Il carnevale di Venezia
* La storia si sbolge cronologicamente dopo l'OAV, nella mia immaginazione Athos è il marito di Milady, così come avviene nel romanzo, anche se questa ff prende spunto dalle vicende dell'anime.
* Il lettore troverà in questa storia temi e immagini che ho affrontato in passato: i rimandi sono molti. Si tratta di temi a me cari che ho rimescolato come un mazzo di carte e una nuova partita ne è uscita fuori. Buona lettura.
"E adesso, dopo il dovere il piacere!" esclamò il Porthos, sollevato ora che il principe Philippe aveva terminato l'incontro con il Doge.
"Questa sera di guardia ci saranno gli altri e noi festeggeremo il Carnevale a Venezia!". Un'altra squadra di moschettieri avrebbe preso il posto dei quattro inseparabili, e loro avrebbero avuto la serata libera. Al contrario di Porthos e di D'Artagnan, Athos trovava la proposta indifferente, tuttavia decise comunque di mescolarsi con la folla alla festa del Conte Altieri se non altro per curiosare prima di rifugiarsi in qualche locanda più solitaria. Aveva apprezzato molto il vino greco in quei giorni e avrebbe chiesto a Aramis di unirsi a lui per la bevuta, ma il suo amico ora era sparito. E così Athos si ritrovò nel mezzo di una folla festante in una notte ove il sacro si mescola al profano, il giorno alla notte, i poveri si scambiano con i potenti, le femmine si invertono con i maschi e i maschi con le femmine. In una sala illuminata da luci e specchi le maschere volteggiavano a tempo di musica e il vino greco inebriava gli animi cancellando la pesantezza dell'aria palustre. Una luce dorata e risa indistinte, costumi variopinti si mescolavano ai suoi occhi in una sfilata vorticosa dove era facile perdere i punti di riferimento. E infatti già dei suoi commilitoni non c'era più traccia, assorbiti anche loro dal turbinio della folla. In fondo al salone fondo gli sembrò di veder ricomparire Aramis per mano ad una dama vestita con una maschera di ninfa, Porthos sollevava per la vita una figura di sottile cavaliere con una maschera, solo una ciocca di capelli biondi sulla schiena rivelava l'inganno. Il suono di mille violini riempiva l'aria di musica e a quelle note ondeggiavano frotte festanti nascoste dalle maschere. Quanti eccessi, quanti inganni quella notte avrebbe portato? Sorrise tra sé divertito, ma per nulla intenzionato a fare parte del turbinìo. Si aggirava tra la gente osservando. Nessun travestimento lo mascherava, ma, pensò, che in quella sera la sua divisa da moschettiere di Francia avrebbe potuto benissimo essere scambiata per un costume.
Molte dame si inchinarono a lui invitandolo a ballare, con un sorriso le rifiutò una per una, passando oltre. Allora anche qualche cavaliere gli sorrise ammiccante e egli indifferente tralasciò anche loro con grazia, proseguendo nell'infilata di saloni. Per fuggire al caldo si affacciò sul Canal Grande da un balcone. Umido, salmastro e freddo riempirono le sue narici stancate da effluvi densi di danze e corpi troppo profumati. Si perse nell'ammirazione di quella città di cui tanto aveva sentito parlare nei suoi studi di ragazzo e le cui immagini aveva sempre guardato con curiosità.
Dopo un po' si rese conto di non essere solo su quel balcone. Dietro di lui era corsa a trovare rifugio all'esterno anche un'altra figura, una donna. Il colore del suo abito catturò il suo sguardo, era uno splendido broccato cremisi intrecciato a fili di oro che disegnavano figure cangianti come i riflessi della luna sul mare.
