Uno e un terzo

"Quell'arpia!".

"Che stai dicendo? Che cosa sarebbe un'arpia?".

"Non cosa ma chi!? Lei! La mocciosa!".

"Mademoiselle? Ma quale? Ce ne sono ben sei in questa casa!".

"Uff" – che si doveva proprio spiegare tutto – "Quanto sei stupida! L'ultima! La più piccola!".

"Che significa? Con quel tono poi? L'ultima…l'ultima ha un nome sai? Mademoiselle Oscar! Non si chiama arpia. Che poi che sarebbe un'arpia? Uno di quei ferri che madame usa per pizzicare il tacchino nel forno? E veder s'è cotto?!".

"Sciocca!" – sbuffò la servetta intenta a spazzare petali di fiori ormai a terra – "Sei una ignorante ecco!".

La giovane domestica ascoltava le rimostranze dell'altra giovane compagna di lavoro…

Arrestò i gesti, mani ai fianchi – "Innanzi tutto…sarò anche ignorante…ma gradirei sapere che diavolo sarebbe un'arpia? E poi perché mademoiselle lo sarebbe!?"

"Dunque…" – strabuzzò gli occhi la prima, le mani a incidere morbide rotazioni con lo strofinaccio sul mobile, come a consumarne la superficie, per via del nervoso impresso al legno – "Qualche settimana fa, stavo terminando di sistemare alcune rose nel vaso, nello studiolo. S'è affacciato il precettore e dietro c'era la mocciosa, la più piccola, quella che tutti si ostinano a trattare come un moccioso".

"Sssh!" – la rimproverò l'altra – "Detto così…sai che non si può dire nulla su questa faccenda. Te l'hanno spiegato quando sei venuta a lavorare qui. E' una decisione del padrone. Una decisione…".

"Che non si discute!" – in coro, la prima seria, la seconda canzonatoria.

"Sì, lo so…ma tu m'hai detto di dirti che cosa è un'arpia…insomma, si doveva dare inizio alla consueta lezione, mi sono scusata, mancavano pochi steli e ho domandato il permesso di finire il lavoro".

"E allora?".

"Monsieur mi ha dato il permesso ma nel frattempo ha detto a mademoiselle di iniziare a leggere…e quella ha letto e ha detto…arpia!".

"Si. Ma che significa?".

"Se non ho compreso male, da quel che si sono detti lei e il precettore, dovrebbe essere una specie di uccello con la faccia di essere umano…maschio o femmina…non lo so!".

"Uh…che schifo!".

"Aspetta! Prima di andarmene quella mocciosa aveva già recitato quel che chiedeva il precettore, ossia chi fosse l'arpia…pare dunque sia una creatura crudele…malevola! Combina dispetti e tratta male le altre creature! E allora…".

"E tu…" – strabuzzata all'insinuazione…

"E' si! Secondo me la mocciosa è proprio un'arpia!" – il piede pestato a terra – "E' il suo ritratto. Magari non così bruttina, questo ne convengo. Ma anche con quei riccioli biondi e la pelle chiara e la boccuccia vezzosa ma sempre imbronciata…resta che è una creatura molto crudele! Non s'è mai vista una bambina così pestifera! Ma non vedi che gli sta facendo a quel povero bambino?!".

"Ma sei impazzita? Se ti sentisse Madame Glacé!? Rischi d'essere cacciata!".

"Non m'importerebbe! Davvero! E' un'arpia! Semmai dovessi esser mandata via, mi toglierei lo sfizio di cantargliene quattro. A lei, e a madame, e a tutti in questa casa. A tutti quelli che le permettono di far tutto ciò che vuole. E se me ne andassi…quel povero angelo me lo porterei con me!".

"No! Invece no! Ti sbagli. Madame Glacé non le permette un bel nulla. Madame non la vizia, Mademoiselle è una fanciulla impegnata. E' la figlia del Generale Jarjayes. Quell'uomo l'ha cresciuta fin dalla nascita come un maschio, le ha insegnato a tirare di spada, a cavalcare. Semmai è lui il bifolco senza cuore. Povera fanciulla! Se una mocciosa non sa far altro che quello, quando la si ritrovasse senza far nulla da fare, che farebbe? Si metterebbe a ricamare come se nulla fosse o a vestire bambole di pezza!?".

"Magari! Così lo lascerebbe in pace".

"No! Ovvio che quando lei si ritrova senza nulla da fare, faccia quello, cavalcare…tirare di spada!".

"Sì, ma perché obbligare quella dolce e innocente creatura a esercitarsi allo stesso modo!? Non ha fatto a tempo a mettere piede in questa casa…dal primo giorno lei non ha fatto altro che torturarlo con le sue richieste! Alleniamoci…corriamo…santo cielo! E se lo ferisse? E se finisse per graffiargli il suo bel visino? E' così bello…".

"Ma non dirmi che ti sei innamorata di André!? Suvvia?! Ha la metà dei tuoi anni!".

"Ebbene!? Io ne ho già diciotto! Ma sì, se anche mi fossi innamorata, che male ci sarebbe?" – un piede pestato a terra – "E poi che vai cianciando? L'amore non guarda in faccia a nessuno. Per me sarebbe come un fratello, gli vorrei bene sempre. Non come quell'arpia che lo tratta al pari d'uno…d'uno dei cavalli di famiglia!".

"Stai davvero uscendo di senno…finiscila! André ha ricevuto ospitalità in questa casa per via che Monsieur le Generale voleva un compare di giochi per la figlia. Se lui la vuole tirar su come un maschio, che mai dovrebbe fare? Appicciarle alle sottane una damina di compagnia…magari che le insegnasse a esser vezzosa e a far moine come le sue sorelle più grandi? E a esser pitocca come certe altre dame? Suvvia…mademoiselle non è un'arpia! E André…mi pare contento…ecco…".

"Sì che lo è" – farfugliò la prima servetta, che di anni appunto ne aveva già sedici ma pativa le ingiustizie e tentava di rammendarle così come si rammendavano i buchi degli stracci consunti - "Un'arpia intendo! Ma non la passerà liscia. Io sarò più brava di lei e tratterò André come merita. Sai vero che domani sarà l'anniversario di quel bambino? Compirà nove anni. E non avrà né madre né padre con cui trascorrere qualche ora. Sua nonna gli vuole bene ma penso che voglia più bene all'arpia e allora…".

"E allora tu ti caccerai nei guai, vedrai. Se non pensi a fare quel che t'è stato detto di fare. Non t'impicciare delle faccende altrui".

Ma l'altra era già scomparsa, lasciando dietro a sé una scia di sentore cerato, per via che aveva lucidato i mobili di legno con una strana mescola che puzzava di api e fieno.

Era già tornata sui suoi passi, o meglio, sul piede di guerra.

"Madame! Madame Glacé! Permettete?" – di filato, in cucina, il grembiule sbattuto in tavola e gli occhi spiritati puntati alla vecchia governante.

"Certo cara…hai lucidato la madia…".

"Oui madame! Sentite…".

"Dimmi pure cara…e hai raccolto le lenzuola?".

"Oui madame…" – che stava per spazientirsi – "Ecco…".

"Ti ascolto cara" – ma l'altra era affaccendata a dosare spezie per la farcitura del tacchino…

La giovane afferrò di colpo il polso dell'anziana, che Madame Glacé fu costretta a sollevare gli occhietti grigi, squadrare l'insolenza acuta dell'altra che mollò all'istante la presa.

"Ascoltate…per favore. Domani è l'anniversario di André? Giusto?".

Nanny trasalì – "Cara, hai ragione, stavo quasi per scordarmene. Sei tanto cara, mia buona Gae ad essertene rammentata. Ma non vedo la ragione per interrompere le tue faccende e per disturbare le mie?".

"Ebbene non fa nulla se ve ne siete scordata. Ci son qua io, che ho buona memoria e che vi dico come dovrebbero stare le cose!".

"Cara…che stai dicendo? Vanno già come devono!".

"E no! Sono già trascorsi due anni da che André è giunto in questa casa. E l'anno in cui è arrivato non s'è fatto niente perché c'erano troppi ricordi e l'anno dopo perché forse era bene non ricordare…insomma…penserei bene che voi non abbiate in animo di far nulla neppure quest'anno? Ebbene io non sono d'accordo. Ci tengo a quell'angelo, ecco, mi chiedevo se potrei avere il permesso di preparargli un dolce e poi, se non potremmo cenare tutti assieme qui, in cucina s'intende, senza andar a disturbare nessuno?!".

Che quello, diavolo sempre in mezzo, comparve sull'uscio della cucina, la faccia un poco rossa per la corsa, i capelli spettinati, lo sguardo morbido e per certo verso più sereno, dopo tutto il tribolare per aver perduto prima il padre e poi la madre e poi aver lascito il paesello ove era nato, per finir lì, in una grande casa d'immenso grigio e stanze acutamente vuote, se si escludeva lo scalpiticcio delle damine, le figlie più grandi del Generale Jarjayes che si divertivano a fargli i dispetti mentre lui era affaccendato a sbrigare le consegne di sua nonna, e quelle lo prendevano in giro, lo chiamavano di continuo per chiedere una volta dell'acqua, un'altra volta di sistemare certi cuscini, serrare le tende, riaprire le tende…

Ci sarebbe stato da fermarsi d'un colpo, guardarle di sbieco e gridar loro in faccia d'arrangiarsi, che anche se erano damigelle, di certo le dita per chiudere o riaprire le tende ce le avevano anche loro.

Ma poi, non c'era verso di prendersela, che alla fine si trattava di ritagliare nel poco tempo che restava a disposizione, quello necessario ad accontentare le giovani figlie del padrone.

In fondo poi, anche loro erano gentili, perché una volta una di quelle, dopo che lui aveva servito limonata e pasticcini, gli aveva offerto di restare e accomodarsi sul divanetto ad assaggiarne un po', e lui, che l'aveva preso come un ordine, s'era seduto proprio sul bordo, un poco sulle spine, masticando in fretta la pasta frolla che s'era sbriciolata persino sulle ginocchia e trangugiando i sorsi di limonata che per poco non gli era pure andata di storto.

