceva nulla per comunicare con loro. Per quanto tempo sarebbe riuscito a reggere quella situazione? Per quanto tempo avrebbe retto? Non ne parlavano mai ma quella sera fu Moira a spezzare il silenzio a riguardo. Erano in giardino, avevano apparecchiato fuori e, dopo aver cenato, si stavano godendo il fresco della sera.
"Non può continuare così" disse "Dobbiamo cercare di farlo uscire da quella stanza e cercare di aiutarlo ad aprirsi!"
Hank si strinse nelle spalle.
"Non so che dirti, Moira. Io finirò la sua sedia a rotelle e poi … poi non so cosa potrò fare, se lui non vuole essere aiutato non possiamo imporgli la nostra presenza."
"Allora cosa possiamo fare?" chiese Alex "È ovvio che ha bisogno di aiuto! Perché è così cocciuto da non volerlo accettare?"
Hank sospirò.
"Non lo conosco abbastanza da poterlo dire con certezza, ma credo che debba prima superare la perdita. Non intendo le gambe, parlo di Raven, parlo di Erik, credo che sia quello che più di tutti lo ha distrutto dentro."
Alex e Moira non risposero, era evidente che Hank avesse ragione.
Restarono in silenzio per qualche minuto, all'improvviso però sentirono dei rumori in lontananza, dei passi sulla ghiaia che si fecero sempre più vicini e fu solo quando lui apparve che si resero conto che si era introdotto in giardino indisturbato.
"TU!" gridò Hank senza trattenere l'ira, alzandosi di scatto e ponendosi di fronte a lui come una barriera invisibile "VATTENE. ADESSO."
Moira si alzò e d'istinto fece qualche passo indietro, Alex invece lo affrontò, si avvicinò a lui a grandi passi con sguardo minaccioso.
"Non sei il benvenuto. Vattene."
"Devo vedere Charles. Adesso. Per favore."
"Cosa vuoi da lui?" chiese Hank.
"Parlare. Solo parlare. Non farò altro. Lo prometto."
Hank sbuffò, anche se lo aveva aggredito era intimamente felice che lui fosse lì, magari la sua presenza avrebbe dato una svolta alla situazione, magari avrebbe aiutato Charles ad affrontare il suo problema.
"Ti concedo dieci minuti" disse Hank, alzando la mano per zittire le proteste di Moira e Alex "Tra undici minuti verrò a cercarti, sia chiaro "Lui è in camera sua, al piano terra."
Lui annuì e silenziosamente entrò.
Il cielo era nero, le nuvole gravide di tempesta incombevano su di lui con la loro soffocante presenza, gli toglievano il respiro, gli impedivano di pensare lucidamente. Aveva tentato di soffocare quei pensieri ma loro erano tornati, i ricordi di ciò che era successo a Cuba tornavano a tormentarlo nella veglia e nel sonno, deformati dal suo inconscio in incubi ancor più spaventosi; allora si svegliava sudato, andava in bagno e cercava di lavarsi per quanto glielo concedesse la sua condizione, poi tornava a letto, ancora bagnato, per cercare di un luogo in cui nascondersi, ma quei pensieri lo continuavano a braccare senza dargli tregua.
Aveva perso il conto dei giorni, sapeva solo che Hank, Alex e Moira avevano rinunciato ad aiutarlo perché lui non voleva il loro aiuto, sapeva che qualsiasi cosa avessero fatto non sarebbero mai riusciti a salvarlo: come avrebbero potuto loro se nemmeno lui ce l'aveva fatta?
Il sole era tramontato da un po' ma per lui non c'era differenza, che fosse giorno o notte l'oscurità della sua mente si proiettava anche all'esterno, imprigionandolo in un limbo di sofferenza e solitudine. Guardò l'ora, erano da poco passate le dieci di sera. Se si fosse guardato allo specchio avrebbe visto un'immagine molto diversa rispetto a quella che ricordava: pallidissimo, i capelli sporchi erano spettinati e la barba incolta di diversi giorni segnava ancor più profondamente le sue guance scavate.
Si mise a sedere e con un gesto svogliato prese il libro posato sul comodino nella vana speranza che almeno la lettura lo potesse distrarre dai pensieri. Aveva appena ritrovato il punto in cui si era interrotto poche ore prima quando sentì la porta aprirsi. Si voltò di scatto e lo vide.