Era una dama alta, dalla fisionomia asciutta, il corsetto decorato da fiocchi rossi che donavano una certa dolcezza, una discreta scollatura incorniciava un collo di cerva scolpito nel marmo. Una maschera di pizzo nero celava il volto i cui tratti, intuiva, erano definiti e bellissimi. Anche lei lo fissò e si inchinò. Qualcosa negli occhi di lei scagliò un dardo dentro di lui, un dardo che egli, reputandosi superiore, scambiò per curiosità. Una volta catturatone lo sguardo ella gli porse la mano guantata in un gesto elegante di invito. Il dardo dentro di lui scalzò distacco e razionalità, e ogni buona intenzione si disperse nel carnevale. Il moschettiere pensava di cedere a una momentanea pazzia, al gioco di una sera, ad un breve scherzo. Rientrarono. Un cameriere passò con dei calici, ella ne prese due e gliene offrì uno, lo vuotarono senza una parola. Poi posò l'indice sulle labbra, lo prese per mano e si mescolarono alle coppie danzanti. Si muoveva leggera ed elegante. Quando furono stanchi bevvero ancora e ancora e poi di nuovo in altre danze, in altre sale, e attraverso altri corridoi sospesi sui canali, in altri palazzi. A volte l'aria marina salmastra gli indicava che erano usciti all'aperto e poi rientravano, superando folle festanti, tra balli e coppie impegnate in baci proibiti. Altro vino, altre danze alla luce delle fiaccole, al suono dei violini. Aveva un piccola bocca vermiglia, gli zigomi alti accennati sotto il pizzo nero, il colore degli occhi celato dalla notte. E i suoi capelli di quel magnifico color Tiziano che le donne di Venezia sanno conferire con bagni di sole e tinture. La scollatura aperta sfiorava la clavicola e sotto al pizzo bianco che incorniciava il petto si intuivano forme di amazzone. Flessuosa come una gazzella, silenziosa come un uccello la donna dall'abito rosso lo guidava e Athos non si chiedeva più dove fosse il suo distacco, dove fosse la sua ragione. Ella, la sua ragione, ballava mascherata e ubriaca, per mano ai suoi sensi, in girotondo. La corsa dei due terminò su un altro balcone spalancato sul Canal Grande, la nebbia che si alzava sollevava il sipario sui palazzi sospesi sul mare, belli come Athos non credeva possibile. La luce filtrava dalla foschia e ogni cosa era velata e soffusa, come le musiche e gli schiamazzi vocianti in sottofondo. Lui disse qualcosa, lei non rispose. Forse era straniera, pensò lui e ed andava bene così, senza parlare, nulla c'era da dire. Bastava la follia del momento, bastava Venezia. Bastava il Carnevale.
La baciò quando la luna spuntò dalle nuvole rischiarando d'argento ogni cosa, tra scoppi di fuochi di artificio che coloravano la notte e fu attraversato dai raggi di luna e da una vertigine dimenticata, qualcosa di misterioso, qualcosa di sconvolgente, qualcosa di familiare. Poi lei lo prese per mano e corsero ancora via, e lui si lasciò condurre da quella macchia vermiglia, solo per appartarsi ogni tanto dietro una colonna per baciarla ancora, per convincersi che non fosse un sogno quel brivido. Un dedalo di scale e corridoi, una lunga scala chiocciola che si apriva su un'anticamera, infine una porta si chiuse dietro di loro. Troppo preso da lei non vide nulla, era buio quando crollò su un letto e non seppe più nulla che non fosse estasi.
Aveva creduto di allontanare la passione dalla sua vita e che mai vi avrebbe di nuovo ceduto, eppure non ebbe il tempo di ricredersi quando affondò sul petto scarno di quella sconosciuta in rosso che lo aveva catturato solo con tre fiocchi di seta.
Quale misteriosa magia lo incollasse a lei non avrebbe saputo dirlo, ma sentiva, a differenza del passato, di essere ricambiato nella passione, di essere voluto, cercato e ricambiato. Quale malia portava quella donna a essere tanto dolce e appassionata con lui?
Forse il modo di baciarlo, con una mano che si insinuava leggera tra i suoi capelli, dietro l'orecchio e fino alla nuca, conducendolo verso di lei. Un gesto che lo fecero sentire autenticamente desiderato, condotto con reciproco trasporto l'uno verso il corpo dell'altra. Nessuna donna aveva preso quella piccola iniziativa con lui, mai sua moglie. E non fingeva questa donna ora, ogni roco sospiro emesso da quelle labbra era autentico e ne ebbe la conferma indiscussa quando i suoi baci si spinsero molto molto oltre il consentito. Strana creatura profumata di rosa, un corpo femminile asciutto e forte, privo di ogni piena morbidezza eppure in grado di rivolgergli ogni dolcezza. Ogni infinita, proibita, folle dolcezza fino a che dai giardini chiusi tra alti palazzi cominciò e riecheggiare il canto delle allodole, messaggere dell'alba. Fu in quel momento che il moschettiere crollò stringendo tra le braccia la misteriosa creatura che lo aveva conquistato con il rosso della sua veste, ebbro di sentimenti che aveva creduto di poter cacciare dal suo cuore e dai suoi sensi, sperando di svelarne ogni mistero al risveglio e di averla ancora.
A risvegliarlo poche ore dopo fu invece la luce che dalle tende aperte di colpo gli giunse dritta, quasi rumorosa come uno sparo. Aprì gli occhi con la sensazione che qualcuno lo stesse fissando. il calore e dolcezza da cui era avvolto si dissolsero come la fiamma di una candela spenta da un colpo di vento.
