29. Delusione

"Sta arrivando."

Reed aveva chiamato Erik per avvisare del loro arrivo e tutti erano usciti per poterli accogliere, era molto tardi, tutti gli studenti si erano già ritirati nelle loro stanze e la maggior parte di loro stava già dormendo quando Jean percepì la mente di Charles che si avvicinava.

Nemmeno cinque minuti dopo videro l'auto di Reed avanzare lungo il viale e fermarsi. Raven aveva visto attraverso il vetro dell'auto il viso di Charles e fu la prima a farsi avanti a fu Erik a raggiungerlo per primo.

Charles era riuscito appena ad aprire la portiera e a posare un piede a terra, non aveva nemmeno fatto in tempo ad alzarsi del tutto che Erik era già arrivato per aiutarlo.

"Charles, amico mio! Come ti hanno conciato!" disse con tono ironico "Pensavo che Logan ti avesse addestrato meglio di così!"

Charles era molto pallido, il viso era pieno di lividi e tagli e i vestiti erano macchiati qui e là di sangue ormai rappreso.

"Cinque contro uno" rispose lui "Non potevo nemmeno usare i miei poteri perché a quel punto mi avevano già messo il collare inibitore e … hey!"

Raven lo aveva raggiunto e lo aveva abbracciato.

"Idiota! Idiota!" gli disse "Ci hai fatto preoccupare!"

"Piano … piano! Mi fai male così!"

"Dovrò visitarti, Charles" disse Jean "Immagino che non l'abbiano ancora fatto."

Charles scosse la testa.

"Un momento" disse Scott "Come sono riusciti a farti indossare il collare? Perché ti hanno picchiato quando eri già inoffensivo?"

"Vi farò vedere tutto" disse Reed "Sono riuscito a recuperare il filmato dell'arresto, mentre Jean si occuperà di Charles voi potrete vederlo."

"Tra un paio d'ore arriveranno anche gli altri mutanti." disse Charles "È tutto pronto?"

"Non preoccuparti, pensa solo a riposare" gli disse Ororo.

Lui annuì.

"Vieni, per favore" lo implorò Jean "Devo medicarti."

Raven lanciò un'occhiata a Charles, che le sorrise.

"Arrivo."

"Posso occuparmi io di te" disse Raven "Se hai solo bisogno di medicazioni."

"Sono d'accordo" disse Scott.

"Me ne occuperò io" rispose Jean con un tono che non ammette repliche.

Charles si schiarì la voce, era chiaro che Jean aveva anche bisogno di parlargli.

"Ti seguo."

Raven e Scotto gli lanciarono due occhiate poco convinte ma li lasciarono andare.

In infermeria, Charles si sedette sul lettino, in attesa che lei lo visitasse.

"Spogliati." ordinò Jean, tirando fuori dai cassetti cotone, disinfettante e garze.

Charles si schiarì ancora la voce, a disagio.

"Certo."

"Completamente" gli ricordò lei "Ti concedo di tenere le mutande, se ti vergogni."

Lui obbedì, intimorito dalla voce di lei, sembrava molto arrabbiata. Lentamente riuscì a liberarsi di tutti i vestiti, erano sporchi di sangue e lacerati in alcuni punti.

"Ti ho preparato degli abiti puliti" disse Jean, indicando un mucchio di vestiti accuratamente piegati su una sedia.

"Ti ringrazio."

Lei non rispose, tornò da lui con del disinfettante.

"Cos'è quello?" chiese, indicando il bracciale che, nel frattempo, Charles aveva recuperato e indossato.

"Un piccolo regalo da parte di Tony" rispose lui "Più tardi ti farò vedere."

"Bene" rispose lei, fredda "Per ora mi limiterò a medicare le ferite più superficiali, ti farò una radiografia completa per essere certa che tu non abbia ossa rotte."

La voce di Jean era fredda, distante, a stento tratteneva la rabbia.

"A meno che non me le voglia rompere tu" disse lui, osservandola "Sembri arrabbi-ahi!"

Lei aveva iniziato a medicare un taglio sul braccio.

"Cosa sei, un bambino?" chiese lei, continuando a disinfettarlo senza alcuna grazia.

"Jean. Sai benissimo che avrebbe potuto medicarmi anche Raven, avrei potuto farlo da solo. Eppure hai insistito per farlo tu. Adesso parlami, so che hai voluto restare sola con me per un motivo … e fai piano, per favore."

Lei si interruppe, mentre lui parlava aveva continuato a picchiettare con violenza sulle ferite con il cotone imbevuto di disinfettante.

