Il lento dondolio del suo cavallo al passo culla i suoi pensieri turbolenti. Si sente ancora abbastanza stravolto dalla recente esperienza di pre-annegamento, ma ritiene, a un'indagine interiore abbastanza oggettiva, di essere ancora in possesso di tutte le sue facoltà mentali o per lo meno di buona parte di esse; in parole povere è sano di mente, quanto meno dovrebbe esserlo in base ai canoni di giudizio dell'essere umano medio. Allora, per l'amor del cielo, per quale ragione si ritrova a chiedersi, con imbarazzante ritardo, che assurda follia sia quella che si sta proponendo di mettere in atto di lì a breve?

Poco più avanti il cavallo nero di Bill si fa strada attraverso bassi arbusti spinosi e pietrisco, condotto con mano sicura dal suo padrone. Digrigna i denti, osservando la sua schiena a occhi socchiusi e ponderando sulla possibilità di farla finita immediatamente e piantargli una pallottola fra le scapole. Scuote la testa, frustrato. Ha voluto e desidera un duello faccia a faccia. Leale. Già, che gran bella pensata, non è vero? Ma è tutto predisposto a quel punto, e ne ha abbastanza di guardarsi le spalle, di spostarsi in continuazione, di ammazzare scagnozzi senza cervello ma con buone scorte di proiettili. Serve una fine a tutto questo. Certo, potrebbe essere la sua di fine, al posto di quella di Bill, ma in ogni caso otterrà ciò che desidera: un momento di pace e il termine dei suoi incubi, se non altro sul lungo periodo. E se non sarà la fine di Bill, ebbene vorrà dire che il momento di pace si rivelerà decisamente più lungo di quanto pensasse all'inizio.

Freme, mentre il suo cavallo inizia la salita con passo attento ma deciso. Ventitré anni sono una vera miseria per tirare le cuoia, ma non si può certo decidere quanto a lungo restare al mondo, vero? Spera di avere ancora del tempo, ma se così non dovesse essere se ne farà una ragione. Oppure no. Bah, che importanza ha, ora? Sono arrivati, ormai. Eliminare quel serpente a sonagli travestito da volpe è in cima alla sua lista delle questioni da risolvere. In seguito si vedrà.

«Allora, Doc, dov'è il mio oro?» si informa Bill, appena smontato da cavallo guardandosi intorno e ripescandolo dal fondo dei suoi foschi crucci.

Lo fissa nello sguardo nero e perennemente ironico, le sue sopracciglia si increspano appena di fastidio.

«Non è tuo, l'oro. A parte questo, direi proprio sotto i tuoi piedacci» strascica, indicando con il pollice giusto accanto alla punta degli stivali di Bill un tratto di terra polverosa più in piano che copre a mala pena il legno consunto della cassa.

La vecchia volpe abbassa repentinamente lo sguardo scuro, sorpreso, poi un sorriso deliziato distende le sue labbra e i denti affilati baluginano come zanne. Spicca un brevissimo balzo, atterrando rumorosamente sul legno.

«Di nuovo insieme, bellezza!» esclama, allargando il sorriso. Solleva gli occhi, puntandoli in quelli chiari di Doc. «Quindi, sentiamo, che vorresti ora per questo bel regalo?» domanda divertito.

«Renderti un favore».

Reclina la testa di lato, incuriosito. «Guarda un po'. Sul serio? E quale dei tanti vorresti rendermi?» lo deride, sfarfallando le dita in aria.

«Quello che mi hai fatto poco prima di scomparire nel nulla per dieci mesi» precisa laconico.

«Oh, quello!» esclama sogghignando. «Beh, ti ringrazio per il pensiero gentile, ma temo sia piuttosto difficile dar fuoco a un mucchio di pietre» fa notare con scherno.

Sospira piano, sogguardandolo da dietro le ciglia abbassate. «Non è fuoco, stavolta. È esplosivo, sufficiente a farti fare un bel volo su per il cielo. Nessun trucco, niente sotterfugi né imbrogli. Solo una cassa di dinamite» spiega asciutto e succinto, fissandolo con durezza, un bagliore crudo e violento che lampeggia nei suoi occhi blu.

Lo sguardo di Bill saetta oltre le spalle di Doc, scorgendo solo arida desolazione, gira su sé stesso, scandaglia il terreno e finalmente individua l'annunciata cassa, semi-mimetizzata dalla sabbia e dagli arbusti rinsecchiti; da lì si dipana un sottile filo scuro che si ferma poco lontano da loro. Una miccia, in tutta evidenza. Le palpebre della volpe hanno un tremito violento, una sorta di tic nervoso. Torna a dare attenzione all'unico altro essere vivente dei paraggi, questa volta con occhi attenti.

«Vedo» mormora, suo malgrado nervoso. «Un bel lavoro, preparato con cura» ammette, al momento incapace di scorgere una via d'uscita sicura a quel pasticcio. «E se ci finissi tu nella polvere?» domanda preoccupato.

Doc fa spallucce, all'apparenza disinteressato alla prospettiva. «C'è il rischio» concorda pacato.

Bill stringe le labbra, sospira. Poi annuisce e il sorriso sornione torna a disegnarsi sul suo volto.

«Molto bene, allora» replica, senza riuscire davvero a credere nelle sue stesse parole. Conosce Doc da molto più tempo di quanto sia salutare ammettere e sa fin troppo bene di cosa è capace. Lo ha osservato in passato, lo osserva ora, e comprende quanto non vi siano scappatoie all'attuale calamità. Forse un colpo di fortuna, forse un imprevisto, lo potrebbero aiutare. In caso contrario ha proprio l'impressione che dovrà rassegnarsi a un addio prematuro alla sua vita, per davvero stavolta.

Doc si muove verso di lui e Bill si tende suo malgrado, ma il ragazzo devia dalla traiettoria prima di raggiungerlo e si dirige verso la miccia, evidentemente intenzionato a complicare ulteriormente la situazione. Non che ci possa fare molto, del resto. Se tentasse di fermarlo adesso gli si rivolterebbe contro riducendolo a un puntaspilli con i suoi maledetti coltelli da lancio prima ancora che riesca a estrarre l'arma dalla fondina.

D'un tratto un faticoso strascicare di stivali sul terreno pietroso sorprende entrambi facendoli voltare verso valle, allarmati dalla novità. Doc si scosta con un gesto brusco dal fianco di Bill, portandosi a distanza di sicurezza per evitare brutti scherzi e resta a osservare con nervosismo il sentiero che li ha condotti entrambi sulla collina scabra e polverosa. E sgrana gli occhi, scorgendo alfine la chioma scura e arruffata del maledetto bestione rompiscatole e guastafeste profilarsi contro il cielo slavato. Sta per sibilare un'imprecazione stizzita, ma non ne trova il tempo. Alla testa scarmigliata di Hutch si aggiunge, giusto sotto, la doppia bocca nera di una carabina puntata sui due litiganti e, per lo meno a giudicare dall'occhiata incazzata che lancia loro, Doc indovina senza eccessivi problemi che sia tutto fuorché lieto di averli trovati insieme giusto accanto alla sua preziosa cassa dell'oro. Sospira, scoraggiato, prevendo complicazioni al suo piano tutto sommato così semplice e lineare.