"Aramis", esclamò il moschettiere alla vista del suo compagno che, vestito di tutto punto e con in mano il cappello, lo osservava interpellandolo con gli occhi.
"Ben svegliato! Vi stiamo tutti aspettando, si parte!", Athos ripiombò sulle lenzuola con un tonfo prima di riordinare le idee, sconvolto dalla brusca interruzione della sua estasi. Era nella sua stanza? Ma come ci era giunto? Non ricordava di aver trascorso lì la notte. E poi dove era sparita la sua amante? Sentiva ancor il suo caldo abbraccio, il suo petto dove si era addormentato.
"Aramis, avete per caso visto qualcuno uscire dalla mia stanza? Qualcuno per i corridoi?". Il moschettiere biondo era già verso la porta.
"No, non ho visto nessuno", rispose asciutto Aramis.
Athos si alzò e si rivestì ma non smetteva di interrogarsi su come fosse giunto nel suo letto. Non certo dalla porta della sua camera, ricordava distintamente una scala a chiocciola, poi un'anticamera e poi erano caduti sul suo letto insieme. Ma la sua camera dava su un ballatoio ove si affacciava anche quella di Aramis, comunicante con la sua.
Ricordava una scala a chiocciola, ma allora ci doveva essere una parete nascosta. Il moschettiere esaminò ogni parete e ogni anfratto e nulla trovò. Frustrato pensò di aver vissuto un sogno, o di essere stato drogato, di essere vittima di quel carnevale pazzo. La maliarda in rosso non esisteva, era frutto della sua allucinazione, e lui adesso ricordava sogni di amplessi che lo facevano sentire sognante e svuotato, e ammantato di una dolcezza vischiosa.
La strega, pensava, mi ha avvelenato. E un brivido di terrore lo percorse quando arrivò ad ipotizzare che poteva essere stata Milady a gettarlo in quello stato, a irretirlo ancora. Ma poi si diede dello sciocco, perché conosceva bene il corpo di sua moglie ed era certo che la donna con cui aveva trascorso la notte non potesse in alcun modo essere lei: nessuna morbida curva, nessun marchio sulla spalla. E poi Anne era morta da tempo. Eppure… qualcuna doveva averlo allucinato, perché non ricordava nulla di come fosse giunto nella sua camera, ricordava, una scala a chiocciola e un'anticamera…
Furibondo si chinò per infilarsi gli stivali, dandosi dello sciocco, rimproverandosi di non aver ancora imparato a non fidarsi delle donne, a non cedere mai alle loro lusinghe neanche quando sembrano innocue, a pensare che mille artifici esse possono approntare per incantare… diede insomma colpa alla magia di una strega e quasi finiva per preferire di sentirsi oggetto di un maleficio. Infatti se qual languore fosse stato frutto di un inganno, lui certamente sarebbe stato uno stupido di fronte a se stesso, ma d'altro canto era preferibile passare da cretino piuttosto che ammettere che lei fosse esistita davvero. Perché se davvero lei fosse esistita come avrebbe fatto a ritrovarla? Come sperare di dimenticarla e trovare requie?
Il moschettiere, a dispetto delle sue buone intenzioni di non lasciarsi coinvolgere da implicazioni amorose, aveva almeno imparato a conoscere questo di se stesso, ovvero a saper riconoscere l'intensità di un sentimento quando lo provava e a prevedere la durata del tempo che sarebbe occorso per farselo passare. In questo caso, la sensazione potentissima che lo scuoteva gli lasciava presagire che quel tempo di ripresa fosse indefinito. Ecco perché cercava di tenersi alla larga da certe avventure e ecco anche perché, pur se erano passati pochi minuti dal suo brusco risveglio, egli seppe subito che quel sentimento dentro di sé, non sarebbe passato tanto presto e maledisse Aramis per averlo strappato dai suoi dolci sogni.
Fu allora che il suo sguardo fu attratto da qualcosa sul pavimento. Un fiocco rosso, un fiocco di seta rossa.
Allora era stato reale e non un sogno! Avrebbe dovuto ritrovarla in qualche modo. Come? Dovette partire invece, con gli altri. Tutti lo attendevano in barca. Il principe lo fece chiamare al suo fianco per riprendere un discorso su alcuni passi di Virgilio che avevano discusso durante il viaggio di andata, e non ci fu il tempo neanche per poter immaginare un diversivo e rimanere a Venezia.
