Hutch è abbastanza atterrito dall'idea di saperne di più al riguardo. Cat e Arsène, al contrario, non hanno gli stessi scrupoli di coscienza. Difatti il primo rimane impassibile ad ascoltare, mentre il secondo sollecita una più dettagliata spiegazione.

Pearce rimugina fra sé, spostando lo sguardo ora su Cat, ora sul giovane Lupin. Infine sospira angustiato ma si risolve comunque ad accontentare i due ragazzi. «Si tratta di una storia un po' più complicata di così; una vecchia storia che ha inizio durante una primavera di… Oh, parecchi anni addietro, ormai quasi vent'anni fa. Gesù, sono più anziano di quanto mi piaccia pensare» prova, impacciato, a scherzare. Stiracchia le labbra in un mesto sorriso che, questa volta, non raggiunge i suoi occhi. «Ero in tirocinio presso lo studio di un oculista di Liverpool, allora. Aprile… sì, doveva essere aprile.» Schiude le labbra, tituba, il suo sguardo ora è perso in qualche pensiero lontano, un ricordo che sfoca e ingrigisce nelle nebbie del tempo. «L'ho visto in un pub, una sera dopo il lavoro, mentre cercavo di rilassarmi bevendo una birra. Invece lui cercava indicazioni su… non ricordo nemmeno più cosa fosse esattamente; un edificio, credo. Non ha più importanza. Aveva questo buffo accento francese… Euh, senza offesa, naturalmente» si affretta a mettere le mani avanti, rivolto ad Arsène.

Il giovane Lupin si limita a fare spallucce e sfoggiare uno dei suoi sorrisetti enigmatici. «Nessuna offesa. D'altronde, è lo stesso pensiero che ho io, ogni volta che ascolto un inglese parlare. Il modo bizzarro in cui pronunciate le esse, torcendo impossibilmente la lingua, o la strana cantilena che fa il vostro palato nel modulare determinate parole. Ci ho provato a riprodurla, ma temo di aver ancora bisogno di molto allenamento» scherza.

Pearce lo fissa sbalordito, poi soffia una risata a metà strada fra l'indispettito e il divertito. Sfarfalla le ciglia, scuote la testa e prova a riprendere il filo del proprio discorso. «Dicevo… Oh, giusto: si era rivolto agli astanti, spiegando che fino a quel momento non era riuscito a farsi dare indicazioni precise, nonostante avesse ormai già visitato almeno tre altri locali, prima di quello in cui mi ero rifugiato io. Ho suggerito che, forse, avrebbe potuto trovare migliore aiuto in luoghi in cui non venissero serviti al banco superalcolici.»

Cat e Arsène sghignazzano, immaginandosi la scena senza problemi. Hutch scuote la testa, esasperato. Maloney finge con perizia di studiarsi le scarpe, tentando in ogni maniera di non attirare su di sé l'attenzione degli altri presenti.

«Mi ha sorriso. Penso di averlo amato già da quel preciso momento, proprio per quel suo sorriso.»

«Vi posso ben comprendere» concorda Hutch, indugiando un lungo momento sulle labbra del compagno.

Pearce lo osserva, quasi interdetto, poi sposta lo sguardo sul ragazzo al suo fianco, trovandolo leggermente imbarazzato e con il viso un poco più colorito del normale, in tutta evidenza a disagio per l'attenzione non gradita. Annuisce e trae un profondo respiro.

«Per farla breve ed evitare di annoiarvi oltre, lui si chiamava Armand Dussac, era originario della Bretagna e aveva ventitré anni, allora, uno in meno del sottoscritto. Mandato in Inghilterra a scopo di studio, è stato in seguito richiamato in patria per poter seguire e portare avanti gli affari della famiglia nel momento in cui il padre era stato obbligato a ritirarsi a causa di problemi di salute. Solo che, nel frattempo, avevamo iniziato una relazione che sembrava piuttosto promettente, e quando è venuto da me per dirmi che doveva far ritorno in Francia…» Si stringe nelle spalle, sembrando imbarazzato. «Non avevo niente né nessuno per cui rimanere, non davvero, così non ci ho pensato due volte, ho lasciato tutto quanto mi stavo costruendo in quegli anni e sono partito con lui. Ho aperto un mio proprio studio, qui in Francia (più modesto di quello in cui siete stato voi, naturalmente). Posso affermare che i due anni seguenti sono stati i migliori di tutta la mia vita» dichiara, con un sorriso un po' triste sulle labbra. «Poi è arrivata la guerra, e Armand, che a suo tempo aveva frequentato il corso allievi ufficiali della marina militare in Bretagna, è stato richiamato per il pattugliamento delle coste. Era il 25 luglio del 1870. Un lunedì, lo ricordo tuttora con chiarezza.» Chiude gli occhi. Respira piano. «Dopo quel giorno non l'ho mai più rivisto. È morto il 31 agosto. Faceva parte della division bleue, durante la battaglia di Bazeilles. In due soli giorni sono morte più di seimila persone.» Un violento tremito lo scuote. «Due giorni» soffia atterrito. «Sono rimasto a Parigi, da allora. Non ho mai veramente trovato la forza per… fare ritorno in Inghilterra. A che scopo, in fondo? Non avrebbe comunque potuto offrirmi ciò di cui avevo bisogno, ciò che avevo ormai perduto.»

Un lungo, pesante silenzio segue le sue parole.

«Sarà meglio che vada, ora. Ho già dato fin troppo disturbo» mormora, rimettendosi in piedi con movimenti un poco incerti. Si sofferma qualche momento ancora su Cat, e su Hutch. «Desideravo solo sapeste che non ho alcun interesse nel crearvi noie. Semplicemente capita a volte, quando vi osservo, che i miei ricordi tornino a tanti anni fa. È una sensazione strana: amarezza e dolce malinconia insieme.» Ingoia aria e nervosismo. Espira disincanto. «Vogliate scusarmi» soffia, girando sui tacchi e lasciando la camera, prima, e infine l'attico.

I giorni successivi trascorrono in una nuova routine fatta di visite ricorrenti, chiacchierate fitte condite da allegre risate, serate di cene a quattro che si prolungano in piccoli, innocenti dibattiti, e brevi notti di buio silenzio, avvinghiati il più strettamente possibile l'uno all'altro, con la segreta paura che tutto possa svanire in pochi istanti senza lasciare loro null'altro se non la vuota amarezza di una perdita irreparabile.