Ha perso ormai la nozione dello scorrere del tempo, si limita a trattenere contro il petto Cat, una guancia appoggiata alla sua spalla, e aspettare. Aspettare sta diventando un'abitudine collaudata, se non fosse che ultimamente l'attesa si concentra sulla speranza di un miglioramento che non sempre giunge in suo soccorso. Di tanto in tanto indirizza un'occhiata apprensiva al suo gattaccio, ritrovandolo immancabilmente intento a controllare le condizioni del ragazzino. E nulla cambia, intanto, e quella sensazione di malessere che gli stringe lo stomaco non accenna ad allentare la presa. Vorrebbe proporre a Cat di riposare, ma non ha cuore di farlo, anche perché sa che non gli darebbe retta; nel migliore dei casi si limiterebbe a ignorarlo, non vuole neppure prendere in considerazione quel che gli toccherebbe nel caso peggiore.
È ancora impegnato a rimuginare sulle sue possibilità, le palpebre pesanti che minacciano di richiudersi in ogni momento, quando Cat balza letteralmente fuori dalla sua stretta, lasciandolo scombussolato e intontito. Gli occorrono lunghi secondi per rimettere a fuoco la situazione. Nel momento in cui perviene a farlo si rende conto che il suo Cat non si è allontanato di molto, ha soltanto raggiunto l'orlo del giaciglio che ospita Arsène e vi si è accucciato accanto. Aggrotta la fronte, perplesso, e infine la vede, probabilmente la stessa cosa che ha attirato l'attenzione di Cat: il giovanotto si è spostato. D'accordo, non proprio spostato, piuttosto si è debolmente divincolato dalle coperte.
Hutch si rimette in piedi e, con cautela, si fa più accosto, senza tuttavia raggiungere né Arsène né Cat. Rimane in attesa di capire se può fare qualcosa di utile.
«Avvisa Doc» è infatti l'esortazione che gli arriva poco dopo da Cat.
Sì, bene, quello lo può fare. Maloney sonnecchia poco distante. In tre falcate scarse gli è sopra e lo scuote per una spalla, ridestandolo bruscamente dal suo cattivo riposo.
«Cosa?» domanda la sua voce un po' arrochita e rasposa.
«Il ragazzino dà segni di vita» lo avvisa spiccio.
Poi si leva dalla traiettoria e indica con un cenno del capo il letto lì vicino.
Maloney salta su come una molla e si precipita a controllare di persona in che condizioni si trovano. Cat, dal canto suo, pazienta qualche lunghissimo minuto, poi ne ha abbastanza e decide di voler ottenere qualche chiarimento.
«Allora? Come sta?»
«Direi meglio. Non certo in buona salute, ma i suoi valori stanno tornando nella norma.»
«Vuol dire che cosa? Si riprenderà?» insiste Cat.
«Ci sono ottime probabilità, sì. Ne attenderei tuttavia il risveglio, per averne la certezza e valutare meglio la situazione.»
«Come siete criptico» protesta Cat.
Hutch sgrana gli occhi e sbuffa piano, attirandosi lo sguardo del compagno, un'occhiata che chiaramente dice: "Che cosa?". «Il bue che dice cornuto all'asino» lo apostrofa con un sogghigno.
Cat trae un brusco respiro indignato e solleva il mento con sdegno, aumentando l'ilarità del compagno. Arsène non ha ancora ripreso i sensi, ma già si respira aria più leggera nella camera. La speranza è una gran bella cosa, in fin dei conti, aiuta a rendere tutto più sopportabile.
A lungo rimangono ad assistere il dottore che si prende cura del suo giovane paziente, e poi a osservare quello stesso paziente che, in effetti, ha un aspetto meno da mondo dei morti e più umano. Ma in un dato momento di quella contemplazione Hutch sembra stabilire che la loro attività non è utile né ad Arsène né a Maloney. Qualche istante dopo Cat squittisce sorpreso, ritrovandosi inaspettatamente a penzolare dalla spalla di Hutch, di nuovo!