Era lui.
Era proprio lui.
Erik.
Indossava ancora quell'odioso elmo, quell'elmo che aveva creato una barriera tra di loro e li aveva separati per sempre.
"Vattene."
Non disse altro e si immerse nella lettura del libro, un romanzo abbastanza banale ma ideale per non pensare.
"No, non posso."
Charles sogghignò.
"Lo hai già fatto una volta, non è stato difficile allora e non lo sarà adesso. Vattene."
"No, Charles. Non me ne andrò. Non stavolta. Non finché non ti avrò parlato."
Charles non rispose, il suo intento era farlo andare via ma Erik lo prese come un invito a proseguire.
"Sei l'unico che mi capisce" disse "L'unico che sa cosa ho passato, l'unico che può essere veramente dalla mia parte. Ti voglio al mio fianco, Charles. Ti prego, torna sui tuoi passi e …"
Fino a quel momento Charles era rimasto serio, ma all'improvviso scoppiò a ridere, una risata folle e spaventosa che fece indietreggiare Erik.
"Torna …" iniziò, tra una risata e l'altra "Torna sui tuoi …" rise ancora, poi tornò improvvisamente serio e la sua voce si fece cupa e buia come la notte "Che infelice scelta di parole, amico mio. Io non posso fare nessun passo, non posso più camminare!" gridò, indicando la sedia a rotelle accanto al letto.
Erik impallidì.
"Non sapevo … io non …"
Charles non lasciò che lui si giustificasse, non aveva bisogno delle sue scuse, sarebbero state inutili e fonte di dolore.
"Ora, per favore, vattene e non farti più vedere. Mai più."
Charles parlava a Erik, in realtà si stava rivolgendo a quei pensieri distruttivi che lo avevano tormentato fino a quel momento, il suo sguardo era determinato, limpido nell'intento di cacciarlo e il Signore del Magnetismo non potè far altro che che andarsene in silenzio così come era arrivato.
Charles tremava, vedere Erik aveva risvegliato emozioni e sentimenti che fino a quel momento aveva cercato di sopprimere, erano tornati alla luce più forti e più devastanti. Con un senso di urgenza che non aveva mai sperimentato prima si allungò verso la sedia a rotelle, con movimenti incerti riuscì a sedersi e, superando a fatica gli abiti sparpagliati a terra, raggiunse la porta mentre cercava dove si trovassero Hank, Alex e Moira: li trovò in giardino e lì corse come se ne andasse della sua stessa vita.
Loro tre erano ancora lì, avevano appena visto Erik andarsene con la coda tra le gambe ma vedere lui li lasciò a bocca aperta. Charles si avvicinò, quando fu abbastanza vicino scese dalla sedia a rotelle e si sedette a terra, quasi in posizione di supplica.
"M-mi dispiace … vi chiedo perdono … io …"
All'improvviso tutto il dolore, tutta la rabbia, tutto ciò che aveva soppresso esplose in una sola, potente, crisi di pianto. Pianse, grosse lacrime fluirono dai suoi occhi come un elisir curativo, lenirono le ferite, diedero nuova vita alla sua speranza, si lasciò andare senza vergogna, senza paura di essere se stesso, di essere debole, di aver bisogno di aiuto.
Moira si inginocchiò accanto a lui e lo abbracciò, imitata da Hank e Alex.
"Siamo qui, Charles. Siamo sempre stati qui."
Charles annuì mentre continuava a piangere, buttando fuori in una sola volta ciò che fino a quel momento aveva trattenuto, come un fiume in piena; solo dopo, quando fu troppo stanco per continuare a piangere, si sentì meglio.
Quella notte Charles dormì, godette di un sonno profondo e senza sogni, per la prima volta dopo quel giorno; credeva di essersi liberato di tutto quel buio, della tempesta che lo aveva tormentato fino a quel momento, non si era reso conto però che proprio da quell'oscurità era caduto un seme che aveva trovato dimora nella sua anima, per il momento era ancora dormiente, ma avrebbe iniziato a germogliare e presto o tardi avrebbe trovato la sua strada per venire alla luce.
