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59. Non di nuovo
"Ti prego … non puoi cacciarmi … non di nuovo …"
Tutti fissarono Charles.
"Non di nuovo?" chiese Erik "Charles, puoi spiegare a cosa ti stai riferendo?"
Charles deglutì a vuoto, a disagio, aprì la bocca per rispondere ma fu preceduto da Hank.
"Ora non ha importanza" disse freddo "Vattene senza fare ulteriori storie.
Charles scosse la testa e si asciugò le lacrime.
"Non posso accettarlo."
"Devi, Charles." disse Raven glaciale "Preferiresti restare quando tutti noi non ti vogliamo?"
"No …" mormorò "C'è qualcosa che non torna … non potete parlarmi così! Non … non è possibile!"
"Non è possibile che finalmente ci siamo ribellati a te, Charles?" chiese Erik "Forse dopotutto la mia presenza qui ha portato i suoi frutti, finalmente i tuoi cari studenti si sono resi conto del fatto che sei solo un manipolatore che li ha tenuti sotto controllo tutto questo tempo."
Charles lo guardò incredulo, incapace di accettare ciò che aveva appena sentito, il significato di quelle parole lo fece barcollare, aggrottò le sopracciglia, adirato.
"Ti sei completamente fottuto il cervello?" gridò con rabbia e con una volgarità che non gli apparteneva ma che era sintomo della sua tensione interiore "Quando mai li avrei controllati? Non l'ho mai fatto e mai lo farei! Lo sai!"
"Sei un telepate, Charles" rispose Erik "Sei un manipolatore per natura."
Charles non rispose, la risposta di Erik lo aveva completamente annientato. Una parte di lui sentiva che c'era qualcosa che non quadrava, tentò di concentrarsi per entrare nelle loro menti ma in quel momento Hank lo raggiunse e lo afferrò per il collo stringendo abbastanza da fargli male ma non da ucciderlo.
"Non creare altri problemi" disse quasi ringhiando "Vattene o sarò costretto a romperti la colonna vertebrale. Di nuovo." aggiunse con un ghigno, quasi per prenderlo in giro per la supplica di poco prima.
"Fallo!" gridò Charles sfidandolo con lo sguardo, le labbra increspate in un'espressione di disgusto "Provaci se ne hai il coraggio! Avete detto di aver paura di me, giusto? Vedrete cosa vorrà dire avermi davvero contro!"
Hank non rispose, tutto avvenne in pochissimi istanti e Charles non ebbe nemmeno il tempo di reagire perché lui lo afferrò con entrambe le braccia, alzò un ginocchio dove posò la schiena di Charles il quale, nonostante gli sforzi, non riuscì a liberarsi dalla sua forza bruta.
Il salotto era immerso nel silenzio, nessuno sembrava intenzionato ad aiutarlo fermando quella follia, Charles trattenne il fiato. Il crack fu sonoro, un dolore lancinante, Charles urlò con tutto il fiato che aveva in gola ma Hank non ebbe pietà, sempre tenendolo tra le braccia si avviò verso la porta d'ingresso mentre lui si contorceva per il dolore e nel vano tentativo di fuggire a quella presa ferrea. Una volta lì, lo scaraventò lontano, osservò il suo corpo scivolare rapidamente lungo la ghiaia, prese il borsone che Raven gli porgeva e glielo lanciò in modo che atterrasse poco lontano da lui quindi, senza attendere nemmeno che lui si alzasse, gli voltò le spalle ed entrò in casa.
Charles era steso a terra, di fianco, la pelle del viso bruciava perché cadendo aveva sfregato violentemente contro la ghiaia del cortile. Il dolore alla schiena era anche più devastante ma, come durante la battaglia, fu sostituito in pochi istanti da quella meravigliosa sensazione benefica e rigenerante di essere immersi in acqua calda, percepì le ferite sanarsi e la frattura ripararsi; il dolore che provava al petto, però, non se ne andò, il cuore spezzato bruciava come una ferita fisica, come se gli avessero conficcato una lancia rovente tra le costole. Ancora senza fiato per la disperazione, scoppiò a piangere, un pianto esplosivo che lo scosse da capo a piedi. Lentamente si alzò, le sue spalle ancora sussultavano per i singhiozzi ma lui non restò ad attendere che la crisi passasse, sebbene avesse intuito che ci fosse qualcosa di fuori posto nel loro comportamento il suo orgoglio gli impedì di indagare, si sentiva debole e instabile, non riusciva a usare i suoi poteri in quel momento, se lo avesse fatto per indagare cosa ci fosse nelle loro menti li avrebbe feriti. Abbassò lo sguardo, le lacrime iniziarono a cadere a terra come pioggia, bagnando di piccole goccioline i sassi. Charles si passò una mano sugli occhi e il suo sguardo, che fino a quel momento era offuscato dal pianto e dall'angoscia, tornò lucido: vide il borsone a terra e lo afferrò, alzò gli occhi arrossati verso quella che non era più casa sua, forse stavolta per sempre, e si allontanò.
