Avevano bisogno entrambi di un po' di aria, di spazio per pensare. Così la mattina seguente hanno preso da parte Maloney e lo hanno reso edotto sui loro progetti a breve termine: una passeggiata, possibilmente tranquilla, per le vie di Parigi, magari anche una fermata presso qualche caffè carino, perché no? Maloney ha sorriso, non uno dei suoi soliti ghigni saputi, ma un piccolo sorriso rammaricato e insieme cautamente speranzoso. Se lo sono fatto bastare. Lasciare l'hotel è il primo passo verso la ricerca di una qualche soluzione, o almeno di una presa di posizione.

«Come ti senti?» chiede Hutch, apprensivo, mentre percorrono a piedi, con molta calma, rue Saint-Georges.

«Abbastanza stremato.»

Hutch sgrana gli occhi. «Possiamo fare una sosta, se vuoi» pigola incerto.

Cat sospira. «Non è questo. Parlo di una questione mentale, Hutch.»

«Oh… Scusa» mugola contrito.

«Hutch. Cercavo solo di spiegarti, non intendevo recriminare alcunché, soprattutto non a te.»

«Mi sento sempre come se non ci stessi capendo nulla. E ogni volta che mi dai una risposta che non mi aspetto… non fai che confermare la mia impressione.»

Cat sorride. Il cuore di Hutch salta un battito. Oh, firmerebbe volentieri per fare la figura dell'idiota tutto il santo giorno, se in cambio potesse ottenere quel che vede in quel momento. Purtroppo non funziona sempre, solo di tanto in tanto. Solleva gli occhi, e cruccia le sopracciglia.

«C'è una strada enorme, con una quantità esorbitante di veicoli ed equini, poco distante proprio davanti a noi. Forse è il caso di prendere qualche via trasversale più piccola» considera impensierito.

«Come preferisci. Fai pure strada» accetta senza porsi problemi.

Posa una mano sul suo fianco e rinserra un po' la presa per guidarlo, mentre devia tagliando per una strada molto più piccola, che somiglia più a un vicolo, tant'è vero che, se leva il naso al cielo, quel che vede sono per lo più balconi e panni stesi. Quello è indiscutibilmente il centro abitato più strano che abbia mai visto: pochi metri separano mondi differenti; un momento prima traffico assordante, boutiques pretenziose e strilloni dalle gole riarse, un momento dopo massaie che spazzano i portoni, file di panni stesi ad asciugare e fornai che gettano rifiuti.

«Mah!» borbotta confuso.

«Che c'è?» si incuriosisce Cat.

«C'è che questo posto è allucinante e incomprensibile» ammette sconfortato.

«Questo capita perché non sei abituato a bazzicare le grandi città» fa ragionevolmente notare.

«Tu sì?»

«Beh, di grandi città ne ho viste. Nessuna in Europa, ma una metropoli è tale anche nel nuovo mondo. Giri un angolo di strada e ti ritrovi in un quartiere che sembra appartenere a un luogo completamente differente.»

«Esatto! Proprio quel che è capitato poco fa» conferma Hutch, allucinato.

«Non è così sorprendente. Sono certo che con il tempo e l'esperienza ti ci potresti abituare senza troppi problemi. Forse potremmo…»

Hutch non ha la più pallida idea di quel che aveva in mente di proporgli Cat. Tutto quel che sa è che lo ha afferrato e stretto a sé mentre un'ombra indefinita piombava su di loro. Il suo ragazzo ha emesso un lieve singulto sorpreso, facendosi inavvertitamente sfuggire di mano le stampelle, e poi ha ringhiato qualcosa di abbastanza irripetibile e ha cercato di divincolarsi dalla sua stretta. Nel frattempo l'ombra indefinita si è rivelata essere un ragazzino magro, sporco e malvestito che se l'è data a gambe il più velocemente possibile.

«Hutch! Maledizione, mollami. Quel mostriciattolo mi ha frugato nelle tasche, che cazzo!» protesta Cat, elargendogli un broncio corrucciato.

