Nuovo giorno, nuovo capitolo! Ultimamente sono molto ispirata perciò, visto che per i capitoli precedenti avete atteso tanto, pubblicherò non appena avrò un capitolo pronto. Spero che vi piaccia
Mini
13. Il dottor Milbury
Charles
Aveva paura, sapeva cosa lo stava attendendo, non riusciva a smettere di tremare mentre seguiva il Dottor Milbury verso l'auto.
"Andrà tutto bene" gli disse, mentre guidava verso il laboratorio "Non devi temere nulla."
Le parole del dottore sembravano rassicuranti, ma Charles sapeva bene che stava mentendo, nonostante ciò non riuscì ad opporsi, ricordava fin troppo bene cos'era successo quando aveva provato a ribellarsi.
Il laboratorio si trovava all'interno di un edificio di recente costruzione, Charles ormai conosceva la strada a memoria e ben presto, dopo aver percorso diversi corridoi e sceso molte rampe di scale, si trovò nella stanza dove il Dottor Milbury conduceva gli esperimenti insieme al patrigno di Charles, Kurt Marko.
La stanza era situata sotto terra ed era inoltre insonorizzata. C'erano diversi pannelli di controllo e, al centro, un lettino metallico con delle cinghie all'altezza dei polsi, della vita e delle caviglie, sul quale erano stati posati degli abiti candidi.
"Non perdiamo altro tempo" disse Milbury "Charles, cambiati e distenditi su quel lettino."
Charles si avvicinò e, nonostante la paura, obbedì.
Non appena fu disteso arrivò un assistente di Milbury che iniziò subito a legarlo, stringendo le cinghie fino a fargli male, subito dopo arrivò Marko, il quale gli parlo con voce che avrebbe dovuto essere rassicurante, invece suonò spaventosamente inquietante.
"Se sarai bravo non soffrirai" gli disse "Dovrai obbedire, Charles, dovrai fare ciò che ti dico se vorrai che il dolore finisca. Ora" continuò, sfregandosi le mani "lavoreremo sulla telecinesi in situazioni di stress. Vedi questa leva?" chiese, avvicinandosi al pannello di controllo.
Charles annuì.
"Molto bene. Ora io l'attiverò, tu dovrai riuscire a riposizionarla in modo da spegnere il macchinario."
Charles strinse i pugni cercando di ricacciare indietro le lacrime, ma aveva ormai gli occhi lucidi e ciò non sfuggì al suo patrigno.
"SMETTILA!" gridò, dandogli un ceffone "Devi concentrarti, non hai tempo per questi capricci da moccioso. Ora, iniziamo."
Marko si voltò verso Milbury, poi si avvicinò alla leva. Charles avrebbe voluto chiedere cosa sarebbe successo, quali meccanismi avrebbe attivato la misteriosa macchina, ma non riuscì a emettere nessun suono, si limitò ad osservare il braccio di Marko che si muoveva per attivarla.
Non appena la leva fu scesa del tutto si sentì un rumore sordo e fastidioso, Charles tremava per la paura, non sapendo ciò che lo aspettava, ma presto l'angoscia fu sostituita dal dolore: dal lettino su cui era disteso erano comparse delle lame che avevano iniziato a ferirlo da sotto, le sentiva lacerare la pelle e penetrare nei muscoli; sebbene fosse consapevole che Milbury non aveva nessun interesse nell'ucciderlo e che non lo stava ferendo in modo grave, il dolore era così forte che temette di morire.
Aveva gli occhi serrati per lo sforzo ma non riuscì a trattenere un grido di dolore, un urlo straziante che si fece sempre più forte, le lame si erano stabilizzate ma avevano subito iniziato a girare su se stesse, acuendo la sua sofferenza. Gridò per un tempo che a lui sembrò infinito, poi il dolore fu talmente accecante da lasciarlo senza fiato e senza voce.
A fatica riuscì ad aprire gli occhi e a focalizzarsi sulla leva che doveva riuscire a spostare con la telecinesi, strinse i denti e con uno sforzo immane riuscì, lentamente, ad abbassarla, ogni centimetro era guadagnato con dolore e sudore, Charles sentiva che la testa gli stava per scoppiare quando, finalmente conquistò quell'ultimo centimetro, abbassando del tutto la leva.
Un altro rumore metallico, il macchinario si fermò per un istante, poi si rimise in moto, ma stavolta le lame si ritirarono, procurandogli altra sofferenza.
"Visto?" chiese Milbury, osservandolo dall'alto in basso "Non è stato così terribile, vero?"
Charles non rispose, ignorò le parole del medico e si concentrò unicamente sul suo corpo, sul dolore che stava provando in quel momento. Lo stesso assistente che lo aveva legato si avvicinò per liberarlo e lo aiutò a mettersi seduto.
Milbury e Marko gli diedero le spalle, nessuno dei due lo aiutò, così dovette sottostare alle ulteriori torture dell'assistente.
Charles poteva sentire il sangue uscire dalle ferite e gli abiti, che prima erano bianchi, erano pieni di macchie rosse e si erano appiccicati alla sua pelle. Senza alcuna grazia gli vennero tolti e l'assistente iniziò a medicarlo, usando un disinfettante che fece bruciare ancor di più le ferite.
Jean
Aveva il fiato corto, quell'esperienza l'aveva sconvolta. Anche se Jean si era immaginata di poter trovare qualcosa di terribile, ma ciò che aveva visto nella mente di Charles andava oltre ogni sua immaginazione. Si voltò verso Erik, anche lui sembrava provato e perfino Raven, distesa accanto a lei, stringeva i pugni.
"Raven" la chiamò con un sussurro "Puoi svegliarti, sono riuscita ad entrare nei suoi ricordi, non ho ancora informazioni sufficienti ma ora non ho più bisogno del tuo aiuto.