Ogni passo sembrava pesantissimo, man mano che procedeva gli tornavano alla mente le parole di Hank, di Raven, Ororo, Erik, il silenzio di Moira … e altro, altre ombre provenienti dal passato, ora che sembrava essersi liberato dalle emozioni imbottigliate nel suo animo in tutta la vita queste tornavano a colpirlo come un boomerang.
Arrancò lungo la strada e finalmente raggiunse la strada principale, poco più in là vide le luci di un piccolo pub e la fermata dell'autobus: per un istante valutò l'idea di aspettare che passasse poi si guardò e vide che era ancora sporco di sangue, sicuramente avrebbe spaventato qualcuno, inoltre avrebbe dovuto aspettare il mattino successivo. Sospirando andò a cercare un luogo riparato, si sedette e tirò fuori il cellulare dalla borsa.
"Buongiorno … sì, avrei bisogno di un taxi … Westchester … davanti al pub Silver Owl … ah, lo conosce? Bene … un'ora e mezza? Va bene, l'aspetto qui."
Chiuse la chiamata con un sospiro, gli pesava dover aspettare così vicino alla scuola, non aveva nemmeno avuto il tempo di salutare David, si chiese dove fosse e cosa pensasse di tutto quello, si chiese se si sarebbe sentito tradito da lui e quel pensiero fece scorrere nuove lacrime.
Attese, le stelle brillavano alte nel cielo sereno, ma il suo era in tempesta, chiuse gli occhi e lasciò che il vento lo scuotesse e la pioggia lo travolgesse, non cercò di imbottigliare quelle emozioni ma le osservò senza farsi coinvolgere, senza destinare la sua rabbia a nessuno, nemmeno a coloro che lo avevano tradito. Si voltò, il villaggio che dava sul porto era distrutto, le case erano crollate collassando su se stesse, non si avvertiva nient'altro che silenzio e desolazione e anche il faro, che aveva da sempre illuminato la sua mente, era spento e abbandonato. Da fuori non si poteva notare nulla ma lui, dentro la sua testa, gridò, un urlo disperato, straziante come un lupo ferito e abbandonato dal suo branco.
Era trascorsa più di un'ora, quasi un'ora e mezza, quando un'auto parcheggiò accanto a lui, era solo perciò il tassista doveva aver intuito di dover caricare proprio lui. Lentamente si alzò, prese il borsone e salì a bordo.
"Buonasera" disse una voce roca "Dove la porto?"
Charles era troppo distratto per rispondere, in effetti non ci aveva ancora pensato. Prese il portafogli e guardò dentro, avrebbe avuto abbastanza soldi per pagare il taxi, per il volo si sarebbe arrangiato in qualche modo.
"Oh … all'aeroporto, JFK."
"Subito!" disse e si alzò per scendere dall'auto, aprì la portiera dalla sua parte e gli porse la mano "Posso metterle il bagaglio dietro? Sarà un lungo viaggio."
"No, non è necessario" disse Charles "Non …"
Charles era distratto, già stava pensando a come avrebbe potuto prendere un volo per l'Europa se non aveva nemmeno il denaro sufficiente, nella sua mente stava già prendendo forma l'idea di utilizzare i suoi poteri per eludere il problema, quando con la coda dell'occhio vide il viso dell'uomo al suo fianco; si voltò lentamente e lo guardò bene in faccia, impallidì per la sorpresa riconoscendo il suo viso, chiedendosi perché lui si trovasse lì e cosa volesse. Era lui, non c'era dubbio, ma la sua espressione era diversa, fredda, quasi assente, un brivido gli corse lungo la schiena ma non fece in tempo a reagire in nessun modo, lui lo colpì con una siringa e gli iniettò quello che doveva essere una specie di sedativo perché Charles avvertì immediatamente un senso di alienazione e, mentre la sua vista si annebbiava e la sua testa si posava inerme sul sedile dell'auto, si accorse a malapena quando lui gli chiuse un collare inibitore attorno al collo.
Il tassista sogghignò.
"Sarà un lungo viaggio …"
Logan si svegliò qualche ora più tardi, era ancora leggermente indolenzito, ma probabilmente era una sensazione dovuta più allo shock emotivo che al vero dolore fisico. Si alzò lentamente e si mise a sedere, nel lettino accanto a lui erano visibili delle tracce di sangue ma non se ne curò, probabilmente chi stava disteso lì si era già ripreso.
Con passi rapidi e decisi uscì dall'infermeria e arrivò nel salone principale dove trovò Hank, seduto in poltrona e intento a leggere.
"Hank" disse "Dove cazzo è Erik?"
Hank alzò lo sguardo, sembrava calmo, quasi assente, nel suo sguardo non c'erano le emozioni, positive o negative, che avrebbero dovuto essere presenti in chi aveva appena finito di combattere.