«Scusa» mormora, incassando la testa fra le spalle. «Non sapevo che diavolo fosse e… ho pensato volesse farti del male» tenta di spiegarsi Hutch.

«Invece voleva solo borseggiarmi. Il piccolo teppista mi ha fregato il portafogli» lagna scontento.

«Mi spiace. L'orologio l'hai ancora con te?»

«Uhm…» tentenna, rovistandosi nelle tasche. «Sì, è qui» conferma, estraendolo e rigirandoselo fra le dita. «Non so neppure perché me lo porto appresso, tanto non posso comunque vedere che diavolo di ore sono.»

«Cat» protesta flebile.

«Beh, è la verità dopo tutto. Lo vuoi tenere tu? Almeno lo potresti usare, quando serve.»

Hutch lo fissa a occhi sgranati, tramortito dallo sconcerto. «Ma… Hai sempre detto che mi avresti tagliato le mani se le avessi allungate troppo» prova invano a protestare.

Cat fa spallucce. «Quello era prima. Ora di certo il fatto che tu possa toccare i miei oggetti personali non sembra più così importante. Poi, volendo essere pignoli, hai allungato le mani per ben altro, negli ultimi tempi, e sono ancora ben salde al loro posto.»

Hutch arrossisce brutalmente e Cat gli offre un sorrisetto bastardo che ha l'effetto di fargli andare il sangue alla testa (e in posti addirittura più scomodi).

«Smettila. O finirò con lo spalmarti contro il primo muro libero e allungare di nuovo le mani» minaccia con tutta la serietà del caso.

«Oh, questa sì mi piacerebbe vederla» lo istiga senza troppo pudore.

Per un soffio non gli va a sbattere contro, nella sua corsa frenetica.

«Olivier! Dis donc, ti sembra la maniera? Un po' di attenzione, fichtre!»

«Oh! Pardon, Arsène. Non ti avevo visto, lo giuro!»

Leva gli occhi al cielo, esasperato. «Cento volte, forse più, ti avrò detto di non chiamarmi in quel modo. Solo mia madre se lo poteva permettere, e tu non lo sei. Per te, come per tutti gli altri, sono solo Lupin. Guai a te se vai in giro a chiamarmi con altri nomi.» Si china sul ragazzetto, con una luce diabolica negli occhi. «Lo verrei a sapere, e sarebbero guai seri.»

«Oh, no! Figurati! Ma lo sai che ti cercavo, appunto? Guarda, l'ho fatto tutto da solo!» esclama esultante, mostrando al ragazzo che ha di fronte il suo meraviglioso bottino. «Pensa che l'ho fregato a un tizio che se ne barcollava per il vicolo qui di fronte con un paio di stampelle» ride, tutto tronfio e soddisfatto.

Cruccia la fronte, interdetto. «Ça alors! Fammi capire bene: hai appena levato il portafogli a un povero diavolo che già di suo faticava a stare in piedi?» sbotta, mentre la sorpresa si spande amara nel suo giovane petto.

«Beh, credo proprio di sì. E da quel che ho visto prima, mentre li studiavo (perché ce n'erano due, uno grande e grosso, l'altro più sottile e zoppo), quello del portafogli non ci vede neppure.»

L'occhiataccia che si becca gli chiude la bocca in un decimo di secondo. «Tu, razza di testone! Pensavo di averti insegnato meglio di così. Quante volte ti ho ripetuto che se sei in cerca di spicci per il pranzo e le medicine è a quelli ben vestiti e con il borsello gonfio che devi chiedere? Invece tu che fai? Vai in giro a fregare i poveracci che magari stanno peggio di te. Non ti vergogni nemmeno un po'?»

«M-ma… Arsène…» pigola scombussolato.

«Lupin! E vedi di usare la testa quando fai una cosa. Se ti ripesco a sgraffignare i soldi della povera gente… ebbene, ti assicuro che sarai molto, molto triste e dispiaciuto. Ora mostrami dove si trovano queste persone. Vado a rendergli quel che ti sei permesso di rubare.»

«Ma…»

«Niente ma! Chiudi la bocca, apri le orecchie e muovi quelle gambe. Avanti, march!»