Non perché temesse che quelle l'avrebbero rimproverato d'essere uno scansafatiche, burlandosi di lui, ma proprio perché s'era fatta una certa ora, sul finire del pomeriggio e in quell'ora lui sapeva d'avere un compito ben preciso, mettersi agli ordini – che per lui erano sempre ordini ma poi a pensarci bene, l'altra non gli aveva mai ordinato nulla – di mademoiselle, l'ultima figlia del generale, la più piccola di tutte.

E qualche volta gli pareva quasi che quelle l'avessero fatto apposta a tenerlo lì, le sciocchine, con la scusa dei pasticcini e poi delle carte da gioco…

Lui aveva fretta e quelle lo usavano alla moda d'un trastullo.

In tutto questo correre avanti e indietro, le giornate avevano finito per diventare colme e per assurdo sempre più corte, fitte di impegni e di mansioni, così era venuta fuori una certa confidenza con le servette che evidentemente avevano visto nel moccioso un modo per aver rivalsa contro le damine figlie del generale, così che anche le servette di contro lo colmavano di attenzioni, proprio e quasi allo scopo di tenerlo lontano dalla grinfie delle figliole nobili.

Tutte!

S'intendevano tutte, nessuna esclusa.

Che la più piccola, che di anni ne aveva circa sette e tre quarti, era abbastanza docile quando doveva assolvere alle sue lezioni.

Ma dopo, nel tempo impiegato a rastrellare di corse sfrenate i sentieri vicino a casa, pareva divenire una specie di serpentello di campagna, dapprima attorcigliata a un ramo, poi, a balzi di qua e di là, per finire spanciata in mezzo all'erba.

Era bello starle dietro ma non si sapeva mai che sarebbe accaduto.

La giovane domestica, alla vista del moccioso, non ripiegò dunque, anzi, espose la trionfante proposta, avendo come unico dubbio, quale fosse la frutta preferita da collocare sulla crema pasticcera, rigorosamente calda, che avrebbe colmato la grande cesta di pastafrolla che lei stessa avrebbe preparato.

"Mo-re?" – rispose André, in tono interrogativo, un poco tremante, come a schermirsi per via che forse la richiesta sarebbe stata un poco complicata da esaudire.

"Oh, tesoro!" – che la servetta assunse un'aria trasognata, fondandosi a inginocchiarsi e ad abbracciare il moccioso, irrigidito per via che non c'era proprio abituato a essere stropicciato, se non che tutto era sempre accaduto tra le braccia della sua povera mamma, ma da estranei appena sconosciuti mai – "Allora facciamo così. Prendi un cestino e le vai a raccogliere tu! Questo pomeriggio sei libero da qualsiasi impegno. Ti meriti qualche ora tutta per te!".

La servetta era giovane, non aveva alcun potere di disporre della servitù, men che meno delle ore di lavoro assegnate al nipote della governante.

Il tono era bizzarro ma affettuoso, tanto che nanny si vide posare addosso gli occhi interrogativi della giovinetta, imploranti di non negare la proposta, e quelli un poco sorpresi del nipote, in un misto di timore d'esser scortese verso gli impegni che aveva preso presso la nuova famiglia, di contro alla voglia muta di andarsene un poco a zonzo per la campagna, come faceva quando abitava al suo villaggio natale.

Ora era diverso però.

Se un tempo amava passeggiare in solitudine, che tanto poi ritornando sui passi, imboccava il sentiero di casa ove l'attendeva il sorriso un po' stanco di maman, adesso non era più tanto certo di voler percorrere nuove strade, esplorare sentieri e ruscelli senza nessuno alle calcagna.

Non era più lo stesso e per quanto anche nanny lo accogliesse a braccia aperte al suo ritorno, rimettere piede in una casa non più sua, sapeva di gesto antico che mai avrebbe originato lo stesso caldo brivido di nostalgia dettato dall'abbraccio della madre.

E poi…

Da che era finito lì, in quella nuova grande casa, non se n'era quasi mai andato in giro da solo.

Era accaduto solo i primi tempi, quando c'era da aggiustare e compensare le mansioni, in virtù della forza del moccioso. Ancora poca per la verità, che lui era davvero piccoletto, e un certo vizio d'essere coccolato da maman, ancora non gli era del tutto passato dalla mente, e una certa stanchezza sorgeva dopo le faccende domestiche, che ora dopo ora gli venivano assegnate.

E poi c'era lei, mademoiselle, a dettare orari e passi e giochi e allenamenti.

Nanny annuì.

Faceva molto caldo, un cappellaccio di paglia calcato in testa, troppo grande ma utile, e il moccioso prese a correre tentando di rammentare dove ondeggiassero lucidi e appiccicosi i benedetti piccoli frutti che gli era parso di scorgere in una qualche scorribanda, accompagnato, o meglio al servizio, della figlia più piccola del padrone di casa.

§§§

Il sentiero lo rammentava a fatica, l'aveva percorso forse una o due volte.

Laggiù c'era la piccola icona votiva, una casupola di mattoni che proteggeva una statuetta della Vergine Maria, l'abito bianco e il velo dipinto di blu, che il blu era la tonalità delle fanciulle.

Straboccante di fiori, margherite e fiordalisi…

Poco oltre si doveva svoltare, per via che poi si scendeva giù verso quella sorta di laghetto, ora ridotto a poco più che una pozza melmosa, dove si gettava un rigagnolo ormai asciutto.

C'era da seguire quello, perché oltre il tratto assolato e spoglio, oltre una svolta di pietre e sassi piatti che ci si poteva saltellare sopra, sorgevano, come una sorta di cattedrale verde e spinosa, i lunghi rami dei rovi, sporgenti sul rigagnolo, specchiati e beati nella frescura dell'acqua pulita.

Li rammentava laggiù…

C'era da scegliere i getti alti, quelli che sfidando le alberature scure, si tendevano verso il sole, capace d'addolcire le bacche e scurirle in frutti ormai maturi.

Per tener lontano le bisce, d'acqua o di terra, s'era procurato una cannetta lunga e flessibile, così da spaventare le bestiole, di certo infastidite da chiunque, conosciuto o estraneo, fosse finito a disturbare il sonno del pomeriggio.

Che a forza di sferzare i ciuffi d'erba più alta, via via che avanzava entro il sentiero, non s'avvide – che l'erba era davvero alta – che dalla parte opposta avanzava alla pari un altro viandante, capo chino, occhi a terra, per via della fascina di legna caricata sulla schiena.

Una frustata bassa colpì le gambe, che l'altro fece un passo indietro, incespicando, vinto dal peso della legna che lo trascinò a terra, di schiena, gambe all'aria e trecce chiare a volare scomposte, appiccicate alla fronte sudata.

"Perdonatemi mademoiselle!" – gridò André, lasciando cadere il cesto, fiondandosi a soccorrere il malcapitato viandante, che non era altro che una mocciosa, poco più piccola di lui, impolverata e muta a terra, incapace di rialzarsi per via ch'era rimasta impigliata al carico troppo pesante da risollevare.

"Non…non importa" – balbettò l'altra, impaurita e impolverata – "Sono desolata…non v'ho visto".

"Che dite?" – s'affrettò a scusarsi André – "Sono io che non avrei dovuto picchiarvi con la frusta. Temevo in qualche biscia".

"Non sono una biscia!".

"No…certo che no!".

André liberò la mocciosa dal legaccio, l'altra puntò un ginocchio a terra per rialzarsi, le trecce morbide avevano raccolto erba secca e polvere, il bambino fece per mondarle, restando però impigliato…

"Ahi!" – gridò quella contrariata…

"Ehi! Stupido!? Che stai facendo?".

André trattenne il respiro, gli occhi spalancati misero a fuoco, sotto il sole cocente, tre…

No…

Quattro mocciosi…

Comparsi d'un tratto da sotto le fronde scure…

"Come ti permetti?" – un passo, quello meglio piazzato s'impose – "Questa è mia sorella…che stavi facendo?".

"Niente…l'ho fatta cadere, non era mia intenzione. Volevo…".

Che l'altro non c'impiegò che un istante…

Una spinta…

André era davvero esile e fragile. Volò a terra, le mani ruotate all'indietro appena in tempo per attutire la caduta, i palmi a schiacciare sassolini e erbacce.

"Sureau!" – gridò la bambina che s'era rialzata – "Scemo! Non l'ha fatto apposta!".

Che fu quella stavolta a correre dal malcapitato per mettersi in mezzo, che i quattro ragazzetti s'erano fatti avanti. C'era da difendere o menar le mani, era irrilevante.

"Stupida tu!" – ingigantiva l'altro come per trovar spunto per proseguire nell'assalto – "T'ha buttato a terra e poi t'ha pure tirato i capelli! Oggi non c'è il tuo fidanzato a tirarti fuori dai guai!".

La mocciosa arrossì, mentre il malcapitato moccioso era rimasto fermo, i palmi un poco doloranti, anche se non gli pareva d'essersi rotto alcun osso. Sarebbe stato un guaio con tutto quel che aveva da fare.

Non ci fece caso, sul momento, alle parole vaneggiate che gli cadevano addosso.

Un piede a terra, il ginocchio puntato, si tirò su, andando in cerca del cappello e del cesto volati via.

Il passo sbarrato sugli oggetti…

"Toglietevi di mezzo!" – prese a sputare André, che adesso non aveva più voglia di star lì a farsi mettere i piedi in testa. La coscienza era pulita, il malinteso assolutamente dipanato dall'intelligenza della giovinetta, che s'era messa di traverso a braccia aperte davanti al fratello, impedendo a quello di portare a termine i rissosi propositi.

"Sureau! Te l'ho già detto. Non l'ha fatto apposta. Voleva solo aiutarmi".

