E anche per quel giorno ha concluso. Certo, l'indomani, con tutta probabilità, ci saranno altri guai da sistemare. Ma, dopotutto, domani è un altro giorno! Aggrotta la fronte, confuso. Gli pare di aver già sentito prima qualcosa di simile, ma non ha proprio in mente quando né dove. Bah! Che importa? È stanco, ora, e ha voglia di andare a sbronzarsi da qualche parte in città, e magari divertirsi, magari con qualcuno. Sorride speranzoso a quell'eventualità.
Levata la tuta da lavoro, macchiata e unta, e datosi una bella ripulita, si riveste alla bell'e meglio con abiti un po' rattoppati ma lindi ed esce dal magazzino, avviandosi verso la città. A piedi, certo, e per due solidi motivi: per primo perché non possiede un'automobile; e per secondo perché, se anche la possedesse, non se la sentirebbe di portarla con sé e rischiare di mandarla a sfracellarsi in qualche fosso perché non è lucido a sufficienza da distinguere la via asfaltata dalla campagna.
Mentre si fa strada lungo lo sterrato che lo condurrà in mezzo al traffico cittadino, nella tiepida sera che si avvia rapidamente al crepuscolo, gli pare di udire un sottile ronzio nell'aria tranquilla. Corruga le sopracciglia, interdetto; reclina il capo di lato, provando ad ascoltare con maggior attenzione. Il rumore sale di intensità, oppure si sta ingannando? Si volta alla sua destra, poi alla sua sinistra, ma non scorge nulla di strano, nulla di diverso dalla solita e conosciuta campagna circostante e dalla strada che scorre placida e serpeggiante in mezzo a prati e alberi.
Scrolla le spalle, perplesso. Sta per rimettersi in marcia quando si rende conto che il suono che prima non era riuscito a identificare ora è più distinto, prende un più chiaro significato nella sua testa: è il ronzio regolare del motore di un aeroplano. Ancora si guarda attorno, stavolta con gli occhi puntati verso il cielo, ma non riesce a scorgere nulla, tranne alcune nuvole sfilacciate e l'aranciato infuocato del tramonto che va presto imbrunendosi. Tra poco il cielo si tingerà di viola, poi pian piano si scurirà fino al nero. Ma lui non vede nessuna luce nel grande cielo sopra la sua testa, il che significa che l'aereo ne è sprovvisto, il che significa che il folle ai comandi del velivolo se la dovrà vedere da solo con la pista ombrosa, perché neppure quella ne ha di luci.
Solleva un braccio e si gratta la testa, pensieroso. Continua a non vederlo, ma il suono del motore si sta facendo più distinto, quindi deve essere vicino, e dev'essere un monomotore.
E infine lo avvista, là, proprio a pochi palmi dall'orizzonte scuro, e spalanca la bocca, e quasi scoppia a ridere. È un affaretto minuscolo, appena un puntino insignificante che si allunga tremolante nell'aria calda e umida. Un puntino più scuro dell'orizzonte, che a breve si sfracellerà sulla pista ormai nera come l'inchiostro. Fottuti piloti!
〜
È indeciso. Dovrebbe andare a controllare, forse. Si mordicchia un labbro, incerto sul da farsi. Gli altri piloti se ne sono già andati a casa loro da un bel pezzo. Naso è partito da poco meno di mezz'ora per raggiungere la famiglia. I due meccanici che lavorano come lui al campo volo saranno già in qualche bettola a giocarsi la paga. Rimane la guardia che pattuglia il perimetro di notte, e la squadra delle emergenze. Loro potrebbero fare al caso, in effetti. Se le cose andassero storte (e viste le premesse c'è una forte probabilità che accada), un'autobotte è proprio quel che ci vuole. Inaspettatamente avverte lo stomaco contrarsi. Digrigna i denti, contrariato, e scuote la testa. Che cazzo ci sta a fare uno stronzo di pilota in cielo a quell'ora, in un posto non attrezzato e senza un aereo adeguato? I piloti di Naso sono idioti, questo è un fatto, ma nemmeno loro lo sarebbero abbastanza da andarsene a zonzo dopo il tramonto. Quindi dev'essere uno di fuori, magari uno che stava giusto cercando un posto per atterrare perché il suo aereo è in avaria. Fottuti piloti!
〜
Alla fine si è deciso a tornare sui suoi passi. Non che avesse davvero molte altre scelte. Poteva fregarsene, è pur vero. Solo che Salud non è tipo da fregarsene, se c'è qualche cosa che può fare in proposito.
