«Posso farti una domanda, giovane Lupin?»
Arsène spazzola dal proprio piatto l'ultimo pezzetto di tartiflette e annuisce. «Certo. Chiedete pure.»
«Puoi non rispondere se… se ti crea problemi» tentenna, consapevole di stare per impicciarsi di fatti che non lo concernono.
Un sorriso illumina il viso di Arsène. «Ho capito: volete chiedermi come mai i tre tizi del vicolo ce l'avevano con me.»
Cat sgrana impercettibilmente gli occhi, poi annuisce piano. «È proprio quel che intendevo fare, sì. Sei estremamente perspicace.»
«Mi è stato detto» conferma pensieroso. «Dunque, tutta la storia è un poco lunga e intricata. Per farla breve e non farvi sprecare tutto il pomeriggio, dovete sapere che un'amica di qui mi ha riferito, alcuni giorni fa, che il mese scorso qualcuno ha sottratto alla sua famiglia un oggetto un tempo appartenuto a suo nonno: si tratta di un diario. Non aveva idea di chi potesse averlo fatto. Inizialmente pensava di averlo smarrito. In breve, ha domandato la mia assistenza e così mi sono messo a indagare sulla sparizione. Ho trovato infine l'oggetto, nelle mani di… ehm… una persona di cui non dovrei fare il nome in mezzo a un locale pieno di gente. Bref! Ho tenuto d'occhio l'abitazione di questa persona negli ultimi tre giorni, per capire in che modo potessi recuperare l'oggetto sottratto, e oggi, appunto, avevo giusto deciso di mettermi all'opera. Solo che…»
«I tre tizi erano lì dove in teoria non avrebbero dovuto trovarsi» completa per lui Cat.
«Giustamente! Non li avevo mai veduti, nei giorni precedenti. Dove diamine si fossero nascosti, mentre perdevo tempo a sorvegliare quella stupida villa, non lo so davvero. Tant'è, me la sono dovuta dare a gambe levate, cela va sans dire. Erano pure in quattro, solo che uno s'è fermato molto prima (era un pochetto tracagnotto e, beh, gli mancava quel che qui si usa definire le physique de l'emploi, vous comprenez?)»
«Assolutamente» conferma con un sorrisetto dei suoi, facendo ticchettare la punta delle dita sul tavolo accanto a Hutch.
«Scusa, che vorresti insinuare con questo?»
«Proprio nulla» garantisce, con l'espressione angelica più falsa del mondo.
Hutch grugnisce, contrariato. «Ma alla fine questo diario lo hai ripreso oppure no?»
«Dame! Certo che sì. È stato un recupero un po' burrascoso, lo devo ammettere, ma non l'ho di sicuro lasciato lì, nelle grinfie di questo tizio. Con che faccia avrei potuto ripresentarmi davanti a Juliette, così, a mani vuote?» protesta Arsène, levando in aria le braccia con fare drammatico e teatrale. «Sono cose che non si fanno. Le avevo dato la mia parola» mugugna, offeso dalla scarsa stima tributata alle sue capacità gestionali.
«È chiarissimo. E sono certo che Hutch non aveva intenzione di offenderti» assicura Cat, nel tentativo di placare il malumore del giovanotto.
«In sostanza, mi sembra di capire, hai la tendenza a metterti nei pasticci un giorno sì e l'altro pure» inquisisce Hutch.
Viene abbagliato da un enorme sorriso raggiante. «Dove sarebbe, altrimenti, il divertimento in questa vita?»
«Lo chiami divertimento?»
«Eh bien, lo è, per certi versi. D'accordo, alcuni momenti non lo sono troppo. Ma volete mettere il brivido dell'imprevisto, della sorpresa. Qualche cosa di sempre nuovo ed entusiasmante. Misteri continui da risolvere, enigmi da scoprire, rebus da interpretare. C'è qualche motivo migliore per vivere? Oltre all'amour, bien entendu.»
«Merda!» prorompe Hutch, schiantandosi con la fronte sul tavolo.
Arsène si volta verso Cat, in cerca di qualche indizio. «Ho forse detto qualcosa di sbagliato?»
Cat gli regala un lieve sorriso comprensivo. «Sì e no. Hutch non ama granché gli imprevisti e le grane.»
«Io odio le grane!» abbaia Hutch, ancora semi disteso sulla sua seggiola.
«Giusto» conviene Cat, annuendo indulgente. «Lui odia i problemi e i contrattempi. E, a sua discolpa, ultimamente ce ne sono franati addosso a non finire.»
«Oh!» si rammarica Arsène. «Je suis désolé. Mi dispiace moltissimo di avervi turbato.»