«Dannazione a te, Hutch! Rimettimi giù» protesta, cercando di non fare troppo chiasso per evitare di svegliare l'amico allettato.
«Tra poco» borbotta Hutch, sembrando deciso ad allontanarlo dalla camera di Doc e, attualmente, di Arsène.
«Ma dove diamine mi stai portando?» si lamenta, tentando (come sempre inutilmente) di districarsi dalla stretta del compagno.
«Nella nostra camera, naturalmente. Doc non ha bisogno di noi, e il piccoletto sta riposando. È il caso che andiamo a riposarci anche noi» spiega, con un'inedita dose di pazienza.
«Mh» considera pensieroso.
Non è sicuro di apprezzare quella presa di posizione da parte di Hutch. Più che altro si sente contrariato per non essere stato preventivamente interpellato, come se il suo parere non contasse nulla. A parte questo, deve suo malgrado convenire con Hutch che un poco di riposo anche per loro due non è un'idea così pessima, anzi.
Sospira, mentre varcano la soglia della loro camera da letto. «Va bene. Potevi almeno avvisare» mugola ancora abbastanza seccato. «Non mi piace essere trattato da sacco di patate senza opinioni» rimarca caustico.
Piano, e il più gentilmente possibile, Hutch lo posa a terra accanto al loro letto e incrocia il suo sguardo contrariato. «Lo so. E mi dispiace di averti fatto di nuovo incazzare. Volevo solo evitare che cercassi di farmi cambiare idea e…» Arrossisce, rendendosi conto di ciò che ha appena detto e delle probabili conseguenze alla sua pessima abitudine di parlare prima di aver accuratamente riflettuto. «Ehm…»
Cat lo sta fissando con uno sguardo affatto rassicurante. «Quindi è così. Mi hai appena confermato che, per quel che ti riguarda, il mio parere non conta nulla» sibila, visibilmente offeso.
«N-no… Io…» balbetta, dopo essere impallidito.
«Fantastico. Grazie tante!» sbotta, intenzionato a fare dietro front e tornarsene fra gente civile che, sperabilmente, prenderà in considerazione almeno l'idea di starlo a sentire.
«No! Aspetta» si allarma definitivamente, frapponendosi con coraggio (o incoscienza) fra la porta e il suo ragazzo imbestialito.
«Levati» ingiunge asciutto.
«Cat, Cat, ti prego. Non intendevo, te lo giuro! Ho detto una sciocchezza. Non è quel che penso, lo sai. Sai che tengo in gran considerazione il tuo parere» prova a spiegarsi, abbastanza disperato.
«Sì? Beh, non mi pare ne fossi granché intenzionato, fino a poco fa» fa notare con acidità.
«È stato un errore. Ho parlato senza pensare, come succede spesso. Ma, Cat, ero solo preoccupato per te, non avevo nessuna intenzione di insultarti, né di sminuirti. Tentavo solo di… proteggerti» pigola, mortificato.
Cat assottiglia le labbra e socchiude gli occhi, sembrando intento a riflettere. «Da me. Di nuovo. Supponi che, in determinati contesti, io diventi il mio peggior pericolo» ragiona cupo.
Hutch sbianca di nuovo. «Io… Ecco, non l'avrei messa proprio in questo modo, ma… In effetti, a volte puoi diventarlo» ammette titubante.
«Capisco» replica asciutto.
«Cat…» soffia, angosciato dall'espressione offuscata del compagno.
Annuisce, sembrando essere giunto a una conclusione. «Questo spiega molte cose. Alla fine, non fai altro che preoccuparti per me perché sei convinto che finirò con l'auto-distruggermi in un modo o nell'altro.»
«C-cosa…» affanna, sgranando gli occhi, costernato.
I suoi occhi azzurri lo fissano duramente, senza quasi batter ciglio. «C'è qualcosa di vero in tutte le esortazioni e belle parole che mi hai propinato negli ultimi mesi?»