"Sì, sono arrabbiata!" esclamò lei, gettando a terra il cotone "Sono arrabbiata e delusa! Ho fatto finta che andasse tutto bene, invece sono arrabbiata!"

Charles restò in silenzio ad osservarla, tentato di leggerle nel pensiero.

"Fai pure" disse lei "Guarda pure nella mia mente, avanti!"

"Preferirei che me lo dicessi tu." rispose lui.

Jean aveva preso dell'altro cotone e aveva finito di disinfettare le ultime ferite.

"Alza il braccio."

Lui obbedì e lei iniziò a fasciargli il petto.

"Sono delusa, Charles." disse "Non riesco più a capire chi sei. Mi sono convinta che andasse tutto bene, che il fatto che tu ci avessi tenuto nascosta l'esistenza degli Illuminati non fosse un problema, invece non è così."

"Jean …" iniziò lui, ma lei lo interruppe.

"Quanti altri segreti hai? Quante cose non sappiamo di te? Chi sei, veramente?"

Lei era arrabbiata, ma quelle parole fecero infuriare anche lui, lanciate come sassi che in quel momento avevano creato un muro che li separava: lui non fece alcuno sforzo per abbatterlo e lei rimase in paziente attesa che si decidesse a rispondere.

Finalmente quando lei finì di medicarlo e lui iniziò a vestirsi qualcosa sembrò muoversi.

Charles aveva già indossato i pantaloni e si stava abbottonando la camicia, quando finalmente ruppe il silenzio.

"Vuoi sapere chi sono? Vuoi sapere se ho altri segreti? Vuoi sapere perché ti ho deluso?"

Lei lo fissò con rabbia ma la sua ira era più grande.

"Jean, che idea ti sei fatta di me? Chi sono io, per te? Sono il Professore che tutto vede e tutto sa e che agisce sempre per il meglio, giusto? Colui che non può sbagliare?"

Il suo sguardo vacillò per un istante, poi annuì.

"Certo, lo sono stato, ho dovuto esserlo, ma questo è stato tanto tempo fa, quando tu eri ancora una ragazzina che aveva bisogno di qualcuno che la prendesse per mano e le facesse vedere che non era sola!"

Lei aprì la bocca per ribattere ma la risposta le morì in gola.

"Sei cresciuta Jean, non hai più bisogno del papà che ti tiene per mano, non posso più continuare a indossare la maschera di una perfezione che non ho mai avuto e che mai potrò avere. Sei rimasta delusa perché hai di me ancora l'immagine di colui che ti ha dato le tue prime certezze, di colui che ti ha dato fiducia nel tuo futuro … ma non è così. Sono un essere umano, sono fallibile, Jean, non ho certezze da darti se non che ho sempre cercato di fare del mio meglio."

Lei sembrò calmarsi, invece tornò all'attacco.

"Questo è il tuo modo di chiedere scusa?"

Lui la fissò serio.

"No, non lo è. Non posso cambiare il passato, probabilmente ora agirei in modo diverso, ma ciò che è stato è stato e chiedere semplicemente scusa sarebbe inutile. Il mio modo per chiedere scusa è rimediare ai miei errori e cercare di non ripeterli. Vuoi che ti chieda scusa? Che supplichi il tuo perdono? Lo farò se vorrai ma ora …"

Charles si interruppe, in quel momento la realtà lo colpì duramente: non poteva più esitare, doveva parlare con David, doveva dirgli tutto prima che fosse troppo tardi, non c'era tempo per inutili ripensamenti o dubbi, doveva agire, doveva parlare anche se non era certo al cento per cento. Prima di potersi difendere percepì la mente di Jean dentro la sua.

"Jean …" iniziò, ma lei sobbalzò.

"Oh, Charles! Io … io non avrei dovuto, mi dispiace …"
"Hai visto?"
Lei annuì.

"Bene. Va bene così."

"Hai bisogno …"

"No. È qualcosa di cui devo occuparmi da solo. Ti ringrazio per le medicazioni."

Senza aggiungere altro Charles uscì dalla stanza, lasciandola sola a riflettere su ciò che si erano detti.

Nemmeno un paio d'ore più tardi Charles avvertì da lontano l'arrivo del pullman. Ad attenderli c'erano lui e Raven, silenziosa e severa come un cane da guardia.

A bordo c'erano i ventisei mutanti che ancora indossavano il collare inibitore, scesero uno alla volta, spaventati e disorientati perché evidentemente il viaggio non era stato molto confortevole.

Charles si fece subito avanti con uno degli agenti che li stava accompagando.

"Li liberi subito" disse "Tolta tutti i collari inibitori."

L'agente esitò poi, colpito dallo sguardo severo di Charles, annuì.