"Aramis, questa notte avete dormito nella vostra camera?", chiese Athos al suo amico due ore dopo, mentre dal mare guardava Venezia sfumare tra le nebbie della laguna, come un grosso animale marino si inabissava nell'oceano. La donna in rosso era là, in quella foschia, ma lui se la sentiva ancora addosso, come se sedesse al suo fianco come Aramis in quel momento.
"certamente, perché?", rispose l'altro guardando il mare.
"e non avete sentito nulla… o meglio notato nulla di strano?".
"Non saprei Athos… in questa notte non ho prestato molta attenzione a ciò che avveniva fuori dal mio letto…ah questo Carnevale!" sospirò Aramis, tornando a guardare le acque opalescenti.
"non so come sono giunto nel mio letto", bisbigliò Athos e rifletteva ancora.
Tacque fino a che non toccarono la terraferma, poi il gruppo si mise in marcia. Era tempo, dopo un mese e più di viaggio di tornare in Francia. Solo il suo senso del dovere lo trattenne dal girare indietro il cavallo e ritornare verso la Laguna.
Settimane di viaggio li aspettavano, valico di monti con il ghiaccio e con gli asini. Athos ebbe l'incarico dal Capitano De Treville di coordinare molti aspetti della traversata delle Alpi, gli incarichi assegnati non consentivano di assentarsi e di riprendere la via di Venezia, eppure se lo riprometteva ogni sera, coricandosi. Il Principe Philippe e i suoi moschettieri sarebbero arrivati in Francia in tempo per vedere Parigi sotto i fiori della primavera. Athos sospettava che il suo cuore non si sarebbe scaldato con la bella stagione. Il suo cuore era rimasto a Venezia. Nella tasca strinse forte il fiocco di seta rossa. Era ripiombato nella miseria dell'amore. A volte si odiava, a volte sognava, a volte beveva. Durante quel viaggio i suoi compagni lo udirono parlare non più di due o tre volte.
"Aramis, siete davvero sicuro di non aver avuto sentore di nulla? In fondo io ero nella stanza da molto tempo più di voi e non ero solo…"
Aramis lo guardò da sotto in su. "Neanche io ero solo Athos, proprio per questo non so altro … Cercate la donna che era con voi?".
"Era vestita di rosso, portava una maschera di pizzo nero, è scomparsa all'alba prima che potessi vederla in viso."
"Il suo nome?".
Athos scosse la testa "non so nulla di lei, non mi ha detto una parola, aveva una parrucca bionda e gli occhi, chiari credo, forse verdi, forse azzurri…".
Aramis alzò gli occhi.
"Ma pensate seriamente di poterla ritrovare?".
Athos lanciò uno sguardo furente al suo amico.
"Sono piombato in una cupa miseria Aramis e ciò mi rende un povero sciocco, dimenticate quello che vi ho chiesto", disse Athos dopo un lungo silenzio. Il sorriso di Aramis prese una piega amara. Solo perché sarebbe stato insensato Athos continuava a resistere da voltare il cavallo e tornare indietro, resisteva a quella idea ogni minuto del giorno e della notte.
"Mi avete insegnato a lasciare andare queste miserie, Athos, a non inseguire i sogni…il mio amore veneziano era magnifico, ma lì lo lascerò, è stato un dolce sogno…".
Athos estrasse dalla tasca il fiocco rosso.
"Ma lei non era un sogno".
Una volta discesi i valici alpini il gruppo finalmente fu in Svizzera, prese alloggio nella casa di un ricco mercante. Letti caldi, un bagno e ottima zuppa quella sera li attendevano. La cena fu interrotta dall'arrivo di tre uomini trafelati che venivano da Parigi per il capitano De Treville. Erano svizzeri in realtà, avevano cercato il Capitano in Francia, ma non trovandolo avevano avuto alla guarnigione le informazioni per raggiungerlo ove si trovava con la massima volta che tolsero le pesanti pellicce Athos notò che indossavano una livrea che aveva già visto, ma non riusciva a ricordare dove. Il principe Philippe fu poi raggiunto da tutti quegli uomini e anche Aramis fu chiamato nel corso della serata a unirsi al ristretto conciliabolo. Tornato al tavolo il moschettiere non commentò l'accaduto con i suoi amici, ma l'espressione del suo volto era grave. Athos non chiese nulla neanche quando più tardi si ritrovò a condividere lo stesso letto con il suo amico, così come tante volte era accaduto nella loro vita di soldati. Aramis dormiva quieto sul fianco dandogli immobile le spalle. Non immaginava Athos che invece il moschettiere biondo lasciava correre silenziose lacrime sul cuscino, mordendo le lenzuola per soffocare i singhiozzi e attendeva, come sempre capitava in questi casi, il regolare ronfare dell'amico prima di concedersi di prendere un po' di sonno.
