Altra premessa. In questo capitolo introdurrò un personaggio particolare, molto particolare. Dal momento che so pochissimo su di lui voglio gestirlo a modo mio, perciò dimenticate tutto ciò che sapete sul suo conto. Detto questo buona lettura
Mini
28. Come ti chiami?
Era trascorsa qualche ora, alcuni agenti avevano distribuito un po' di cibo di pessima qualità e li avevano lasciati di nuovo soli, ovviamente sotto la stretta sorveglianza delle telecamere.
Charles aveva lasciato Sophie insieme a Zuko e aveva iniziato ad esplorare la stanza, osservando anche gli altri mutanti presenti.
Tra tutti uno in particolare catturò la sua attenzione: era un uomo, aveva corti capelli biondi e degli occhi azzurri che gli sembravano in qualche modo familiari. Si chiese perché quegli occhi lo avessero catturato dal primo istante, dove li avesse visti prima.
Charles si sedette su una panca e posò la schiena alla parete per riposare, senza però staccare gli occhi da quel misterioso individuo che, a sua volta, lo stava osservando. Cercò di decifrare quello sguardo ma non ci riuscì, non capiva se fosse ostile o semplicemente curioso, per un istante valutò l'idea di andare da lui e parlargli, poi sentì di essere troppo stanco per fare qualsiasi cosa, così chiuse gli occhi e si addormentò.
"Credi davvero a tutte le minchiate che dici?"
Era trascorsa qualche ora, Charles si era assopito seduto su una panca con la schiena poggiata alla parete, la stanchezza e i dolori gli avevano tolto gran parte dell'energia, perciò fu colto alla sprovvista. Si svegliò di soprassalto, di fronte a lui c'era l'uomo che lo aveva osservato da lontano fino a quel momento. Si guardò attorno per un istante in cerca di Sophie e la vide chiacchierare con una donna poco lontano. Sospirando si rivolse allo sconosciuto che gli aveva parlato e gli sorrise.
"Questo ti crea qualche problema?" chiese.
"Nessun problema a me" rispose lui sempre guardandolo dall'alto al basso con un indisponente atteggiamento di superiorità "Il problema lo avrai tu quando dovrai scontrarti con l'amara realtà. Anzi" aggiunse, osservando i vari tagli e lividi su tutto il suo corpo "Mi sa che l'hai già incontrata."
"Più di una volta, te l'assicuro" rispose Charles.
Lui lo guardò dubbioso, dall'aspetto sembrava un ragazzo che si stava affacciando per la prima volta alla vita, lo sguardo ingenuo e sognante di chi ancora vive nel mondo dei sogni e delle utopie.
"Come hai detto che ti chiami?" chiese.
"Charles."
"Buffo. Che strana coincidenza, il mio secondo nome è Charles."
Charles rise.
"In effetti è singolare."
"Ad ogni modo, Charles, presto scoprirai che non è possibile vivere nel mondo dei sogni … ma forse sei solo troppo giovane per capire.
"Troppo giovane?" Charles rise ancora "Ti sorprenderebbe sapere che sono più vecchio di come appaio."
"Sul serio?" chiese lui.
"Esatto. A occhio e croce … potrei essere tuo padre."
"Bah. Io non ho un padre, lasciò mia madre molto prima che io nascessi, da quel che so non sa nemmeno che io esisto."
"Chissà, magari è stato meglio così. Io avrei preferito non conoscere mio padre."
Era la prima volta che un pensiero del genere gli attraversava la mente, non aveva pensato a suo padre da decenni ma dopo aver rivisto quei ricordi sentì che sì, sarebbe stato meglio senza di lui.
"Quindi ci credi davvero?" chiese ancora "Mi sembrano tutte stronzate."
"Non dal mio punto di vista."
"Ho sentito che sei un telepate, giusto?"
Charles annuì.
"Anch'io lo sono. Almeno credo. Non sono ancora riuscito a capire quali sono esattamente i miei poteri, credo di averne diversi."
"Interessante. Se vorrai potrò aiutare anche te."
Lui sbuffò.
"Ho sentito cosa hai detto al ragazzo. Forse potrebbe funzionare con un ragazzino, io sono stato sotto terapia per anni e nessuno è riuscito ad aiutarmi. Forse è un bene che io sia qui. Questo" disse indicando il collare "Tiene a bada il mio potere."
Charles si prese qualche istante per osservarlo, aveva lo sguardo di qualcuno che si è rassegnato e che convive con qualcosa che lo spaventa perché è costretto.
"I tuoi poteri ti fanno paura?" chiese.
"Non hai idea di cosa devo affrontare" rispose lui secco "Non venirmi a raccontare la favola dell'affrontare le proprie paure, con me non attacca. Non sai nulla di me."