I quattro ragazzetti tirarono su col naso, moccio di calore e rabbia, che sfumava il proposito di fare a botte, o meglio rifilare qualche pugno allo sconosciuto moccioso.

"Quello è nuovo! E' bene che impari l'educazione. Tu poi?!" – Sureau pareva a mezzo tra l'adirato e il divertito – "Metti che si scontrava col tuo bel innamorato…".

Era la seconda volta, chissà chi era allora quello che pareva capace di menar le mani per un nonnulla.

"Senti…" – battibeccò la sorella punta sul vivo – "Io penso proprio che invece lui non avrebbe fatto tutta questa scenata. E' intelligente…m'ha difeso quella volta, perché quella volta davvero è stato brutto…".

Cianciavano quelli…

La testolina mora lavorava di fantasia. Dunque quelle campagne all'apparenza così solitarie e vuote, che ci sarebbe stato da smarrirsi, piedi e cuore, ed ascoltare il rimbombo del muscolo che si ritrovava solo, senza un'anima a cui domandare uno sguardo o scambiarci un saluto, non era poi così deserta.

"E poi che ci fa quello qui? Non è posto per lui. Queste terre sono del padrone! Tu lo sai bene".

"Se si fosse perso?" – obiettò l'altra voltandosi a squadrare l'estraneo viandante, implorando muta di reggere il gioco.

§§§

André si spolverò le vesti.

Era piccolo, era fragile sì, ma non al punto da tirarsi indietro, nemmeno lui, se c'era da menare le mani. Magari aveva solo il buzzo o l'accortezza d'accertarsi che le mani fossero l'ultima via per uscire dal guaio o non ci fosse alle perdute un'altra strada.

No, in quel caso non gli pareva giusto mentire.

S'osservò i palmi.

I sassolini erano rimasti appiccicati alle mani fradice di sudore. Fece per sbatterle l'una con l'altra. Un paio di pietruzze volarono via lasciando però solchi di sangue scuro a rigare la pelle.

Quello sì ch'era un guaio.

Il Generale Jarjayes l'aveva avvertito.

Non appena si fosse fatto un poco più robusto e i polsi avessero preso dimestichezza con le rotazioni impresse impugnando saldamente una spada, non certo per falciare fieno, avrebbe ricevuto debite lezioni per imparare a tirare di scherma, così da svolgere al meglio il suo ruolo di contraddittore della figlia che parimenti stava imparando le stesse regole.

Piuttosto che andare a prender l'acqua al pozzo, strigliare i cavalli, scostare inforcate di letame, gli pareva un compito estremamente importante, di cui lui stesso avrebbe dovuto esser degno.

Gli pareva un'insperata fortuna, la sorte che gli era scesa addosso, ossia mutarsi nell'ombra d'una creatura luminosa, bizzarra certo, un po' pazza, quale era la figlia più piccola del Generale Jarjayes.

Inspiegabilmente il cuore aveva tuonato, entro un rimbombo di morbido stupore, di sorprendente e muta sospensione e s'era detto che avrebbe fatto di tutto per imparare quel che doveva imparare.

Ma fuggire no, gli pareva che a metter mano a una fuga lì, adesso, l'avrebbe reso idiota ai suoi stessi occhi, se non prima ancora che agli occhi della mocciosa che lui stesso aveva deciso di proteggere.

Il nervoso ebbe la meglio sulla via bieca che gli era stata offerta.

"Non mi sono perso" – sbottò stizzito André – "Ma non ho tempo da perdere!".

La povera bambina vide sfumare l'unico appiglio che le era balenato in testa per consentire all'altro di giustificare il passo che solcava terre altrui.

"In fondo non sto facendo nulla di male. Mi è stato chiesto di raccogliere delle more e quello sto andando a fare".

"Un moccioso che raccoglie more?" – canzonarono i quattro – "Come una femminuccia? Non puoi! O ti toccherà vedertela col suo fidanzato!".

Ancora…

"Ma si può sapere…" – balbettò André spinto dalla curiosità – "Chi sarebbe…".

"Come? Non lo conosci? Un moccioso pestifero!" – sibilarono i quattro bambini – "Sempre pronto a menar le mani. Se ti trova qui…".

"Non dar retta a questi sciocchi!" – ribatté la bambina – "Il mio fidanzato mi ha difeso. Per questo ha fatto a pugni! Se per questi stupidi fare a botte vuol dire difendere una fanciulla in pericolo…".

Le bocche dei quattro s'allargarono di botto, una grassa risata prese a inondare il sentierino, André sempre più perplesso, la mocciosa, che di nome faceva Iris, sempre più arrabbiata, e i quattro stupidi, sempre più divertiti.

"Insomma!" – pestò quella voltandosi verso André – "Il mio fidanzato è bellissimo e gentile. Un giorno stavo passando di qua, proprio come oggi, e c'erano due stupidi del villaggio vicino che avevano preso a seguirmi e a prendermi in giro e loro sì, davvero, avevano preso a tirarmi le trecce. E lui se n'è uscito da chissà dove e gliel'ha detto in faccia che dovevano lasciarmi stare ma quelli niente…".

Il racconto saltellava come un ranocchio impazzito in cerca d'un rifugio dalla biscia che l'inseguiva…

André era la biscia, che per uno strano caso tentava d'acchiappare la rana, ossia il filo del discorso, comprendere se avesse mai avuto modo incrociare quel piccolo cavaliere, ma da che ne sapesse lui, per il momento, aveva avuto a che fare solo con stallieri e giardinieri, erano tutti più grandi di lui, molto più grandi, e poi c'era il generale…

E nessun altro!

"E poi s'è quasi azzuffato…insomma…li ha messi in fuga!".

"E mia sorella ha deciso che da allora, quello sarebbe stato il suo fidanzato!" – rise il moccioso più grosso – "Che storia eh? Solo che lui non lo sa proprio! Quello se n'è andato e l'ha lasciata lì come una pera caduta dall'albero".

André s'era perso. Ossia aveva perso il filo del discorso.

"Perdonate, ho fretta!".

§§§

"Non t'abbiamo mai visto da queste parti" – sputò il ragazzo più robusto – "Come fai a sapere dove sono le more?".

"Lo so e basta!" – rimbeccò l'altro, sbattendo il cappello sulle ginocchia per liberarlo dalla polvere, ficcandoselo in testa.

Gli pareva che non fosse il caso d'ammettere che da quelle parti c'era già stato. Gli pareva che non fosse il caso di spendere il nome del padrone, non con quelli ch'erano in fondo le prime anime che gli era toccato d'incrociare da che era giunto a casa Jarjayes.

Quelle erano terre del padrone, il Generale Jarjayes, se gliel'avesse detto, a quelli, chissà che sarebbe accaduto.

Non voleva vantarsi, da che non aveva nulla di cui vantarsi.

E nella testa albergava una sorta di vena egoista, come di possesso di qualcosa ch'era suo e soltanto suo.

Non voleva dare spiegazioni, non voleva che nessuno sapesse chi era.

Il pensiero rotolava nella testa, sentiva ch'era un pensiero storto, un pensiero acuminato come le spine dei rovi che adesso, a grandi passi, era riuscito a scovare.

Come un filo che si riannoda, seppur qualcuno aveva tentato di sfilarlo…

"Sono sicura che il mio fidanzato, se sapesse che sei in cerca di more…" – prese a pigolare felice la mocciosa – "Ti darebbe il suo permesso. Se ha aiutato me non può che essere una persona generosa!".

I mocciosi gongolavano…

"Non è che vuoi ingelosirlo?" – ridacchiarono un po' scemi – "Se ti trova a passeggio con un altro ragazzo?".

Iris si bloccò all'istante, nella testolina pungeva il dubbio.

André ci capiva sempre meno. Troppe congetture facevano perdere di vista l'incarico. Riprese a passi veloci a rincorrere la meta prefissata.

I mocciosi non lo mollarono, così che nel tragitto, André si tolse una certa soddisfazione, che un poco stizzito André gliel'aveva detto al fratello maggiore, e persin più robusto, ch'era stato lodevole prendere le difese della sorella più piccola…

"Lo-de-vo-le?" – aveva storto il naso quello – "Che significa lodevole?" – che non era poi un gran che intelligente.

"E' bello!" – aveva spiegato André, tanto per incensare quel che di buono si poteva cavare dalla messinscena - "Ma se poi lasci che lei si metta sulle spalle tutta quella legna…che razza di fratello sei?"!.

Gliele aveva cantate insomma.

Così l'altro s'era sentito davvero stupido e s'era convinto a portarsi sulla spalla la legna.

Però siccome lo straniero li incuriosiva tutti, tutti avevano deciso di non perderlo d'occhio, che la strada li conduceva a ritrovarsi entro il sottobosco umido e più fresco, appena solcato da lame di luce a tagliare la coltre nera.

I rovi apparvero alla fine, sul limitare della boscaglia, come meta e al tempo stesso inizio d'una ricerca più meticolosa.

Gli occhi presero a solcare i rami lunghi e spinati, soprattutto quelli che svettavano alti un poco appesantiti dalle bacche mature.

Erano tutti abbastanza minuti i mocciosi, tranne il buon Sureau, che aveva seguito gli altri anche per togliersi l'ultima soddisfazione, ossia osservare il bambino sconosciuto arrovellarsi sul modo di raccogliere i frutti, per poi rivelargli che lui di quelle more non avrebbe potuto raccoglierne neppure una.

Tutti sapevano di chi erano quelle terre.

Le mani eran già un poco rovinate.

"Avanti!" – s'impose l'unica mocciosa del gruppo – "Sureau, tu che sei il più alto…se ti prendi André sulle spalle, si arriva a prendere quelle lassù!".

Il dito indicò un ramo robusto, tanto carico di bacche quanto di spine.

"Non è necessario" – si schermì André.

"Io non lo faccio" – disse Sureau, poggiando la legna a terra – "Queste terre non sono nostre e nemmeno quel che c'è sopra! E se ci prendono per ladri? Chi sarebbe questo idiota per prendersi quello che non è suo?".