Il carnevale di Venezia
* La storia si sbolge cronologicamente dopo l'OAV, nella mia immaginazione Athos è il marito di Milady, così come avviene nel romanzo, anche se questa ff prende spunto dalle vicende dell'anime.
* Il lettore troverà in questa storia temi e immagini che ho affrontato in passato: i rimandi sono molti. Si tratta di temi a me cari che ho rimescolato come un mazzo di carte e una nuova partita ne è uscita fuori. Buona lettura.
"E adesso, dopo il dovere il piacere!" esclamò il Porthos, sollevato ora che il principe Philippe aveva terminato l'incontro con il Doge.
"Questa sera di guardia ci saranno gli altri e noi festeggeremo il Carnevale a Venezia!". Un'altra squadra di moschettieri avrebbe preso il posto dei quattro inseparabili, e loro avrebbero avuto la serata libera. Al contrario di Porthos e di D'Artagnan, Athos trovava la proposta indifferente, tuttavia decise comunque di mescolarsi con la folla alla festa del Conte Altieri se non altro per curiosare prima di rifugiarsi in qualche locanda più solitaria. Aveva apprezzato molto il vino greco in quei giorni e avrebbe chiesto a Aramis di unirsi a lui per la bevuta, ma il suo amico ora era sparito. E così Athos si ritrovò nel mezzo di una folla festante in una notte ove il sacro si mescola al profano, il giorno alla notte, i poveri si scambiano con i potenti, le femmine si invertono con i maschi e i maschi con le femmine. In una sala illuminata da luci e specchi le maschere volteggiavano a tempo di musica e il vino greco inebriava gli animi cancellando la pesantezza dell'aria palustre. Una luce dorata e risa indistinte, costumi variopinti si mescolavano ai suoi occhi in una sfilata vorticosa dove era facile perdere i punti di riferimento. E infatti già dei suoi commilitoni non c'era più traccia, assorbiti anche loro dal turbinio della folla. In fondo al salone fondo gli sembrò di veder ricomparire Aramis per mano ad una dama vestita con una maschera di ninfa, Porthos sollevava per la vita una figura di sottile cavaliere con una maschera, solo una ciocca di capelli biondi sulla schiena rivelava l'inganno. Il suono di mille violini riempiva l'aria di musica e a quelle note ondeggiavano frotte festanti nascoste dalle maschere. Quanti eccessi, quanti inganni quella notte avrebbe portato? Sorrise tra sé divertito, ma per nulla intenzionato a fare parte del turbinìo. Si aggirava tra la gente osservando. Nessun travestimento lo mascherava, ma, pensò, che in quella sera la sua divisa da moschettiere di Francia avrebbe potuto benissimo essere scambiata per un costume.
Molte dame si inchinarono a lui invitandolo a ballare, con un sorriso le rifiutò una per una, passando oltre. Allora anche qualche cavaliere gli sorrise ammiccante e egli indifferente tralasciò anche loro con grazia, proseguendo nell'infilata di saloni. Per fuggire al caldo si affacciò sul Canal Grande da un balcone. Umido, salmastro e freddo riempirono le sue narici stancate da effluvi densi di danze e corpi troppo profumati. Si perse nell'ammirazione di quella città di cui tanto aveva sentito parlare nei suoi studi di ragazzo e le cui immagini aveva sempre guardato con curiosità.
Dopo un po' si rese conto di non essere solo su quel balcone. Dietro di lui era corsa a trovare rifugio all'esterno anche un'altra figura, una donna. Il colore del suo abito catturò il suo sguardo, era uno splendido broccato cremisi intrecciato a fili di oro che disegnavano figure cangianti come i riflessi della luna sul mare.