"VENITE TUTTI QUI! UNO ALLA VOLTA!"
Tutti si misero in fila, nel giro di qualche minuto l'agente aveva tolto i collari a tutti.

"Ora potete andare." disse Charles.

"Ma …"
"Ma, niente. Andatevene. Il vostro lavoro è finito."

Gli agenti esitavano ma Charles usò i suoi poteri per dargli la spinta finale e farli andare via. Quando finalmente il pullman si fu allontanato si rivolse ai presenti.
"Benvenuti, questa è la mia scuola. Qui, da decenni ospito, mutanti in cerca di aiuto. Voi ora siete liberi, potete fare ciò che sentite sia meglio per voi. Ora è molto tardi e immagino che abbiate fame e che siate esausti, perciò se volete è pronto per voi un pasto caldo e un posto comodo dove dormire. Domani mattina potrete andare alle vostre case, o restare se lo desiderate … o andare e tornare in un secondo momento. Sentitevi liberi."

Tutti avevano ascoltato Charles rapiti dalla sua voce rassicurante, dai suoi modi gentili, dai suoi occhi azzurri e puri.

"Ah, un'altra cosa" aggiunse "So che potrebbe suonare strana come domanda, ma tra di voi c'è qualcuno che non è un mutante?"

Sophie, un'altra donna e un ragazzo si fecero avanti.

"Mi chiamo Mike" disse il ragazzo "Ci hanno arrestati dicendo che siamo mutanti, ma non è vero! Abbiamo provato a dirlo ma non ci hanno creduto!"

Charles annuì.

"Capisco. Vorrei parlare un istante con voi tre. Voi" disse rivolgendosi agli altri "Potete andare a mangiare."

Con la coda dell'occhio Charles osservò David che, quasi rassegnato, seguiva gli altri all'interno dell'edificio, poi tornò a guardare i tre, che guardavano Raven, intimiditi dal suo sguardo e dalla sua pelle blu. Charles se ne accorse e rise.

"Non fate caso a lei" disse, facendole l'occhiolino "Sembra una stronza ma è solo molto protettiva."

Raven aggrottò le sopracciglia, seccata, poi capì la battuta e si rilassò.

"Tornando a noi, avrei bisogno di effettuare dei test. Se voi non siete mutanti ma il sensore vi ha identificati come tali c'è qualcosa che non va e io intendo scoprirlo. Non preoccupatevi, non sarà nulla di doloroso o umiliante."

"Ci sto!" esclamò il ragazzo "Vorrei capire anch'io cos'è successo."
"Anch'io" disse la donna."
"Sì, per me va bene" aggiunse anche Sophie, poi di slancio abbracciò Charles e lo baciò sulla guancia e gli sussurrò qualcosa all'orecchio che lo fece arrossire.

"Sono lusingato davvero ma anche se per te gli anni di differenza non sono un problema, credo che qualcuno non sarebbe d'accordo. Mi dispiace."

Non voleva ferirla o umiliarla perciò le disse queste parole usando la telepatia, lei arrossì violentemente.

"Andiamo?" chiese "Sarete affamati.

La sua voce era rassicurante come sempre, dietro quelle semplici parole c'era di più, c'era la volontà di aiutarli a superare qualsiasi problema.

I tre seguirono Charles e Raven all'interno della struttura, dove si erano già accomodati gli altri e stavano già mangiando.

Charles li osservò andare a sedersi, poi si rivolse a Raven.

"Devo parlare con uno di loro. In privato. Più tardi ti spiegherò."

Lei si limitò ad annuire e a baciarlo sulle labbra.

Charles attese ancora un po', individuato David attese che avesse finito di mangiare, gli si avvicinò e si sedette di fronte a lui.

"Benvenuto."

David alzò appena lo sguardo.

"Grazie, ma non starò qui a lungo. Già stasera me ne andrò."

Charles annuì piano.

"Non farò nulla per trattenerti, ma prima …"

"Hai detto che siamo liberi, giusto?" chiese David, posando con veemenza il bicchiere ormai vuoto sul tavolo "Allora non ci sarà nessun 'ma'. Me ne voglio andare. Ti ringrazio per avermi fatto uscire da quel posto, ovviamente."

Charles annuì ancora.

"Ripeto, non farò nulla per farti restare contro la tua volonta, ma c'è qualcosa di cui ti devo parlare. Da soli." aggiunse, guardandosi attorno.

David alzò gli occhi al cielo.

"Vuoi fare una passeggiata in giardino?" chiese in tono ironico.

"Perché no?" rispose Charles, ignorando appositamente il tono derisorio.

David restò interdetto da quella risposta ma sospirò e si alzò.

"Andiamo …"