André ebbe un brivido, non aveva pensato alla questione – "Vi assicuro che non sto rubando nulla".

"Ah si? E chi ce lo dice? Chi sei tu?".

"Senti…faccio da me!" – sbuffò André prendendo a spiluccare i rami più bassi, splendidi aromi sprizzavano al tocco, alcuni acuti e aspri, altri soavi e dolcissimi.

"Sureau!" – Mademoiselle Iris pestò un piede a terra – "Allora prendi me sulle spalle. Voglio aiutarlo!"

Sbuffò il moccioso, quasi tirò via di botto la legna, una spinta alla bambina, lieve però che quella non si fosse fatta male, una mano sulla spalla di André, quello si voltò e si ritrovò il bambino con le mani a scodella, le dita incrociate a fargli d'appoggio.

"Sali!" – l'ordine secco.

Nei teneri abbagli di luce bianca, le mani piccole presero a rincorrere le bacche mature, dapprima quattro mani, poi sei, mentre la mocciosa era rimasta giù col preciso compito d'alzare la cesta di volta in volta che un frutto veniva raccolto, così che quello non cadesse giù per spiaccicarsi a terra.

Un bel lavoro di squadra dunque.

"Dobbiamo sbrigarci!" – prese a piagnucolare uno dei mocciosi – "Non abbiamo il permesso di raccoglierne troppe".

"Te l'ho già detto" – rimproverò la bambina – "Se il padrone arrivasse adesso, sono sicura che ci parlerebbe il mio fidanzato e ci lascerebbe prendere tutto quel che vogliamo!".

"Ma chi è il tuo fidanzato?" – domandò André, sull'onda della felicità d'aver trovato quel che cercava, un poco instupidito per via che temeva di non poter portarsi a casa il delizioso bottino – "Si può sapere?".

"E' il figlio del padrone di queste terre!" – sputò Sureau, all'indirizzo del moccioso che già da un po' stava reggendo sulle spalle.

Rotolò piano, dapprima, la chiosa…

Quelle erano le terre del Generale Jarjayes…

Il Generale Jarjayes non aveva figli maschi.

Sennò come sarebbe finito in quella specie di sceneggiata d'allevare la figlia più piccola alla stregua d'un maschio!?

Dunque presero a franare le pietre, dapprima quelle piccole, poi massi sempre più grandi…

Nella testa tutto prese a comporsi.

"Sì…e un giorno io lo sposerò!" – cinguettò Iris un poco trasognata – "Quando saremo più grandi s'intende. E' bellissimo. I suoi occhi sono azzurri come il cielo, come il blu dei fiordalisi!".

"Per la miseria!" – che l'esclamazione esplose tutto d'un colpo, il cappelluccio di paglia sgusciò via al debole alito di vento, le dita del malcapitato moccioso, già finito a terra una volta, s'intestardirono, come senza pensarci, come rapite dai pezzi del racconto che s'univano, a restar salde nelle vaghe convinzioni e, anzi, a salir su, ancora più su, come a volerle scalare, quelle convinzioni, e con esse afferrare i frutti più lucenti e maturi che ondeggiavano furbi e trionfanti ancora più in alto.

André dimenticò quel che stava facendo, s'attaccò in malo modo e con tale forza, impiegata a tirar giù il ramo – non per staccare un frutto ma per distogliere da sé la bizzarra verità che gli si proponeva davanti – che rapidissima s'incise la spina e con essa il dolore secco, a imporre repentino di lasciare la presa.

Disarcionato da una spina, ma forse dalla visione che si dipanava - le spine, tutte le spine, fanno male e pungono, non c'è nulla da fare – André Grandier ondeggiò sospinto all'indietro.

Per non cadere s'attaccò ancora di più all'infernale ramo…

Sureau mollò la presa, André anche, perché il ramo non avrebbe retto il peso.

Si lasciò andare, in terra, le mani in appoggio si ritrovarono trafitte dalle spine oramai conficcate nella tenera carne.

Si precipitarono i bambini a soccorrere il malcapitato che tentò di trattenere il respiro, e con esso il grido, non stava bene urlare come un marmocchio di pochi anni.

I palmi penzoloni che non sapeva dove appoggiarli…

Il terrore di non poter fare quel che gli era stato chiesto…

E sua nonna che l'avrebbe sicuramente sgridato.

E c'era che quella mocciosa doveva aver scambiato mademoiselle per un bambino…

Il padrone di quelle terre, il Generale Jarjayes, non aveva figli maschi.

Dunque Iris aveva conosciuto Oscar e l'aveva presa per un maschio e…

Che razza di anniversario si prospettava!

Il gruppetto non si divise, non si scompose, e come fossero stati reduci da una guerra combattuta nei boschi contro fantomatiche creature silvane, i mocciosi ripercorsero a ritroso la via che portava al sentiero.

Il malcapitato cercatore di more indicava a cenni la strada giusta…

Gli occhi dei quattro via via spalancati nel comprendere dove quello dimorava…

Allora li aveva presi in giro, l'edificio maestoso non era del tutto sconosciuto, dato che era lì che abitava il padrone delle terre dove camminavano e dei rovi che avevano appena saccheggiato e dunque…

"Conosci il mio fidanzato?" – Iris si parò davanti al dolorante cercatore di more, che quello stranito balbettò una stupidaggine.

"No…ecco…" – tentò d'arginare il crollo – "Non lo so…".

"Senti!" – stavolta fu Sureau a pigliar l'altro per la giacchetta – "Non prenderci in giro e non prendere in giro mia sorella. Siamo stati gentili con te".

"Sì…" – abbozzò André – "Può essere, ma ecco…debbo dirvelo…lui…".

"Ah! Che bello!" – Iris prese a battere le manine – "Posso vederlo? E' in casa?".

"E' possibile. Forse ha terminato di studiare. E'…sempre…".

Impegnata!

Il vociare di fuori s'espanse alle camere che s'affacciavano sul retro della casa.

Rimbalzarono gli strilli di nanny, assieme allo sconnesso pigolio della povera domestica da cui aveva preso avvio tutta l'orrida sceneggiata, finita in ben così misero epilogo.

Rimbalzarono gli strilli contro gli attoniti mocciosi campagnoli, ch'erano rimasti fermi, muti, sul limitare del giardino.

Rimbalzarono gli strilli su, ad attirare gli occhi sgomenti delle figlie del padrone, le più grandi, Hortence, Joséphine e Victoire, e le più piccole, quasi coetanee dell'ultima.

Tutte e cinque affaccendate a scoprire l'origine del baccano, gli effigi scomparvero dalla finestra, per precipitarsi giù, la visione era troppo ghiotta e siccome il signor padre era fuori, nessuno avrebbe vietato loro di correre nelle cucine e comprendere che accadeva.

In punta di piedi però e trascinandosi dietro Marguerite e Sybille, le due più piccole, che non avessero preso a piagnucolare d'esser state messe in disparte.

Dunque la cucina di casa Jarjayes era abbastanza grande da accogliere contemporaneamente la governante, cinque domestiche, due aiuto cuoche e via via altra servitù che fosse stata utile a rendere rapida ed efficiente la gestione delle cene e dei ritrovi d'ospiti importanti.

Pur tuttavia non s'era mai veduta in quella cucina una tale masnada di marmocchi, d'età diverse, di pari differente vestiario.

Da una parte le cinque damine, fasciate in delicati broccati estivi e sobri pizzi di cotone intrecciati a comporre maniche di poco impiccio ai movimenti e alla toilette, e dall'altra il gruppetto di mocciosi plebei, moccio al naso, capelli impolverati e giacchette macchiate di rosso…

Lo stupore era reciproco…

Appoggiato al tavolo, faceva bella mostra di sé il trofeo del giorno.

Il cesto ricolmo di more emanava un profumo inconfondibile, seppur l'estasi della raccolta s'era smorzata di contro alle povere manine di Andrè variamente bucherellate da spine e graffiate da sassi.

Qualsiasi rimprovero sarebbe stato inutile, che quello s'era quasi spaccato il labbro inferiore a forza di morderlo per non strillare di dolore.

Erano tutti lì…

"Nonna…" – un pigolio – "Mi dispiace…".

Madame Glacé trattenne il fiato, che non sapeva se strillare ancora oppure gettarsi a consolare il nipote, che però l'abbraccio sarebbe stato preso per una specie di consenso a quel che aveva combinato, un'approvazione che non era il caso d'elargire con troppa foga.

Quel ch'era accaduto era estremamente grave e il nipote era già sufficientemente affranto.

Hortence fece un passo. Era grandicella, era sveglia, aveva compreso, così le parve giusto approfittare del frangente e cavare un rimedio al guaio.

Ma c'era anche che quella era anche un po' gelosa.

Il padre aveva fatto molti regali nel corso degli anni a tutte le figliole, ventagli di madreperla, abiti da ricevimento, libri preziosi, collane di perle, fermagli di smeraldi e rubini incastonati.

Ma mai era accaduto che a una di loro venisse assegnato una sorta di attendente, com'era accaduto a quella mocciosa della sorella più piccola.

"Così domani sarà l'anniversario di André?" – domandò aspra – "Potevate dircelo…" – che lo sguardo azzurro cupo si volse al bambino – "André è il benvenuto in questa casa. Siamo state tutte felici quando sei giunto qui".

"Mademoiselle Hortence" – s'affrettò a spiegare nanny mentre ordinava alla domestica artefice di tutto quel disastro d'armarsi d'un paio di piccole pinze, dato che quella aveva la vista migliore, e di mettersi lì a cavare più spine che poteva dai palmi del sofferente nipote – "André è solo un servo. Non era necessario che voi sapeste del suo anniversario".

"Sta bene! Ma ora lo sappiamo e…" – che si voltò a consultare le sorelle – "Vorremmo esserci anche noi…qui insomma…per festeggiarlo…".

Trasalì nanny…

"E…" – lo sguardo corse ai marmocchi plebei – "Siccome loro lo hanno aiutato, mi sembra giusto ringraziarli. Che ne pensate di venir qui domani e fare una festa tutti assieme?".