Non riesce più a distinguerlo, nell'oscurità dell'imbrunire. Però il suo motore lo sente ancora. Chissà se ha già scovato la pista? Salud la sta raggiungendo giusto in quel momento, ed è davvero una lunga e indistinta striscia d'inchiostro. Freme e si stampa in testa l'unica regola da non scordare mai, ma proprio mai: evitare di prendere il volo dopo il crepuscolo senza una strumentazione adeguata. Fatto.
Il rombo del monomotore lo riporta bruscamente alla realtà. Per sicurezza si tiene a lato della pista. Non si sa mai che il pazzo riesca a centrarla e si ritrovi di fronte Salud a fare da ostacolo. Sarebbe veramente bella, questa. Pochi momenti dopo spalanca di nuovo la bocca, suo malgrado sorpreso, mentre il suono inconfondibile delle ruote che toccano terra precede di poco quello dei freni. Ora lo distingue, anche se a mala pena. Sta procedendo a zig zag lungo la pista, rallentando progressivamente senza sforzare troppo sui freni. E infine lo scorge fermarsi dolcemente poco più avanti del punto in cui sosta Salud. E quest'ultimo scuote la testa, basito e suo malgrado ammirato. Quel bastardo di pilota sarà anche uno svitato, ma sa di certo il fatto suo. Ora, più rilassato, si avvia per dare un'occhiata al nuovo arrivato e sincerarsi che sia tutto intero.
«Ehi, amico» lo apostrofa una volta giunto a tiro d'orecchi.
Lo scorge appena voltarsi verso di lui, evidentemente altrettanto sorpreso dalla sua comparsa.
«Oh! Accipicchia. M'era parso di intravedere qualcuno nei paraggi, ma non ero troppo sicuro che fosse qualcuno in carne e ossa, così, sai… Ehm… Mi hai messo paura, chiunque tu sia.»
Salud storce il naso, piccato. «Io, eh? E tu che scendi giù dal cielo di notte come un fantasma, allora?» protesta.
Il pilota ride. Salud resta un lungo momento sospeso, quasi di sasso. Quella risata, sembra quella di un bambino.
«Giusto. Scusa, è che ho calcolato male i tempi e non sono riuscito a trovare una pista più adatta e abbastanza vicina. Quindi le scelte erano due: o mi sfracellavo in mezzo alla foresta, oppure tentavo con questa pista. Tu cosa avresti scelto?»
«La foresta» borbotta Salud, indispettito.
E il pilota ride di nuovo, con lo stesso identico effetto sui nervi del suo interlocutore. «Che gran racconta balle, sei.»
Offeso, mette il broncio, poi sbuffa. «Non sono un pilota. Ma nella mia ignoranza preferirei non trovarmici proprio a dover scegliere.»
«Eh, non hai tutti i torti. Ehi, senti, mi dispiace se ti ho spaventato. Volevo solo portare a terra il mio aereoplano e la mia pelle assieme a lui.»
Salud sospira ma è costretto ad ammettere che il pilota bastardo un po' di ragione ce l'ha. Decide di farsi più vicino, perché è da quando il monomotore ha toccato terra che qualcosa nella sua testa gli urla quanto cattiva sia stata la sua idea, e vuole proprio capire perché.
Giunto accanto all'aereo si rende conto di quanto effettivamente sia piccolo e di nuovo si ritrova a scuotere la testa abbastanza allibito.
«Sei arrivato fin qui con questo giocattolino tutto da solo?» non può evitare di stupirsi.
«Vedi forse qualcun altro? E anche se avessi voluto, il posto a bordo è uno solo. Scommetto che andrebbe giù come un masso in un lago, se ci salisse una seconda persona. Se ci salissi tu, è probabile che non decollerebbe proprio» scherza il pilota, fissandolo con tanto d'occhi nonostante l'oscurità incombente non gli possa offrire un quadro preciso di quel che si ritrova di fronte.
«Sei parecchio spiritoso, per uno che ha appena rischiato l'osso del collo a bordo di un aereo per le bambole» lo redarguisce.
«Il mio Comper Swift funziona come qualsiasi altro aereo! Quindi non permetterti più di insultarlo» si inalbera il pilota.
Salud sorride. Il primo segnale positivo da quando ha udito il ronzio del motore di quel piccolo velivolo. Un pilota che difende il suo aereo. Il mondo non fa poi così tanto schifo, in fin dei conti.