"Non oserei mai pretendere di saperlo" rispose Charles calmo "Nè vorrei sminuire ciò che provi. Ciò che puoi o non puoi fare, ciò che vuoi o non vuoi fare … non riguarda nessun altro se non te. Io ti offro la mia mano, sarà tua responsabilità afferrarla … o rifiutarti di farlo."
Lui sbuffò e stava per dire qualcosa, ma in quel momento arrivò Sophie.
"Charles! Ti sei svegliato! Come stai? Le botte ti fanno ancora male?"
"Ancora un po' ma almeno riesco a muovermi, ti ringrazio."
Lei gli sorrise, dal suo sguardo era evidente quanto, in quelle poche ore, si fosse affezionata a lui.
"È inutile che lo guardi così" le disse lo sconosciuto "A quanto pare è più vecchio di te e perfino di me. Hai detto che potresti essere mio nonno?" chiese, prendendolo in giro.
"Non mi spingerei fino a quel punto" rispose lui "Ma sì, potrei essere tuo padre."
Sophie lo guardò sbalordita e anche lievemente delusa, era ormai evidente che si stesse lentamente invaghendo di lui.
"Mi avevi detto di non dimostrare l'età che hai" disse, osservandolo "Ma in realtà quanti anni hai? Davvero?"
Charles rise.
"Mi crederesti se ti dicessi che ho ottantaquattro anni?"
Entrambi lo fissarono senza parole.
"Ottantaquattro?" chiese "Li porti decisamente bene!"
"È una lunga storia" rispose Charles.
Lui lo guardò a lungo negli occhi.
"Mi piacciono le storie lunghe."
"Anche a me" disse Sophie guardandolo ammaliata "Mi piace ascoltare la tua voce."
Charles arrossì lievemente e aprì la bocca per parlare, ma proprio in quel momento qualcuno aprì la porta principale ed entrò un agente, era un ragazzo piuttosto giovane, reggeva in mano un piccolo foglio di carta.
"SILENZIO! TUTTI!" gridò, cercando di attirare l'attenzione, ma quasi nessuno lo ascoltò.
"VOLETE TACERE Sì O NO?" chiese ad alta voce l'uomo che stava parlando con Charles.
Immediatamente calò il silenzio. L'agente annuì in segno di ringraziamento.
"Sto cercando il Professor Charles Francis Xavier" disse, leggendo il nome sul foglio.
Charles si alzò sotto lo sguardo stupito di molti, vide con la coda dell'occhio Sophie spalancare la bocca per la sorpresa e anche il suo misterioso amico alzò le sopracciglia, impressionato.
"Sono io." disse.
Lentamente si avvicinò all'agente, durante il tragitto sentì i presenti mormorare il suo nome: 'Lui è il Professor X! È proprio lui! Cosa ci fa qui?'
Finalmente Charles raggiunse l'agente, nonostante fosse appena più basso di lui era decisamente molto più imponente, se fino a poco prima era dolce e rassicurante, ora si era trasformato: il suo sguardo era quello di chi è consapevole del proprio potere ma non lo ostenta, tutto il suo corpo emanava calma, eleganza e pieno controllo, riuscì ad intimidire il giovane agente che arretrò di un paio di passi.
"M-mi segua, Professore, la prego."
Charles annuì, poi si voltò verso Sophie.
"Tornerò presto."
Lei annuì in risposta, poco convinta e decisamente preoccupata.
Al suo fianco l'uomo lo fissava.
Che sciocco, si disse Charles, non gli ho nemmeno chiesto come si chiama.
Charles seguì l'agente fuori dalla sala, attraverso alcuni corridoi e infine dentro un ufficio dove, in attesa, c'erano Reed Richards, le guardie del centro e alcune persone che riconobbe come esponenti del Governo e, immaginò, agenti della CIA. Il primo ad andargli incontro fu Reed.
"Charles! Finalmente! Ho saputo dell'arresto di due mutanti e solo dopo ho scoperto che uno dei due eri tu. Ho fatto il possibile per liberarti, ora potrai uscire insieme a tutti gli altri mutanti, non hanno nessun motivo per trattenerli."
"Ti ringrazio" rispose lui "Inoltre credo che tutto il sistema dei sensori vada rivisto, a quanto pare la donna arrestata insieme a me non è una mutante."
Reed lo fissò con gli occhi spalancati.
"Stai scherzando?" chiese "Come fai ad esserne sicuro?"
"Non ne posso essere certo al cento per cento" rispose lui "Ma mi fido abbastanza da credere che possa essere la verità, era terrorizzata."