Era una dama alta, dalla fisionomia asciutta, il corsetto decorato da fiocchi rossi che donavano una certa dolcezza, una discreta scollatura incorniciava un collo di cerva scolpito nel marmo. Una maschera di pizzo nero celava il volto i cui tratti, intuiva, erano definiti e bellissimi. Anche lei lo fissò e si inchinò. Qualcosa negli occhi di lei scagliò un dardo dentro di lui, un dardo che egli, reputandosi superiore, scambiò per curiosità. Una volta catturatone lo sguardo ella gli porse la mano guantata in un gesto elegante di invito. Il dardo dentro di lui scalzò distacco e razionalità, e ogni buona intenzione si disperse nel carnevale. Il moschettiere pensava di cedere a una momentanea pazzia, al gioco di una sera, ad un breve scherzo. Rientrarono. Un cameriere passò con dei calici, ella ne prese due e gliene offrì uno, lo vuotarono senza una parola. Poi posò l'indice sulle labbra, lo prese per mano e si mescolarono alle coppie danzanti. Si muoveva leggera ed elegante. Quando furono stanchi bevvero ancora e ancora e poi di nuovo in altre danze, in altre sale, e attraverso altri corridoi sospesi sui canali, in altri palazzi. A volte l'aria marina salmastra gli indicava che erano usciti all'aperto e poi rientravano, superando folle festanti, tra balli e coppie impegnate in baci proibiti. Altro vino, altre danze alla luce delle fiaccole, al suono dei violini. Aveva un piccola bocca vermiglia, gli zigomi alti accennati sotto il pizzo nero, il colore degli occhi celato dalla notte. E i suoi capelli di quel magnifico color Tiziano che le donne di Venezia sanno conferire con bagni di sole e tinture. La scollatura aperta sfiorava la clavicola e sotto al pizzo bianco che incorniciava il petto si intuivano forme di amazzone. Flessuosa come una gazzella, silenziosa come un uccello la donna dall'abito rosso lo guidava e Athos non si chiedeva più dove fosse il suo distacco, dove fosse la sua ragione. Ella, la sua ragione, ballava mascherata e ubriaca, per mano ai suoi sensi, in girotondo. La corsa dei due terminò su un altro balcone spalancato sul Canal Grande, la nebbia che si alzava sollevava il sipario sui palazzi sospesi sul mare, belli come Athos non credeva possibile. La luce filtrava dalla foschia e ogni cosa era velata e soffusa, come le musiche e gli schiamazzi vocianti in sottofondo. Lui disse qualcosa, lei non rispose. Forse era straniera, pensò lui e ed andava bene così, senza parlare, nulla c'era da dire. Bastava la follia del momento, bastava Venezia. Bastava il Carnevale.
La baciò quando la luna spuntò dalle nuvole rischiarando d'argento ogni cosa, tra scoppi di fuochi di artificio che coloravano la notte e fu attraversato dai raggi di luna e da una vertigine dimenticata, qualcosa di misterioso, qualcosa di sconvolgente, qualcosa di familiare. Poi lei lo prese per mano e corsero ancora via, e lui si lasciò condurre da quella macchia vermiglia, solo per appartarsi ogni tanto dietro una colonna per baciarla ancora, per convincersi che non fosse un sogno quel brivido. Un dedalo di scale e corridoi, una lunga scala chiocciola che si apriva su un'anticamera, infine una porta si chiuse dietro di loro. Troppo preso da lei non vide nulla, era buio quando crollò su un letto e non seppe più nulla che non fosse estasi.
Aveva creduto di allontanare la passione dalla sua vita e che mai vi avrebbe di nuovo ceduto, eppure non ebbe il tempo di ricredersi quando affondò sul petto scarno di quella sconosciuta in rosso che lo aveva catturato solo con tre fiocchi di seta.
Quale misteriosa magia lo incollasse a lei non avrebbe saputo dirlo, ma sentiva, a differenza del passato, di essere ricambiato nella passione, di essere voluto, cercato e ricambiato. Quale malia portava quella donna a essere tanto dolce e appassionata con lui?
Forse il modo di baciarlo, con una mano che si insinuava leggera tra i suoi capelli, dietro l'orecchio e fino alla nuca, conducendolo verso di lei. Un gesto che lo fecero sentire autenticamente desiderato, condotto con reciproco trasporto l'uno verso il corpo dell'altra. Nessuna donna aveva preso quella piccola iniziativa con lui, mai sua moglie. E non fingeva questa donna ora, ogni roco sospiro emesso da quelle labbra era autentico e ne ebbe la conferma indiscussa quando i suoi baci si spinsero molto molto oltre il consentito. Strana creatura profumata di rosa, un corpo femminile asciutto e forte, privo di ogni piena morbidezza eppure in grado di rivolgergli ogni dolcezza. Ogni infinita, proibita, folle dolcezza fino a che dai giardini chiusi tra alti palazzi cominciò e riecheggiare il canto delle allodole, messaggere dell'alba. Fu in quel momento che il moschettiere crollò stringendo tra le braccia la misteriosa creatura che lo aveva conquistato con il rosso della sua veste, ebbro di sentimenti che aveva creduto di poter cacciare dal suo cuore e dai suoi sensi, sperando di svelarne ogni mistero al risveglio e di averla ancora.
A risvegliarlo poche ore dopo fu invece la luce che dalle tende aperte di colpo gli giunse dritta, quasi rumorosa come uno sparo. Aprì gli occhi con la sensazione che qualcuno lo stesse fissando. il calore e dolcezza da cui era avvolto si dissolsero come la fiamma di una candela spenta da un colpo di vento.