Raven tremò, travolta dall'emozione, poi aprì gli occhi e la guardò.
"Ti prego, continua" disse "Vedendo questi ricordi ho iniziato a capire molte cose di Charles, cose che fino ad ora mi erano ignote. Voglio continuare."
Jean annuì, in effetti la presenza dei ricordi di Raven l'avrebbe aiutata molto.
"Come vuoi. Continuiamo."
Raven annuì e chiuse gli occhi, Jean diede uno sguardo a Erik, aveva ancora gli occhi chiusi e il viso umido di lacrime, per ultimo osservò Charles, sembrava ancora profondamente addormentato.
Charles
Dopo aver sbloccato il primo ricordo fu come un fiume in piena, frammenti di memoria iniziarono a uscire dalla mente di Charles, travolgendo Jean, Raven e Erik e mentre loro osservavano quelle memorie come spettatori lui, Charles, sembrava ancora profondamente addormentato.
Le torture che Milbury perpetrava su Charles erano sempre più brutali, sempre più crudeli, metteva alla prova i suoi poteri di telepatia e telecinesi sottoponendolo a stress sempre maggiori. Jean soffriva sapendo ciò che stava facendo rivivere a Charles ma doveva continuare, doveva cercare informazioni su quel torturatore. Cercò di andare oltre, di essere più selettiva, aiutandosi anche con la memoria di Raven, trovò quel ricordo di cui aveva parlato lei quella mattina.
Charles e Raven si trovavano in casa, erano soli, seduti sul tappeto in mezzo alle poltrone e al divano davanti al caminetto, lui doveva avere circa dodici anni, lei dieci. Come accadeva spesso Charles stava leggendo, Raven disegnava accanto a lui una bellissima farfalla. La stanza era immersa nel silenzio ma all'improvviso Charles posò il libro e si mise in ascolto, preoccupato, cosa che Raven notò all'istate.
"Sta arrivando qualcuno?" chiese " Sta arrivando … lui?"
Charles era diventato serio, rimase in ascolto, poi scosse la testa.
"No, non è lui. C'è solo nostra madre … non capisco, sembra triste e spaventata, ma …"
In quel momento Sharon entrò nella stanza, si avvicinò a Charles e lo abbracciò stretto.
"Marko è morto stamattina" disse "Mi dispiace, Charles, mi dispiace per tutto ciò che hai dovuto subire! Potrai mai perdonarmi? Ti prometto che non verrà più nessuno, nessuno verrà qui per portarti via, il Dottor Milbury non ti farà mai più del male!"
Charles aveva ricambiato l'abbraccio con trasporto ma sentendo quelle parole la sua espressione cambiò, era diventato serio, concentrato, tanto da non accorgersi che Raven lo aveva travolto con un abbraccio.
"Charles! Charles!" gridò "Sei felice? Il Dottor Milbury non verrà più a prenderti!"
Charles non rispose, lasciò che la madre e Raven lo abbracciassero poi, lentamente, si sottrasse a quella stretta, guardò Raven negli occhi e, con un sorriso stranamente inquietante, chiese:
"ll Dottor Milbury? Chi è?"
Raven e Sharon lo guardarono stupite, senza riuscire a capire il senso di quella risposta, poi tutto si bloccò, il tempo sembrò fermarsi, solo Charles, che in quel momento era seduto a terra, si alzò: aveva gli occhi lucidi di pianto, il volto deformato dal dolore, guardò in alto, rivolgendosi direttamente a Jean e indirettamente a Raven e Erik.
"Ti prego, basta così. Basta così."
Erano passate due ore, Jean aveva continuato a cercare nella memoria di Charles senza successo, senza rendersi conto che lui, nel frattempo, si stava svegliando, quando lo capì era troppo tardi, anche Charles era diventato consapevole di tutti quei ricordi che loro avevano appena visto, aprì gli occhi e lo vide, il volto di quel bambino sofferente era lo stesso del giovane uomo che si trovava disteso davanti a lei, la implorava di lasciarlo in pace.
Accanto a lui Raven si era già messa a sedere, gli teneva la mano cercando di trattenere le lacrime, le tremavano le labbra per la grande emozione e per la presenza di parole che avrebbe voluto pronunciare ma che, in quel momento, sentiva di dover trattenere.
Charles si mise lentamente a sedere, era incredibilmente serio, sembrava non provare emozioni e ciò spaventò Jean.
"Charles …" lo chiamò "Hai visto tutto …"
Lui annuì.
"Non è stato facile, ora capisco perché avevo deciso di reprimere quei ricordi ma, come ho detto, sono un adulto ora, ho vissuto abbastanza a lungo da poterli superare."
Jean si sentiva a disagio, lui sembrava convinto e lei avrebbe voluto affrontare quell'argomento con più tatto, ma decise di essere pragmatica.
"Non abbiamo trovato nulla di utile" disse "Mi dispiace, ma dovremo continuare a cercare."
Charles scosse la testa.
"Non sarà necessario" spiegò "Voi avete iniziato a cercare dal mio primo incontro con Raven, io conobbi Milbury almeno due anni prima, ma non è sui ricordi che riguardano lui che dobbiamo concentrarci. Milbury lavorava con Kurt Marko, il mio patrigno. Aver sbloccato la memoria ha aperto il vaso di Pandora, ora ho accesso a tutto il mio passato …"
Charles si passò le mani sul viso per asciugarsi le lacrime e fece per alzarsi, ma Jean glielo impedì posandogli una mano sulla spalla.
"Charles, per favore" lo richiamò Jean "Non dovresti alzarti così, devi essere più prudente."
"Sto bene" rispose lui "Sto bene." ripeté "Credo di aver trovato qualcosa."