André trasalì, all'ennesima spina scavata dal palmo, i cinque mocciosi contadini si guardarono perplessi.

Hortence ficcò lo sguardo entro il cesto ricolmo di more – "Ne avete raccolte abbastanza per fare almeno tre torte!".

Per qualche istante il silenzio s'impadronì di lingue e congetture.

Sybille, che di anni ne aveva nove, quasi la stessa età di André, saltò su aggiungendo che ciascuno avrebbe portato un dono.

Lo scompiglio prese a salire, inghiottendo le deboli note di pianoforte che giungevano dalla sala dello studio, dove la mocciosa più piccola, l'arpia insomma, si esercitava, come di consueto a quell'ora della sera.

"Madame…" – Hortence si fece verso nanny – "Sarebbe una gioia per noi dare finalmente il benvenuto ad André. Come si deve. Da quando è giunto in questa casa si è sempre premurato per noi e così e divenuto molto caro a tutte. Ci tratta sempre con gentilezza e sarebbe giusto da parte nostra ricambiarlo".

La servetta che aveva dato stura a tutta la messa in scena si morse il labbro per la stizza. Non era così che doveva andare la faccenda, lei voleva che André stesse alla larga, almeno per un giorno, dalle incipriate braccine delle damigelle altolocate, ma alla fine, se si doveva cavar fuori qualcosa di buono, quel buono sarebbe stato che André se ne sarebbe rimasto lontano per qualche ora dalla piccola arpia, almeno da quella, che tanto quella aveva da incontrare il precettore e guai a chi avesse interrotto le sue benedette lezioni.

"Madame, anch'io debbo farmi perdonare" – s'affrettò ad accodarsi la giovane servetta – "Se non fosse stato per la mia sciocca idea, André non si sarebbe fatto male. Preparerò dolci per tutti e se vorrete potete trattenere il costo delle uova e della farina dalla mia paga".

"Suvvia!" – intercalò la vecchia governante – "Non facciamone una tragedia. Mio nipote doveva stare all'erta, lo conosco sapete. Quando si mette in testa qualcosa non lo ferma nessuno. La colpa di questo guaio è solo sua ma…".

Il fiato sospeso…

"E sia! Qui possiamo avvicinare la tavola che sta nell'altra stanza…mademoiselles…siete davvero sicure di voler desinare con la servitù?".

"Madame…siete voi ad essere davvero gentile ad accoglierci!".

Un passo…

André sussultò all'ennesima spinetta cavata dal palmo.

Iris s'avvicinò a Hortence, ammettendo di riconoscere in lei una certa qual autorità, tra tutte le damine che osservavano la scena.

"Ma voi siete le figlie del padrone di questa casa?".

"Oui…" – trillò Victoire curiosa – "Lei è Hortence, mia sorella maggiore. Poi c'è Joséphine, e loro sono Marguerite e Sybille…e infine ci sono io…".

"Ah…" – l'entusiasmo smorzato…

André tese l'orecchio disperato…

"Ma…manca vostro fratello allora?! Non è con voi? Verrà alla festa?" – azzardò testarda Iris.

"Nostro…" – Hortence era sveglia ma la chiosa destò una certa perplessità – "Fratello?! Mademoiselle…noi non abbiamo…".

"Iris!" – che André cacciò un grido, prendendo a saltellare, come fosse stato un capretto un po' pazzo – "Mademoiselle Iris…sarà una bellissima festa! Ci saremo tutti. Vedrai! Balleremo e canteremo!".

"Nostro…!?" – la voce di Hortence superò quella del povero moccioso stremato, mutandosi in mellifluo dissenso – "Ma certamente! Inviteremo tutti. Sarebbe scortese non farlo".

"Mademoiselle Hortence…" – stavolta fu la servetta a ritrovarsi in scacco – "Perdonate…ma ci sono le lezioni e il precettore. Monsieur non ha ricevuto disdetta per la giornata di domani e lo si deve lasciar lavorare in pace".

Hortence mimò perplessità – "Allora vedremo. Avete certo la ragione dalla vostra parte. Sapete…Iris…certi impegni non si possono disattendere. Ma per André vedremo di fare uno strappo alla regola!".

Un qual certo brivido astratto d'una specie di battaglia che invece aveva tutta l'aria d'essere severa solcò la mente di alcuni dei presenti, quelli che avevano compreso.

Alla fine la cucina si svuotò, tutti scomparvero, ciascuno indaffarato dietro alle proprie faccende.

Che anniversario movimentato!

Lo pensò André mentre s'immergeva nella strana piega che aveva preso il suo destino, in quel caotico andare e venire di persone e facce nuove.

Gli occhi si chiusero finalmente all'affacciarsi in testa di un unico pensiero e di un solo viso.

§§§

La penna procedeva lenta…

La riga d'inchiostro pareva una specie di serpe agonizzante, tutta arrotolata su se stessa.

La mano sbattuta sul tavolo, era la quinta volta che si doveva vergare quella benedetta acca tentando di portare a termine il segno senza sbavature eccessive, senza tentennamenti.

"Vostro padre è un santo" – si stizzì il precettore – "Vi sta insegnando a usare il fioretto, ma di contro siete un poco lenta nel ricamare le lettere dell'alfabeto. Ricominciamo su!".

Il tocco finale…

Un tocco alla porta…

"E ora che c'è?" – si spazientì l'uomo imponendo severo solo con un'occhiataccia di continuare nell'esercizio che alla porta ci avrebbe pensato lui.

Fece capolino la diabolica servetta che stavolta aveva già ben disposto un ricco fiorame di rose entro il vaso – "Che mi perdonate monsieur se v'interrompo? M'hanno detto di poggiare questi e poi uscire di corsa".

"Fate pure, non v'è pace in questa casa! Che diamine sarebbe tutto questo baccano?".

Stavolta la piccola arpia interruppe la battaglia con inchiostro e carta. La penna si staccò, restando appollaiata nella mano, a mezz'aria, l'orecchio teso ad ascoltare il rumoreggiare che s'infilava dal fondo della casa, portato dall'aria fresca del pomeriggio – era trascorso un altro giorno beninteso – ma lei non ne sapeva nulla di quel che stava accadendo e le pareva strano che a quell'ora dall'altra parte intonassero note di violini e…

Sì, pareva proprio un'armonica a bocca.

"Perdonate davvero monsieur. Chiuderò tutte le porte così non vi si disturba con la festa. Sapete, sono venuti in tanti per l'anniversario di André".

"André si" – commentò il precettore lisciandosi la barbetta – "Davvero un bravo bambino. Lui apprende in fretta. Si merita un poco di svago. Ma non esagerate".

La penna a mezz'aria, lo sguardo si sgranò all'istante sollevandosi, il corpo s'irrigidì mentre i riccioli immobili fremettero tra curiosità e terrore.

Oscar François de Jarjayes aveva solo otto anni e mezzo ma ci sentiva bene e soprattutto comprendeva al volo certi concetti.

Si voltò di colpo, il corpo tutto si tese, seppur inchiodato alla sedia.

Le gambette a penzoloni s'irrigidirono.

Che la servetta squadrò la mocciosa, feroce e soddisfatta di vederla lì, ad attendere ad astrusi doveri e così finalmente restare lontana da André che sarebbe stato libero per tutto il resto del giorno - "Vi lascio monsieur. Ancora tante scuse mademoiselle. Ora potrete studiare tranquilla".

La porta si richiuse. La gola anche.

Era l'anniversario di André. Sì, rammentava il giorno, ma fino ad allora non s'era mai fatto nulla.

E c'era che lui non le aveva detto nulla. Nessuno l'aveva fatto.

Non l'aveva veduto dal giorno prima, per via di non s'era capito bene quale sorta di guaio avesse combinato, ma poi che guaio poteva mai essere se quel giorno il moccioso lo stava festeggiando, di là?

Chissà chi c'era?

S'avvide di non aver veduto per tutta la mattinata neppure le sue sorelle, scomparse ciascuna nella propria stanza, chissà a far cosa.

Ingoiò una strana mistura salata. Era la prima volta che accadeva, non per via d'un rimprovero un poco più asciutto da parte di suo padre o per un inciampo dopo un affondo malriuscito.

"Ebbene proseguiamo, o c'impiegheremo un'eternità" – sentenziò il precettore ricomponendosi entro la lussuosa posa d'un uomo a cui è stato affidato un incarico quasi epico, istruire una mocciosa alle arti scientifiche e letterarie, che sulle prime, quando se l'era sentito proporre da Monsieur le Generale Jarjayes c'era rimasto male, perché certo le fanciulle hanno il dovere d'essere educate ma non certo ad apprendere ogni sorta di dogma filosofico e composizioni di latino, greco, storia.

Sulle prime l'aveva trovato quasi offensivo…

Educare una fanciulla alla stessa maniera d'un fanciullo!

Dove sarebbe precipitata la povera Francia se a una donna doveva esser insegnato tutto quel che non le era necessario nella vita ma nulla di quel che le sarebbe stato utile per vivere alla stregua d'una dama!?

Da smacco, la proposta era divenuta sfida.

Monsieur le Generale gliel'aveva girata così al povero precettore!

Non ci sarebbe stato disvalore a insegnare a una fanciulla, tanto più che se il maestro ci fosse riuscito, ciò sarebbe divenuto punto d'orgoglio, così come gran pregio la fama dell'incarico, che si sa, non è poi tanto facile inculcare una discreta conoscenza nella mente poco malleabile d'una femmina.

Il generale s'era scusato dunque per la richiesta poco ortodossa, ma lui stesso non dubitava che la figlia sarebbe stata un'ottima allieva.

E comunque per fortuna la mocciosa era delicata e riservata, apprendeva lentamente ma con profondità, non era irriverente e sapeva stare al posto suo.