"Aramis", esclamò il moschettiere alla vista del suo compagno che, vestito di tutto punto e con in mano il cappello, lo osservava interpellandolo con gli occhi.
"Ben svegliato! Vi stiamo tutti aspettando, si parte!", Athos ripiombò sulle lenzuola con un tonfo prima di riordinare le idee, sconvolto dalla brusca interruzione della sua estasi. Era nella sua stanza? Ma come ci era giunto? Non ricordava di aver trascorso lì la notte. E poi dove era sparita la sua amante? Sentiva ancor il suo caldo abbraccio, il suo petto dove si era addormentato.
"Aramis, avete per caso visto qualcuno uscire dalla mia stanza? Qualcuno per i corridoi?". Il moschettiere biondo era già verso la porta.
"No, non ho visto nessuno", rispose asciutto Aramis.
Athos si alzò e si rivestì ma non smetteva di interrogarsi su come fosse giunto nel suo letto. Non certo dalla porta della sua camera, ricordava distintamente una scala a chiocciola, poi un'anticamera e poi erano caduti sul suo letto insieme. Ma la sua camera dava su un ballatoio ove si affacciava anche quella di Aramis, comunicante con la sua.
Ricordava una scala a chiocciola, ma allora ci doveva essere una parete nascosta. Il moschettiere esaminò ogni parete e ogni anfratto e nulla trovò. Frustrato pensò di aver vissuto un sogno, o di essere stato drogato, di essere vittima di quel carnevale pazzo. La maliarda in rosso non esisteva, era frutto della sua allucinazione, e lui adesso ricordava sogni di amplessi che lo facevano sentire sognante e svuotato, e ammantato di una dolcezza vischiosa.
La strega, pensava, mi ha avvelenato. E un brivido di terrore lo percorse quando arrivò ad ipotizzare che poteva essere stata Milady a gettarlo in quello stato, a irretirlo ancora. Ma poi si diede dello sciocco, perché conosceva bene il corpo di sua moglie ed era certo che la donna con cui aveva trascorso la notte non potesse in alcun modo essere lei: nessuna morbida curva, nessun marchio sulla spalla. E poi Anne era morta da tempo. Eppure… qualcuna doveva averlo allucinato, perché non ricordava nulla di come fosse giunto nella sua camera, ricordava, una scala a chiocciola e un'anticamera…
Furibondo si chinò per infilarsi gli stivali, dandosi dello sciocco, rimproverandosi di non aver ancora imparato a non fidarsi delle donne, a non cedere mai alle loro lusinghe neanche quando sembrano innocue, a pensare che mille artifici esse possono approntare per incantare… diede insomma colpa alla magia di una strega e quasi finiva per preferire di sentirsi oggetto di un maleficio. Infatti se qual languore fosse stato frutto di un inganno, lui certamente sarebbe stato uno stupido di fronte a se stesso, ma d'altro canto era preferibile passare da cretino piuttosto che ammettere che lei fosse esistita davvero. Perché se davvero lei fosse esistita come avrebbe fatto a ritrovarla? Come sperare di dimenticarla e trovare requie?
Il moschettiere, a dispetto delle sue buone intenzioni di non lasciarsi coinvolgere da implicazioni amorose, aveva almeno imparato a conoscere questo di se stesso, ovvero a saper riconoscere l'intensità di un sentimento quando lo provava e a prevedere la durata del tempo che sarebbe occorso per farselo passare. In questo caso, la sensazione potentissima che lo scuoteva gli lasciava presagire che quel tempo di ripresa fosse indefinito. Ecco perché cercava di tenersi alla larga da certe avventure e ecco anche perché, pur se erano passati pochi minuti dal suo brusco risveglio, egli seppe subito che quel sentimento dentro di sé, non sarebbe passato tanto presto e maledisse Aramis per averlo strappato dai suoi dolci sogni.
Fu allora che il suo sguardo fu attratto da qualcosa sul pavimento. Un fiocco rosso, un fiocco di seta rossa.
Allora era stato reale e non un sogno! Avrebbe dovuto ritrovarla in qualche modo. Come? Dovette partire invece, con gli altri. Tutti lo attendevano in barca. Il principe lo fece chiamare al suo fianco per riprendere un discorso su alcuni passi di Virgilio che avevano discusso durante il viaggio di andata, e non ci fu il tempo neanche per poter immaginare un diversivo e rimanere a Venezia.
