«Forse dovresti farti vedere da un altro ortopedico» considera Hutch, mentre attendono il ritorno del ragazzino.
La smorfia appena comparsa sul viso di Cat gli suggerisce che la proposta non lo entusiasma in modo particolare. E le sue successive parole glielo confermano. «Se poi finisco rinchiuso in un'altra camera per le lunghe degenze, è la volta buona che do seriamente di matto» commenta tetro.
Hutch stira le labbra, scontento. «Potremmo mettere le cose in chiaro fin da subito e fargli capire che rimarresti sul posto giusto il tempo per sistemare il ginocchio.»
«Qualche volta… fa davvero male» ammette sconfortato.
«E questa è proprio una di quelle volte, giusto?»
«Già» soffia afflitto.
Scuote la testa. Sospira. «Probabilmente avremmo fatto meglio a non rimanere fuori così a lungo. Abbiamo percorso troppa strada. Non avrei dovuto permetterlo. Mi dispiace» si rammarica.
«Hutch… Siamo in due, ricordi?» prova a protestare.
«Lo siamo, sì, ma non stai bene e non posso pretendere che tu abbia le idee chiare e sappia sempre quel che è meglio fare.»
«Quindi stai confermando la mia totale inutilità» riflette dubbioso.
«Cat» ringhia contrariato. «Sai che non è quel che intendevo. Smettila di travisare volutamente le mie parole per far piacere al tuo pessimismo cronico.»
Cat deglutisce, nervoso. «Sono così stanco di… beh, di essere sempre stanco, di non riuscire a portare a termine nulla perché me ne manca l'autonomia necessaria. È così… frustrante, dannazione!»
Hutch raccoglie con cura le sue mani nelle proprie, piano accarezza con i pollici le sue nocche, le trae a sé, lentamente, e posa un bacio sul loro dorso, poi si sporge e ne posa un altro sulle sue belle labbra ancora un po' imbronciate.
«Ti amo» soffia sulla sua bocca schiusa.
Cat, un delizioso rosa imbarazzato sulle gote, sta per dire la sua, ma una lieve risatina lo fa trasalire.
Hutch si volta bruscamente e ringhia. Si rimette in piedi e sbotta un «Tu! Marmocchio impertinente» molto seccato, all'indirizzo di un Arsène estremamente divertito. A quel punto Arsène fugge tra le frasche come una lepre e Hutch gli va dietro, rincorrendolo attorno alla radura in cui è accomodato Cat che, dal canto suo, scuote la testa con desolazione ma un lieve sorriso rasserenato in volto.
Il tafferuglio ha termine con la resa per abbandono di Hutch, che si trascina senza fiato fino alla panca non occupata da Cat e vi si lascia ricadere sopra, sperando in un decesso rapido e indolore.
«Maledetto moccioso insolente» borbotta, attendendo che il proprio cuore rallenti la sua corsa forsennata.
«Dovresti evitare certi sforzi. Se poi ti viene un infarto chi ci pensa a me?» lo prende allegramente per i fondelli Cat.
«Non sei divertente. Non era sufficiente quel depravato di Maloney. Ora ci si mette pure il ragazzino sfrontato. Non ci sarà più pace!» dichiara drammatico, levando le braccia al cielo con fare teatrale.
Arsène batte le mani, felice e ammirato. «Bravo! Siete un magnifico attore.»
«Hutch è specializzato nelle parti drammatiche» concorda Cat. «In effetti avrebbe fatto strada se avesse lavorato in teatro. Qualcosa del tipo Otello… Peccato sia pallido.»
«La smettete voi due? Se avete deciso di coalizzarvi, avvisatemi. Almeno me ne vado e vi lascio soli a tramare.»
«Esagerato» protesta Arsène.
«Vero?» concorda Cat.
«Ohi! Piantatela un po'. Piuttosto, hai visto qualcuno di sospetto nel tuo andare a zonzo?»
Arsène si siede sul bordo del tavolo e si stringe nelle spalle. «Oggi non c'è molta gente. Ho sbirciato un po' in giro, ma a parte le solite governanti e tre beoni sempre nei dintorni non c'era nessuno di losco, non nei paraggi, almeno. Se sanno che siete a Paris, non hanno ancora trovato la vostra residenza, né il quartiere in cui vi spostate. Nei prossimi giorni darò un'occhiata più approfondita e avviserò gli altri.»
«Gli altri sarebbero?» indaga Hutch, sospettoso.
«I ragazzi di Paris, naturalmente. Avete presente Olivier? Come lui ce ne sono a centinaia. Molti li conosco personalmente, altri perché conoscono quelli che conosco io.»
«Chiaro» conferma Cat.
«Insomma» dubita Hutch.
«Non fare il guastafeste, sciocco bestione.»
«E chi guasta? Pensavo solo che è un po' ingarbugliato. Ma se ti ci trovi tu, per me non c'è problema.»
«Bien! Possiamo occuparci della questione dell'alloggio, ora?»
«Come no» bercia Hutch. «Il problema è semplice, la soluzione meno. Siamo a Parigi perché ci esercita un chirurgo oculista che dovrebbe operare gli occhi di Cat, così che torni a vederci.»
«Sperabilmente» aggiunge Cat.