Ogni tanto accadeva che saltasse su con una domanda più astuta di tante altre e il buon uomo sudava freddo e si doveva rammentare che oltre alle sue lezioni, mademoiselle proseguiva gl'insegnamenti per mano dello stesso padre che dunque la pungolava in quell'esercizio così sciocco se messo in testa a una donna, ossia farsi domande

Che spreco!

Quando a una donna si insegna a riverire il padre o il marito e le si insegna a stare al suo posto, ecco che quella sarà più che felice e adorata nella nobile congrega di pari, ch'ella non sfigurerà e non li farà sfigurare, accolta come discreto fiore nel piccolo angolo di giardino.

S'era perso il precettore…

Scorse alle lettere che da sghembe e affaticate parevano d'improvviso aver subito una frustata energica, come se la mano della piccola fosse stata sfiorata e graziata dalla frenesia d'una qualche musa delle lettere e delle belle arti.

Ora quella vergava acca e ipsilon con riverbero costante.

"Molto bene! Dunque se continuiamo così, vedrò di terminare per tempo questa lezione" – sbofonchiò il maestro – "E' bene che a una fanciulla si lasci il tempo di svagare la mente, altrimenti quella s'affolla di cattivi pensieri che potrebbero anche indurla a cadere nella tentazione di ribellarsi ai suoi doveri".

La ribellione non era contemplata…

Oscar François de Jarjayes era come un bocciolo di rosa…

Deliziosa a sfiorarne i petali, a odorarne il sentore, se però fosse rimasta muta esecutrice d'un sogno altrui.

Ma le rose si sa hanno le spine, un po' come i rami di more, così che per giungere a sfiorarne i petali o a coglierne i frutti si deve prestare attenzione a quelle…

Le spine fanno male e pungono, non c'è nulla da fare.

Le lettere vergate velocemente…

Sulle spine…

Il tavolo era stato spostato per far spazio alle coppie che s'erano prese per mano. Non si osava mescolare il sacro col profano, tuttavia le damine incrociavano i ragazzetti e anche solo sfiorandosi, prendevano a ridere.

Iris era sulle spine…

"Ma…il signorino? Non viene?".

La servetta colse la domanda al balzo. Nel mezzo dello scalpiticcio di passi e risatine s'avvicinò mesta alla piccola dama che portava lunghe trecce arrotolate ai lati della testa, raccolte e trafitte da minuscole margherite di campo.

"Sono andata a chiedere ma il precettore ha detto che non si può proprio disturbare. Sapete, il generale, suo padre, è molto esigente e…".

La servetta gongolava, perché quel dannato orgoglio che il padre, il signor generale, instillava nella figlia, ancora bambina, sarebbe stato estremamente utile.

Perché accadeva che se una delle sorelle non fosse stata invitata a una qualsivoglia festicciola, mai quella, per via dell'orgoglio smisurato, avrebbe osato presentarsi e rivendicare un invito mai concesso.

Il punto era che, alla figlia più piccola, stavano insegnando l'esatto contrario.

Ossia che non doveva ribellarsi, quello mai, ma che se a lei interessava una certa questione, allora sarebbe stato giusto e doveroso e oltremodo onorevole che lei – soltanto lei tra le sue sorelle – fosse andata fino in fondo.

Nella testolina rimbalzava l'idea che la scusa sarebbe stata un dono, uno qualsiasi che avesse recuperato in fretta e furia tra i piccoli oggetti posseduti.

Il precettore aveva giusto inforcato la porta per avviarsi scortato dal somarello guarnito d'una fioca lampada a olio a penzoloni dalla sella sbilenca, che la mocciosa era già corsa verso le cucine, ove si svolgeva la festa, al culmine forse, perché il coro aveva appena terminato d'intonare una canzonetta di buon augurio e tutti s'affrettavano a porgere al festeggiato il dono promesso.

C'era un'altra questione che rimbalzava nella coscienza della mocciosa, e mai quel preciso punto era stato affrontato da alcuno, né dal precettore, né da suo padre, né da nanny e neppure da maman.

Solo Hortence gliel'aveva fatto notare, in un'occasione passata, con un poco di sdegno nella voce, misto a pietà e compassione per via della brutta figura che avrebbe fatto fare alla famiglia, ma anche a se stessa, se a un qualunque ricevimento si fosse presentata in calzoni e giacchetta, lei che era una femmina – e questo ormai lo sapeva - dunque era esattamente come le sue sorelle che s'agghindavano appunto con nastri e abiti dalla foggia ampia e raffinata.

Insomma, come avrebbe fatto a comparire dinnanzi agli ospiti, se non c'era verso di mettere ordine in quel che frullava nella testa…

Un poco alla volta la stizza dettata dall'idea di metter subito piede nella stanza prese a smorzarsi, vinta un colpo dopo l'altro dalla sequela di doni che via via André riceveva.

Le sorelle maggiori s'erano prodigate a offrire piccoli oggetti, un pettine, un nastro per capelli, una fusciacca, una penna d'oca.

Hortence, trionfante, porse un bel volume illustrato.

Oscar pestò il piede a terra ch'era quel che avrebbe voluto fare lei, giusto il tempo di salire su e cercare tra i libri più colorati, magari di geografia che aveva compreso piaceva tanto a André.

Non aveva senso…

Scorse voci sconosciute, fece capolino dalla porta, intravide facce sconosciute.

Una mocciosa con trecce istoriate di fiori di campo porgeva un bel fazzoletto per il collo…

Un altro allungava…

Bleah…

Una coda di coniglio!

Come portafortuna – aveva detto quello…

E poi mazzi di fiori e chi non aveva portato nulla offriva di suonare una canzonetta con l'armonica, un dono un poco evanescente, ma che aveva tenuto allegra la compagnia.

Si ritrasse indietro Oscar. Era tutto perfetto. Era tutto già concluso.

§§§

Non fece a tempo a restar ferma, né ad arretrare.

L'occhio la scorse, da che sicuramente i sensi erano all'erta, per via che quel figliolo un poco scapestrato del Generale Jarjayes mancava all'appello.

"Eccoti!" – Iris si scaraventò fuori dalla porta, le mani ficcate alle mani, un tiro leggero, prese a tirarsi dietro quello che lei aveva già battezzato come il suo salvatore, il suo cavaliere, il suo fidanzato.

Hortence e le sorelle maggiori presero a ridacchiare.

I compagni di ventura rimasero muti all'ingresso dell'ultimo arrivato.

Iris se lo trascinò dinnanzi ad André, come a voler dimostrare all'altro che quel benedetto giovinetto esisteva davvero, da che, da quando ne avevano parlato lei e gli altri, quello era apparso più come una sorta di spiritello selvatico e fiabesco, piuttosto che una creatura in carne e ossa.

Oscar si ritrovò dinnanzi a André e André trattenne il fiato, incerto sulla declinazione da offrire allo strano incontro.

"Mi sa che vi conoscete" – ammise Iris candida – "André, questo…è…".

Oscar strattonò la presa, liberandosi. Era poco più alta della bambina, lo sguardo fiammeggiò cenere azzurra…

André provò a correre ai ripari, inserendosi nel discorso, seppure non sapeva bene dove andare a parare.

Non fece a tempo…

"Mia cara…Iris? Giusto?" – s'intromise Hortence serafica – "Quindi già conosci nostra sorella?".

"Che?" – gelata la bambina, gelati i marmocchi…

"Ma come? Nostra sorella minore!? E' pur vero che le è toccata una ben sorprendente sorte, da che nostro padre ha inteso darle un nome da maschio e poi educarla proprio alla stregua d'un maschio. Si agghinda come tale, come vedi. Ma lei è sempre nostra sorella" – Hortence appoggiò bonariamente la mano sulla testolina bionda, scompigliando la già agitata capigliatura – "A quanto pare ti è familiare, immagino ti sarà accaduto d'incontrarla in una qualche sua scorribanda per le campagne. Sai, a differenza nostra, a lei è permesso andare dove vuole, finanche fare a pugni…".

Sdegnata, la mano della mocciosa scostò la mano della sorella, che non le piaceva essere trattata come un animaletto da compagnia…

Un'occhiataccia, come a dire, me la pagherai!

"Tu lo sapevi?" – Iris corse con lo sguardo verso André.

"…" – figuraccia muta…

"Sì" – lo prevenne Oscar, fredda ma ferma, il senso era salvare André che mai e poi mai lui avrebbe spifferato una sola parola su di lei e su di loro – "Lui lo sa chi sono. Ci conosciamo e sa anche che non mi piace essere chiamata mademoiselle e non mi piace quando altri parlano di me. Se l'hai incontrato e non ti ha detto chi sono, è stato per una mia richiesta o, se preferisci… un mio ordine! Lui di solito fa ciò che gli dico io!".

Strano salvataggio…

André Grandier è mio…

Ancorché in fondo, la chiosa venefica e definitiva valeva per tutti!

Iris mandò giù, nell'ordine, lacrime di rabbia, miste a lacrime di tristezza.

La servetta sussultò come punta da uno sciame di vespe…

"Mi rammento di voi mademoiselle…" – continuò Oscar severa – "Ci siamo conosciute quella volta…c'erano dei bambini che se l'erano presa con te…".

Iris muta deglutiva smarrimento, rinvigorito dal frammento di ricordo che evidentemente era caro anche alla mocciosa che aveva dinnanzi.

Essere parte dei pensieri di qualcuno, a prescindere da qualunque desiderio di vicinanza, non è questione da poco.

"E' stato bello conoscerti" – morbida, che Oscar porse la mano alla mocciosa – "Non pensavo ti avrei più rivisto, spero tu ti stia divertendo".

"Sì…" – ammise la bambina un poco disorientata – "Ma io…avrei voluto…tu…".

Oscar fece un passo indietro, scorse André dietro la bambina – "Mademoiselle Iris…se ti fa piacere possiamo danzare assieme?".

"Eh…" – le lacrime ricacciate indietro, stupita…

"Non potrei danzare con André" – l'indice teso e accusatore, banale ma definitivo – "Perché a me l'hanno insegnato come si insegna ai maschi".