«Non è colpa tua. Non potevi saperlo» lo tranquillizza Cat.
«Quindi, è forse per questo che vi trovate qui a Paris? Evadere dai problemi.»
«Nh… In verità, piuttosto per risolverne almeno uno. O provarci, se non altro» lo corregge Cat.
Arsène si mordicchia una guancia, pensieroso. «Se posso… enfin… esservi di un qualche aiuto, potete far conto su di me, vous savez.»
«È un'offerta gentile. E forse, a ben pensarci, qualcosa ci sarebbe» esita, incerto.
Hutch, accanto a lui, aggrotta la fronte, dubbioso. Invece di obiettare, decide di attendere per avere qualche informazione in più.
Arsène al contrario si sfrega le mani, impaziente di poter entrare in azione e tentare finalmente di sdebitarsi. «Dite pure senza problemi.»
Cat trae un respiro profondo, infine si decide. «È probabile che trascorreremo una certa quantità di tempo in questa città. Stavo appunto progettando di trovare un appartamento senza troppe pretese ma che sia più vicino a… un determinato luogo» spiega cauto. Non può avere la certezza che il giovane Lupin sia degno di fiducia, eppure qualcosa gli sussurra che hanno dell'affinità e che, forse, potrebbero trovare un punto di connessione, magari più d'uno. Però sono in un locale pubblico, e di certo non tratterà della loro vita privata di fronte a perfetti estranei. «Può darsi che tu, che frequenti abitualmente la città, abbia la possibilità di conoscere qualcuno che dispone di un posto in cui stabilirci per un certo tempo.»
Arsène si prende qualche momento per rifletterci. «Può darsi» ammette, senza sbilanciarsi. «Penso che potremmo parlarne in maniera più approfondita. Magari altrove?»
Un piccolo sorriso soddisfatto sboccia sulle labbra di Cat. Il loro nuovo, giovane amico, è decisamente una persona perspicace e acuta. Gli sarebbe certamente piaciuto poter fare la sua conoscenza quando ancora disponeva di tutta l'autonomia che desiderava. Purtroppo al momento è terribilmente limitato, e di conseguenza lo sono anche i loro possibili rapporti.
«Dove?»
Arsène si stringe nelle spalle, dimenticando per un istante di non poter essere scorto. «Posso pensarci? Nel frattempo potremmo passeggiare nei giardini qui vicino per digerire il buon cibo.»
Il sogghigno che gli tributa Cat gli dice che sì, sono decisamente sulla stessa lunghezza d'onda.
«Très bien! Andiamo, allora» esclama, battendo le mani felice.
Affonda quelle stesse mani nelle tasche e ci fruga dentro. Qualche spicciolo dovrebbe essergli ancora rimasto. Ma ha idea che presto dovrà fare rifornimento. Ah, voilà! Trovati. Qualche moneta già tintinna sulla lignea superficie del tavolino del bistrot, quando il grosso bestione borbotta qualcosa che Arsène non afferra al volo. Forse si tratta di qualche espressione gergale? Solleva cautamente gli occhi.
«Che succede?» arrischia, già iniziando a fare l'abitudine al carattere irascibile del soggetto.
Hutch però non sembra arrabbiato, solo un pochetto seccato. Scuote la testa. «Fino a prova contraria l'invito era nostro. Rimettiti in tasca le tue belle monetine. Ci pagherai il prossimo di pasto.»
«Ah, ça alors! Di questo passo non salderò mai il mio debito» protesta, vanamente vista l'espressione granitica che sfoggia Hutch. Leva le mani in aria, scontento ma persuaso dell'inutilità delle sue proteste. «Bah, come volete voi» si arrende.
E mentre Hutch si occupa di pagare il conto delle loro consumazioni, Arsène fa qualcosa che nessuno dei presenti si era aspettato, forse neppure lo stesso Arsène. Aggira il tavolo che li ha tenuti separati fino a quel momento e afferra, con un gesto curiosamente fanciullesco, una mano di Cat, suggerendogli con una lieve stretta di stare tranquillo.
«Vous venez?» mormora, improvvisamente imbarazzato e fin troppo conscio del proprio gesto.
Hutch si sofferma a osservare Arsène, poi Cat, poi la sua mano stretta in quelle più minute del ragazzino. Sbuffa, scrollando il capo con rassegnazione.
«Avanti, forza. Muovete il culo, sciocchi ragazzini. O volete svernare in questo locale?» esclama, prima di catturare entrambi in un paio di bracciate e trascinarli fuori quasi di peso, tra lo sghignazzare di Arsène e l'occhiata di finto biasimo di Cat.