"Aramis, questa notte avete dormito nella vostra camera?", chiese Athos al suo amico due ore dopo, mentre dal mare guardava Venezia sfumare tra le nebbie della laguna, come un grosso animale marino si inabissava nell'oceano. La donna in rosso era là, in quella foschia, ma lui se la sentiva ancora addosso, come se sedesse al suo fianco come Aramis in quel momento.
"certamente, perché?", rispose l'altro guardando il mare.
"e non avete sentito nulla… o meglio notato nulla di strano?".
"Non saprei Athos… in questa notte non ho prestato molta attenzione a ciò che avveniva fuori dal mio letto…ah questo Carnevale!" sospirò Aramis, tornando a guardare le acque opalescenti.
"non so come sono giunto nel mio letto", bisbigliò Athos e rifletteva ancora.
Tacque fino a che non toccarono la terraferma, poi il gruppo si mise in marcia. Era tempo, dopo un mese e più di viaggio di tornare in Francia. Solo il suo senso del dovere lo trattenne dal girare indietro il cavallo e ritornare verso la Laguna.
Settimane di viaggio li aspettavano, valico di monti con il ghiaccio e con gli asini. Athos ebbe l'incarico dal Capitano De Treville di coordinare molti aspetti della traversata delle Alpi, gli incarichi assegnati non consentivano di assentarsi e di riprendere la via di Venezia, eppure se lo riprometteva ogni sera, coricandosi. Il Principe Philippe e i suoi moschettieri sarebbero arrivati in Francia in tempo per vedere Parigi sotto i fiori della primavera. Athos sospettava che il suo cuore non si sarebbe scaldato con la bella stagione. Il suo cuore era rimasto a Venezia. Nella tasca strinse forte il fiocco di seta rossa. Era ripiombato nella miseria dell'amore. A volte si odiava, a volte sognava, a volte beveva. Durante quel viaggio i suoi compagni lo udirono parlare non più di due o tre volte.
"Aramis, siete davvero sicuro di non aver avuto sentore di nulla? In fondo io ero nella stanza da molto tempo più di voi e non ero solo…"
Aramis lo guardò da sotto in su. "Neanche io ero solo Athos, proprio per questo non so altro … Cercate la donna che era con voi?".
"Era vestita di rosso, portava una maschera di pizzo nero, è scomparsa all'alba prima che potessi vederla in viso."
"Il suo nome?".
Athos scosse la testa "non so nulla di lei, non mi ha detto una parola, aveva una parrucca bionda e gli occhi, chiari credo, forse verdi, forse azzurri…".
Aramis alzò gli occhi.
"Ma pensate seriamente di poterla ritrovare?".
Athos lanciò uno sguardo furente al suo amico.
"Sono piombato in una cupa miseria Aramis e ciò mi rende un povero sciocco, dimenticate quello che vi ho chiesto", disse Athos dopo un lungo silenzio. Il sorriso di Aramis prese una piega amara. Solo perché sarebbe stato insensato Athos continuava a resistere da voltare il cavallo e tornare indietro, resisteva a quella idea ogni minuto del giorno e della notte.
"Mi avete insegnato a lasciare andare queste miserie, Athos, a non inseguire i sogni…il mio amore veneziano era magnifico, ma lì lo lascerò, è stato un dolce sogno…".
Athos estrasse dalla tasca il fiocco rosso.
"Ma lei non era un sogno".
Una volta discesi i valici alpini il gruppo finalmente fu in Svizzera, prese alloggio nella casa di un ricco mercante. Letti caldi, un bagno e ottima zuppa quella sera li attendevano. La cena fu interrotta dall'arrivo di tre uomini trafelati che venivano da Parigi per il capitano De Treville. Erano svizzeri in realtà, avevano cercato il Capitano in Francia, ma non trovandolo avevano avuto alla guarnigione le informazioni per raggiungerlo ove si trovava con la massima volta che tolsero le pesanti pellicce Athos notò che indossavano una livrea che aveva già visto, ma non riusciva a ricordare dove. Il principe Philippe fu poi raggiunto da tutti quegli uomini e anche Aramis fu chiamato nel corso della serata a unirsi al ristretto conciliabolo. Tornato al tavolo il moschettiere non commentò l'accaduto con i suoi amici, ma l'espressione del suo volto era grave. Athos non chiese nulla neanche quando più tardi si ritrovò a condividere lo stesso letto con il suo amico, così come tante volte era accaduto nella loro vita di soldati. Aramis dormiva quieto sul fianco dandogli immobile le spalle. Non immaginava Athos che invece il moschettiere biondo lasciava correre silenziose lacrime sul cuscino, mordendo le lenzuola per soffocare i singhiozzi e attendeva, come sempre capitava in questi casi, il regolare ronfare dell'amico prima di concedersi di prendere un po' di sonno.