"Eh!?" – stupefatta…

André mandò giù stupore, mentre le guance un poco arrossivano al pensiero che Oscar non avrebbe mai potuto danzare con lui, ma a lui sarebbe andato bene lo stesso, anzi…

Colse lo spunto - "Chi sa suonare qualche motivo per danzare?".

Lo smarrimento prese a sciogliersi…

Le coppie mute scelsero il compagno…

André non riuscì proprio a ritrovarsi Oscar dinnanzi a sé, eppure sentì che tutto era come doveva essere, mentre sorrideva alla servetta, poi a Hortence, a Victoire…

Iris se lo ritrovò dinnanzi per qualche passo, gli sorrise, la tristezza via via scacciata, come inghiottita dal senso di un bene grande, molto forte, più forte di qualsiasi pettegolo espediente, capace di scivolare silenzioso persino ove coloro che lo vivevano fossero stati distanti e lontani.

§§§

Un inchino…

Degno del più nobile e affascinante gentiluomo.

Mademoiselle Iris rimase a osservare il moccioso, che non era un bambino, ma una femmina come lei, congedarsi dopo l'ultimo ballo, con un inchino degno d'un altolocato aristocratico, di contro alle parole asciutte…

Ci vediamo in giro…

Neanche lo spiritello biondo sarebbe mai tornato ad apparire sotto le buffe sembianze d'una lepre, capace di saltar fuori da una tana sempre diversa.

Le cuoche riassettavano la cucina, mentre riponevano le torte avanzate nei cesti dei bambini a cui sarebbero state lasciate in dono.

La servetta era muta, la lingua acida perduta dinnanzi alla chiosa definitiva della figlia più piccola del Generale Jarjayes.

Hortence parimenti aveva visto ricacciata in gola la voglia di creare caos.

Il caos era già servito, il padre delle sorelle Jarjayes ne era unico deus ex machina!

Ma non solo…

André Grandier eseguiva gli ordini di Oscar François de Jarjayes.

Che poi si comprendeva non fossero davvero ordini, bensì una sorta di muta alleanza, quel dannato di filo che legava quelli che erano solo due mocciosi, all'apparenza bambini…

André Grandier è mio!

Più chiaro di così!?

Lacrime asciutte rigarono un poco il viso.

Il dubbio che fosse rabbia oppure proprio stupore, dinnanzi a una sorta d'invisibile filo rosso che ora risplendeva ed era ben visibile a tutti

L'odore del fieno era sempre stato conforto più dolce e potente.

Si era rifugiata spesso nelle stalle, quando era più piccola, tanto che conosceva a memoria i nodi delle assi piantate sul soffitto e i pertugi e le schegge staccate per via di qualche calcio di recalcitranti cavalli.

E poi c'erano quelle tre incisioni, sulla parete in fondo, un poco nascosta dal fieno.

Oscar osservava i tagli, la sua altezza e quella di André, quand'era appena giunto nella nuova casa.

Per conoscersi non c'era modo migliore che stabilire quanto erano alti, chi correva più veloce, chi teneva il respiro più a lungo…

Insomma una gara dietro l'altra, competizioni senza tanti giri di parole o chiacchiere.

Con lui era stato possibile, intralci non ve n'erano, che vestivano allo stesso modo e per quanto André fosse ancora un bambino non s'era mai tirato indietro.

E poi obbediva a tutto quel che lei voleva!

E poi c'era stato un altro espediente…

Sei più alto…

Ma di poco. Forse è così perché sono nato prima di te.

Prima quanto? Tanto prima quanto questi segni?

Sono nato un anno prima di te, anzi per l'esattezza uno e un terzo.

Quindi questi segni sono uguali a un anno e un terzo?

Possiamo dire di si.

E dunque per tutto quel tempo tu c'eri e io no?

Per un anno e un terzo, solo per quel tempo lì!

Tu cosa facevi quando io non c'ero?

André s'era voltato verso la mocciosa che lo contemplava dal basso, testolina bionda e ricci scapestrati, occhioni azzurri sgranati, bocca dischiusa e riccioli.

Che quella aveva appena perduto un paio di dentini, quindi le parole uscivano sibilate, anche un poco incomprensibili.

André non aveva mai pensato al fatto che le persone non sono solo alte o basse, bionde o more, maschi o femmine, o quel che vogliono...

Le persone sono anche tempo

Dunque loro due erano stati tempo…

C'era stato un tempo, da che lui era nato, che lei non lo era ancora.

Un tempo in cui lui era stato, in cui lui esisteva già, ma lei no. Lei ancora no.

Non lo so, non me lo ricordo…

E io?

Tu? Ma tu non c'eri!

Smaltata rivelazione…

Però adesso è tutto risolto – l'aveva pensato André e l'aveva detto piano, come sussurrato – Adesso per fortuna ci siamo tutti e due!

§§§

André, camminava piano…

I passetti uno avanti all'altro, le mani fasciate reggevano una ciotola ricolma.

Prima s'era diretto nello studiolo. Ma l'aveva trovato vuoto.

Allora era andato in biblioteca, ma nemmeno lì aveva trovato anima viva.

Aveva incrociato le damine che rientravano nelle loro stanze, stanche, in apparenza soddisfatte, per aver tenuto alto l'onore delle padrone di casa.

Seppure Hortence pareva davvero triste, forse contrariata.

Stavolta s'era nascosto dietro una statua, che non voleva profferire parola con nessuno.

Camminava quasi in punta di piedi, era ormai buio, la festa conclusa, i doni sistemati in camera.

Non c'era verso, non era possibile!

Un respiro fondo.

André si fermò e pensò a dove potesse essersi andata a ficcare l'altra. Non la trovava, non era da nessuna parte, neppure in camera, che alla servetta era stato chiesto di andare a controllare, ma nemmeno lei l'aveva trovata.

Il moccioso l'aveva tenuta d'occhio, Oscar non aveva assaggiato nulla, intenta a danzare e intrattenere la bambina che l'aveva presa per un maschio.

Era stanco e le mani gli dolevano un po'.

Uscì fuori, la mezzaluna regalava una luce tiepida che si spandeva sulla ghiaia come una sorta di macchia di latte.

Un raggio pieno…

S'immaginò il percorso, il rifugio per acquietare la rabbia, ammansire lo smacco, che se un poco aveva imparato a conoscerla, c'era da immaginarsi che l'altra ci avesse lasciato un pungolo a tutta quella faccenda.

Gli occhi si ficcarono al buio profumato di sontuoso fieno.

Scorse al profilo bianco, gli occhi chiusi, la bocca un poco dischiusa, come a sussurrare chissà quale canzonetta.

"Ma dov'eri finita?!" – il passo affondato nella ghiaia, l'ingresso nella stalla, il tepore delle bestie a superare quello delle magnolie di fuori.

L'altra non si scompose, non s'aspettava di vedere nessuno, o forse sì, forse s'era rifugiata lì, sapendo che solo André sarebbe giunto sin lì per cercarla.

Decise di aprire gli occhi e squadrare di sbieco il bambino.

"Tieni!" – trionfante, quello allungò la ciotola ricolma di crema fredda e quasi affogate dentro svariate belle more, pareva quasi che le avesse scelte con cura e tenute da parte tra tutte quelle ch'erano finite a decorare le torte preparate per gli ospiti.

Oscar non rispose.

André si sedette entro l'incavo della paglia…

No, l'altra si alzò e se ne uscì fuori, che il bambino dovette rialzarsi e uscir fuori anche lui, quasi rincorrerla.

Gli pareva di appartenere a lei, ma non come servo e padrona.

Le apparteneva come l'ombra appartiene alla luce, come la sabbia o la roccia al mare…

Come le nuvole al cielo…

Come se un certo filo si fosse dipanato tra di loro…

Come fossero stati le note d'un certo spartito, che solo in quel certo ordine, solo in quella certa sequenza, rivelano la melodia…

Non accadeva sempre e ovunque, ma di solito era così che André sentiva.

Non sarebbe accaduto sempre, ma era come se da sempre fosse stato così.

E lo sarebbe stato, anche se nessuno di loro sarebbe mai stato niente per l'altro.

Oscar andò ad accoccolarsi sotto la quercia, poco lontano. Appiattì un poco l'erba con la mano, così da rivelare un incavo un poco più dignitoso, per il sedere del moccioso e anche per la ciotola.

Aveva compreso le intenzioni dell'altro, come se quello, che non riusciva a spiccicare parola, non sapesse più che altro dire o fare, per non averla invitata alla festa, anche se alla fine lei c'era finita lo stesso.

Gli pareva d'aver lui sbagliato a non averla avuta con sé, s'era accorto che Oscar non c'era, ma nanny aveva abbozzato al precettore, agli impegni, insomma, non c'era stato verso di pungolare nessuno a distogliere la bambina dai suoi doveri.

Gli pareva d'averla tradita, che lui non aveva mai fatto alcuna festa per il suo anniversario ma nessuna festa sarebbe stata perfetta senza di lei.

"Sono per te" – tremò la voce che l'altra taceva, la testa reclinata sulle ginocchia e lo sguardo a trafiggere la luna di sbieco, come se osservare l'astro da una diversa angolazione ne avrebbe rivelato chissà quale faccia o forse espressione, chissà quale brillantezza, di contro alla vista frontale.

"So…so…no desolato…" – continuò André che non sapeva più che dire.

"Perché mai?" – la voce uscì finalmente, un poco piatta, non severa ma neppure accogliente, gli occhi grandi e placidi si volsero ad accarezzare lo sguardo del bambino.

"Oggi è stato un bel giorno!" – virò il timbro, ch'era così, e non aveva senso nascondere ch'era felice, anche se non sapeva come spiegare che non tutto era stato perfetto, ma gli pareva ad André di non saper bene come spiegare che quell'imperfezione dipendeva dall'assenza dell'altra.

Più di narrare ch'era felice…

Poi s'avvide d'aver forse commesso un errore. Che dirle che lui era stato felice, seppur lei non c'era stata…

L'avrebbe compreso?