«Ehi, sto parlando io. Smetti di imbottirci del tuo pessimismo e cuciti la bocca» protesta Hutch.
Cat leva gli occhi al cielo ma accetta comunque di lasciare la parola a Hutch, perfino mimando l'operazione di cucitura delle labbra. Ovviamente Hutch non lo permetterebbe sul serio; le sue belle labbra ne sarebbero rovinate per sempre… inaccettabile! Scuote la testa e prova a tornare sui binari della precedente discussione, scordandosi, almeno per il momento, la bocca di Cat e tutto quel che di buono è in grado di fare.
«D'accordo, dicevo, il dottore, un tizio inglese tutto ingessato e con un sorrisetto inquietante da rapinatore di banche, sta in un quartiere di Parigi con il suo studio da borghesi con la puzza sotto il naso. Uhm, Cat, com'è che si chiama quel quartiere?»
Cat, per tutta risposta, inarca un sopracciglio, in tutta evidenza con il preciso intento di far imbestialire Hutch, peraltro riuscendoci perfettamente.
«Cat, che cazzo.»
«Nh» è tutto quel che ottiene Hutch. Quando il compagno ci si mette sa essere un vero testardo.
«Per favore» chiede, in modo molto poco persuasivo.
Sospira. «Avenue de la Bourdonnais, al numero quindici. In pratica settimo arrondissement, accanto alla nuova installazione che stanno completando per l'esposizione universale che ci sarà qui da voi fra poco meno di un anno.»
Arsène lo fissa con tanto d'occhi, letteralmente esterrefatto. «Accipicchia! Questo vostro oculista deve avere clienti pieni di soldi, se può permettersi uno studio in un quartiere così caro.»
«Non ho il minimo dubbio. Ma a noi non interessa stargli appiccicati al culo. Ci serve solo qualcosa di più vicino, per non doverci sobbarcare ogni volta un viaggio di ore» spiega Hutch.
«Concordo: è sfiancante.»
«D'accordo, ho chiaro il problema. Vediamo, ci sarebbe il quindicesimo arrondissement, che si trova nella parte sud-ovest. È abbastanza recente ma non troppo lontano dal vostro dottore. L'amico architetto di un mio conoscente lamenta spesso di non riuscire a vendere alcuni degli attici dei palazzi che ha finito di costruire già da tre anni. Questo perché pretende troppo denaro per un sottotetto, per quanto ben congegnato e spazioso sia, ma non lo dite a lui, se no se la prende a male. Potrei suggerirgli di affittarne uno, magari quello in Rue Frémicourt. Se in aggiunta gli spiego per sommi capi la situazione, eh bien, non credo potrà dire di no. Qu'en dites-vous?»
Cat si stringe nelle spalle. «Non sembra una cattiva idea. Se c'è posto anche per quel rompiscatole di Maloney…»
«Oh, giusto! Non mi avete ancora spiegato chi sarebbe questo Maloney di cui parlate? Sta con voi? S'agit d'un ménage à trois?» si informa, già entusiasta della prospettiva.
Cat diventa letteralmente bordeaux. Hutch lo adocchia, perplesso, e sospira frustrato.
«Ora, sentiamo, che diavolo hai detto, mostriciattolo dalla lingua lunga?»
«Euh… Immagino niente di sensato» replica Arsène, un po' imbarazzato e un po' divertito.
«Bah! Questi ragazzini di oggi, sempre a parlare a vanvera. Comunque, Maloney è un altro medico, generico, che ci ha seguiti dall'America.»
«Anche lui?» esclama Arsène, incredulo.
«No, lui era proprio in nostra compagnia. È una storia lunga, e anche piuttosto complicata. Magari un giorno troverò il modo meno imbarazzante per parlarne. Ora ti basti sapere che è anche lui della partita e che non ho intenzione di avercelo tra le palle mentre cerco di riposare.»
«O fare altro» aggiunge Hutch.
«Sì, anche quello» conferma Cat.
«Bon! Tre uomini, donc, uno dei quali è meglio stia dall'altra parte dell'appartamento.»
«Assolutamente sì» concorda Hutch.
«Très bien, je vais faire le nécessaire. Come posso mettermi in contatto, una volta trovato il vostro appartamento?»
«Hutch, ti dispiace…»
«Un po' sì, in effetti.»
«Hutch» soffia, roteando gli occhi.
«Sì, sì, ho capito» borbotta un po' contrariato. Si fruga nelle tasche della giacca, recupera il portafogli e ne estrae un biglietto da visita. «Questo è l'hotel in cui stiamo ora» spiega, porgendogli il biglietto. Quando Arsène allunga una mano per afferrarlo, Hutch lo ritira appena e lo fissa negli occhi. «Lo sai solo tu. Se lo verrà a sapere qualcun altro, frugherò questa stupida città e le tue natiche saranno molto dispiaciute della cosa. Tutto chiaro?»
I denti di Arsène scintillano in un enorme sorriso soddisfatto. «Chiarissimo!» Le sue dita si muovono rapide e si impadroniscono del biglietto prima ancora che Hutch riesca a scorgere il movimento. «Merci, messieurs. À bientôt!» esclama allegro, prima di volare via balzellando lungo il viale alberato come uno scoiattolo fra i rami.