"Si sentiva in colpa!" esclamò uno degli agenti "Quella sporca mut-"
"Badi a come parla" disse Charles, interrompendolo con voce dura e fredda come il ghiaccio "Le consiglio di scegliere con estrema attenzione le parole, Agente. Lei si crede in una posizione di potere, in realtà sta camminando sul filo di un rasoio molto affilato. Come ha già detto Richards, non avete nessun buon motivo per trattenerli qui."
"Sono Mutanti" intervenne uno di quelli che avevano l'aria di essere agenti della CIA "Abbiamo il diritto di studiarli."
Charles rise.
"Ammesso e non concesso che abbiate questo diritto, siete sicuri di avere anche le capacità di studiare dei mutanti? Possedete le conoscenze? I mezzi? Sono rimasto qui solo poche ore e non ho visto nulla di tutto ciò, solo un edificio di detenzione completamente privo di senso."
L'uomo che aveva parlato si voltò in cerca dell'approvazione di quello che con molta probabilità era il suo superiore. Fu questo a parlare.
"No, Professor Xavier, non l'abbiamo, ma …"
"Niente ma" rispose Charles, bloccandolo alzando la mano e trattenendosi dall'essere più volgare "Questi mutanti verranno con me, li ospiterò nella mia scuola per il tempo sufficiente a fargli superare questa esperienza traumatica, poi li lascerò liberi di tornare alle loro case o di restare, se vorranno."
"UN MOMENTO! LEI NON …"
Il capo della struttura si era fatto avanti, rosso in viso e aveva iniziato a gridare, ma un'occhiata di Richards lo aveva zittito.
"Non preoccuparti, Charles" disse "Sanno benissimo che è proprio così che andrà."
Charles lo osservò, lo conosceva abbastanza bene da capire che non sarebbe servito insistere, ormai avevano vinto. Annuì.
"Molto bene. Mi fornirete tutta la documentazione inerente alle persone che state trattenendo e organizzerete il trasporto."
"È già tutto predisposto" disse Reed "In questa struttura ci sono ventisei persone, qui fuori c'è un pullman che li sta aspettando."
"Ottimo" rispose Charles "Vi concedo di fargli tenere il collare inibitore fino all'arrivo alla mia scuola, poi dovrete rimuoverlo."
Le guardie si scambiarono uno sguardo incerto, il loro capo annuì.
"Sarà fatto."
Charles annuì, soddisfatto mentre Reed si avvicinò a lui e, usando una chiave magnetica, gli tolse il collare inibitore.
"Tu verrai con me, sei messo troppo male."
"Inoltre vorrei arrivare prima a scuola per sistemare la palestra, mi aspettavo dieci persone, non ventisei!" rispose lui massaggiandosi il collo.
"A questo hanno già pensato Scott e Logan" rispose Reed.
"Scott!" esclamò Charles "La sua moto è ancora dove l'ho lasciata!"
Reed sorrise e lo guardò per fargli capire di leggergli il pensiero.
"A quello ha pensato Tony. Mi ha chiamato poco dopo Erik. Ha trovato per caso la tua moto e l'ha messa al sicuro insieme al tuo portafogli. Non ha nemmeno un graffio."
"Ti ringrazio."
Passando davanti alla stanza dove erano tenuti i mutanti Charles cercò la mente di Sophie.
"Sto andando via ma presto anche voi verrete con me, ci incontreremo entro sera nella mia scuola. Stai tranquilla."
Sophie sobbalzò sentendo quella voce familiare nella sua testa, poi sorrise, rassicurata. Presto sarebbe tutto finito.
Charles aveva seguito Reed nella sua auto e lì, una volta accomodato sul sedile del passeggero, aveva iniziato a sfogliare i fascicoli che gli erano stati forniti. Si trattava di schede molto sottili, erano tutti incensurati e oltre a nome, cognome, indirizzo e tutte le informazioni base, non aveva a disposizione altri elementi, nemmeno un accenno ai loro poteri, quello lo avrebbe scoperto più tardi. Tra tutte le schede però una lo incuriosì, era molto più spessa delle altre, si domandò a chi appartenesse. Mise da parte le altre e si concentrò su quella, ma non appena la vide meglio impallidì. Quel nome. Sollevò appena la copertina del fascicolo e vide la foto, l'uomo biondo con quegli occhi azzurri così familiari.
Reed, accanto a lui, notò il cambiamento, Charles si era irrigidito tutto d'un tratto e sembrava sconvolto.
"Qualcosa non va?" chiese.
"No, tutto bene" rispose lui "Tutto bene."
Prese nuovamente le schede degli altri e le mise sopra quella che avrebbe letto più tardi, con calma, nel silenzio del suo studio.
David Charles Haller.