Mademoiselle era una mocciosa. Aveva un anno e mezzo in meno di lui e lui stesso ricordava poco dei suoi sette anni e mezzo, forse li aveva avuti, ma poi quel tempo era stato come ingoiato dal susseguirsi della vita e non c'era verso di ricordare cosa fosse accaduto.

Sperò, André, che lei dunque se ne sarebbe dimenticata e crescendo non avrebbe più fatto caso all'incresciosa dimenticanza di non averle detto che quel giorno ci sarebbe stata una festa, e, ancora peggio, non aveva proprio pensato a pretendere che lei fosse là, con loro.

"Sono contenta!" – miagolò Oscar affettuosa.

Non pareva arrabbiata, era strano…

"Senti!" – che fu André a volerla stanare, che quella non gliela contava mica giusta – "Il prossimo anno passeremo tutta la giornata assieme! E intanto…non vuoi assaggiare un poco di crema? Con le more?".

L'altra stavolta si rabbuiò – "Non ti ho fatto alcun dono".

"Non importa".

"Di solito, quand'è l'anniversario delle mie sorelle…ognuna di loro riceve un dono".

"Io no! Non ho mai ricevuto doni. So cos'è l'anniversario, lo so perché è il giorno in cui siamo nati. Ma né io, né la mia famiglia ci siamo mai fatti doni. Questa è la prima volta".

"Allora sarai contento di averli ricevuti…anch'io avrei voluto…".

"Non…non è vero che non mi hai fatto alcun dono!" – incespicò la voce stavolta, perché André l'aveva avuta in mente da subito la questione e gli pareva allora che legarla al suo anniversario, perché in fondo era ciò che pensava, era l'unica strada, la più diretta e splendente.

"Ricordi quella faccenda della nostra altezza?" – balbettò André…

Oscar prese a osservare la ciotola ove i succosi frutti lucenti, imbastiti della chiarissima luce della luna, galleggiavano e gareggiavano contro la lucida crema gialla.

Le dita s'avvitarono ad afferrare un frutto, spinto con delicatezza un poco in basso e poi raccolto di sbieco, che quello risorse ammantato d'uno spesso strato di crema.

Era soda, davvero preparata con cura.

Eccola quella bella gara in cui si erano ritrovati spesso avversari…

Chi riusciva a divorare più dolci, crema, frutta….

"No" – negò l'altra, non se la rammentava proprio la questione – "Ma parli dei segni nella scuderia?".

"Io sono nato un anno e un terzo prima di te e dunque quando io sono nato tu ancora non c'eri".

"E allora?" – masticando la seconda mora, le guance un po' gonfie del succoso frutto – "Cosa c'entra?".

Oscar François de Jarjayes era ancora una mocciosa, ma stava imparando la differenza tra ciò che veniva fatto con sciatteria e indifferenza, proprio come le sue prime lettere vergate controvoglia e dunque davvero poco eleganti, e tutto ciò che usciva dalla volontà ferrea dettata dalla cura, dall' Amore, quella strana parola che aveva sentito pronunciare qualche volta dalle sorelle più grandi quando quelle, attorno al fuoco del camino, strillavano e fingevano di svenire ai passaggi un poco più strambi d'un qualche romanzo che narrava le sfortunate vicende di giovani amanti che si volevano bene ma che il destino s'ostinava a tenere divisi.

Hortence gliel'aveva spiegato così, una volta che lei era passata accanto e aveva veduto le sorelle più grandi disperarsi, quasi in lacrime, dinnanzi alla tragedia che ardeva nelle lettere istoriate sul libro.

Che stupide!

Chissà perché così tanto struggimento per due sciocchi che dicono di volersi bene!

La gente è proprio stupida!

L'amore è stupido!

Che vuoi capire tu!? – Hortence un po' schifata l'aveva liquidata – Stai appresso a cavalli e spade! Tu non saprai mai cos'è l'amore!

L'Amore…

Innominabile…

Eppure…

Gli occhi scorsero giù alle mani fasciate, i palmi abbandonati sulle ginocchia, André se ne accorse e subito le nascose dietro la schiena.

"Che hai fatto?" – che Oscar s'imputò e senza ordinare nulla impose all'altro solo con gli occhi di rimettere le mani in bella vista – "Hai litigato con un gatto?".

"No".

"E' per via delle more? Ti sei graffiato?".

"Sì, ma solo un poco…".

Senza pensarci…

Oscar allungò la mano, afferrò la destra di André.

La sinistra s'appoggiò a chiudere la mano del bambino tra le sue, una sorta di morbida stretta – "Ti fa male?".

Negò André.

"Allora…per fortuna ti sei fatto male solo un poco…sennò poi…".

"Ti prometto che starò più attento! Lo so che dovrò imparare a usare la spada, per allenarmi con te…non dovevo farmi male…".

"Non è per questo…sono solo contenta che tu non ti sia fatto male…" - la sinistra mollò la mano del moccioso, per correre a raccogliere una mora - "Su! Mangia!".

"Erano per te!" – si schermì André – "Io le ho già…".

"Ci scommetto!" – lo rimproverò Oscar - "E sia, però tieni. Questa è per te, le altre le mangerò io. Sarà come festeggiare assieme".

"Io…no…" - prese a balbettare André che però alla fine spalancò la bocca così che lei potesse appoggiarci il bel frutto dentro.

Un istante, i denti si chiusero, quella scappò via – "Villano! Volevi mordermi?".

"No!" – prese a masticare André, occhi sgranati all'esplosione della bacca.

"Che hai? Ti stai strozzando!?".

Negò André, la bocca piena, il respiro trattenuto. Guardò la mocciosa, in attesa che quella tenesse fede alla parola data.

Che lo fece davvero Oscar François de Jarjayes.

Da brava dama votata a diventare un soldato, si ficcò in bocca addirittura tre more succulente e giganti, anche quelle sprizzarono sugo nero.

Il succo spruzzò un poco…

Indietreggiò la bambina per evitare di sporcarsi, prese a ridere, la bocca piena, si strozzava…

Era buffo, le mani a tenersi le bacche in bocca, masticarle…

Rideva André, l'altra era davvero pazza, che maniera di comportarsi, per fortuna che alla festa non era accaduto nulla del genere sennò chissà le sue sorelle che ribrezzo…

L'avrebbero rimproverata.

Lui non l'avrebbe mai fatto.

L'aria riprese a scorrere nella gola…

Era stata una bella giornata davvero, una festa degnamente conclusa.

Il dono più bello…

Restava una sola mora.

"Mangiala tu!" – propose Oscar.

Negò di nuovo André – "Ancora una e scoppio! E' tua!".

I due indici a mò di pinzette, le mani fasciate dettavano movimenti come quelli d'una mantide che si pulisce la testa, la mora imprigionata assieme ad altra crema.

La ciotola era ormai vuota…

"Ahh…" – la schernì André – "Apri la bocca!".

"Ahh!" – spalancata, la mora ci cadde dento, gonfiando le guance, solleticando il palato, aspra, di contro alla crema dolce, di vaniglia e liquore.

Il silenzio calò, non v'era altro d'aggiungere. In fondo erano pari e l'avevano risolta con una ciotola di more e crema quasi equamente divisa a metà.

Il dono perfetto!

Oscar si rialzò, la testa ciondolò un poco alla visione della luna…

L'indice puntò verso il nero della boscaglia, trafitto a mala pena da tenui raggi di luna riflessi sul fogliame lucido.

No…

"Guarda, sono lucciole. Danzano nel buio".

"Si!" – ad André non interessavano, era certo adesso che tutto fosse perfetto - "Oscar…mademoiselle…".

"Scemo! Ti ho detto che non mi piace essere chiamata mademoiselle. Non da te! Soprattutto…".

Si alzò anche André, ci voleva poco a indispettire l'altra che adesso aveva allungato il passo per andarsene.

"Aspetta" – che stavolta fu lui a rincorrerla e a prenderle la mano.

"Il prossimo anno mi ricorderò di farti un dono" – ammise Oscar un poco triste.

"No, volevo dirti che un regalo me l'hai fatto. Si, assolutamente. L'ho avuto, anche da te".

"Ah si?" – sorrise l'altra poco convinta – "Che stupidaggine. Non ti ho fatto nulla. Non sapevo neppure che ci sarebbe stata una festa".

"Sai, il giorno del mio anniversario non è in fondo così importante, quanto il giorno del tuo".

"Che significa?".

"Me lo hai fatto davvero un regalo. Te l'ho detto…i segni che abbiamo fatto sul legno quando ci siamo conosciuti…".

"Ma ti vuoi spiegare? Sei sempre più strano!".

"Ogni anniversario da qui a venire…io saprò che ci sarai tu. Io ti aspetterò, come ho atteso che tu nascessi, anche se non sapevo che un giorno ti avrei incontrata. Io adesso posso aspettarti…".

"André Grandier, la finisci di burlarti di me?" – prese ad alterarsi l'altra voltandosi e camminando all'indietro, così che la luna s'impose e davvero, anche s'era notte, anche s'essa non aveva pregio d'esser come l'astro diurno capace d'incidere tinte nette.

L'azzurro mesto e opaco prese a brillare, come fosse giorno allora, come il sole si fosse posato sul viso, di contro allo sguardo che si rabbuiava e allora la luna sorgeva scivolando sulle guance un poco paffute e sui riccioli che invidiavano all'astro diurno sole la sua luce chiara e gialla.

"E tu…se ci sarai tu ad aspettarmi…" – soffiò un poco disperato André, che non sapeva se l'altra avrebbe compreso – "Lo farai? Mi aspetterai?".

"Aspettarti? Per così poco?" – rise Oscar, lo schianto di lacrime asciutte perdute nel tempo – "Va bene! Ti aspetterò!".

Una corsa di scatto…

La lepre scomparve nel buio…

"Anch'io ti aspetterò. Tutte le volte che vorrai".

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