"Logan!" esclamò "Ti sei svegliato! Stai bene, vero? A quanto pare Erik ti ha estratto tutto l'adamantio dal corpo, ma è un bene, Moira ci ha rivelato che in un'altra linea temporale saresti morto proprio a causa dell'avvelenamento da ad-"
"NON ME NE FREGA UN CAZZO!" gridò Logan "LO VOGLIO QUI E LO VOGLIO ORA! ADESSO CHE NON HO PIÙ METALLO NEL MIO CORPO POTRÒ SQUARTARLO COME SI MERITA!"
La voce di Logan aveva attirato lì Ororo, Erik, Raven e Moira, che stavano per andare a dormire; non appena Logan vide Magneto gli andò subito incontro, estrasse li artigli che ormai erano ridotti al solo osso e glieli puntò alla gola.
"Ti assicuro che fanno male anche così!" disse sussurrando minaccioso "Ora tu morirai."
Logan stava per squarciare la gola di Erik ma Hank lo prese alle spalle per fermarlo. La sua voce era priva di qualsiasi emozione.
"No." gridò "Fermati, non capisci."
"CAPISCO CHE QUESTO È UNO SPORCO TRADITORE! SAPETE COSA STAVA FACENDO? LO SAPETE? EH?"
Ororo afferrò a sua volta un braccio di Logan per tentare di fermarlo: da quando aveva parlato con Charles si era finalmente decisa a dichiarare il suo amore per lui e da quel giorno erano diventati a tutti gli effetti una coppia, nel suo sguardo tuttavia non si poteva percepire nessuna emozione, non sembrava preoccupata per la sua rabbia.
"Calmati, ti prego!" disse "Calmati!"
Logan si fermò solo perché era stata Ororo a chiederglielo ma continuò a guardare in cagnesco Erik, fino a quando un suono li paralizzò tutti: qualcuno stava cantando e con notevole talento. Un istante dopo entrò Lester, aveva le guance rosse, teneva in mano una bottiglia di vino e camminava barcollando, evidentemente ubriaco.
Never saw the sun shining so bright
Never saw things going so right
Noticing the days hurrying by
When you're in love, my how they fly
Oh blue skies
Smiling at me
Nothing but blue skies
Do I see
Bluebirds singing a song
Nothing but bluebirds
All day long
Logan lo fissò a lungo, interdetto, era piuttosto bravo e la sua canzone aveva in qualche modo alleviato la tensione che aveva appesantito l'atmosfera, ma la sua presenza era stonata, qualcosa non andava.
"Scusate" disse ridacchiando "Sono ubriaco. Ecco. Hem … cosa dovevo dire? Ah, sì"
Hank gli andò vicino.
"Forse è meglio che te ne torni a casa, Lester" disse "Non sono cose che ti riguardano."
"No, voglio stare qui, devo dire una cosa. Ah … avrei bisogno del vostro … come si dice? Auto? Aiuto? Sì, aiuto. Ecco. Hem …"
"Veloce " disse Logan aggredendolo e puntando lo sguardo su Erik "O farò fuori Signor Calamita qui."
"Credo" disse Lester alzando il dito "Che Jean e David abbiano più bisogno di aiuto."
Hank ringhiò e gli diede una sberla in pieno viso ma Lester si trasformò immediatamente in fumo, vanificando lo sforzo. Logan colpì a sua volta Hank che volò a terra.
"Volete dirmi cosa cazzo sta succedendo?" gridò.
"Non puoi ferirmi così" disse rivolto a Hank, poi sorrise a Logan "Non sento niente. Niente. Solo l'alcool. Ma torniamo a noi. Stavo festeggiando la sconfitta delle Sentinelle e ho finito il vino così ho pensato: Charles non mi aveva detto che sotto la casetta in giardino c'era una cantina?"
Logan strinse i pugni pensando a Charles ma non lo interruppe, l'ultima cosa che sapeva di lui era che era morto e quel pensiero lo ferì profondamente.
"Ho pensato di andare a vedere e così ho visto che la porta era aperta, non del tutto eh, solo una fessura, ma era più che sufficiente per me per entrare, così mi sono … puf! … trasformato in fumo e sono entrato."
"Sta delirando!" disse Hank "Non ascoltatelo! Non vedete che è ubriaco?"
Lester scosse la testa.
"Gno, nnnnno, nono" disse biascicando le parole "Cioè, sì, sono ubriaco, ma non sto delirando. Ero appena entrato quando ho sentito qualcuno gridare, erano Jean e David, pensavano che il sotterraneo avesse preso fuoco … invece ero solo io!"
Lester scoppiò a ridere come dopo aver sentito una barzelletta.
"Comunque" disse, tornando rapidamente serio "Erano prigionieri. C'erano un po' di cibo e acqua ma loro avevano quei collari, quelli che eliminano i poteri … Credo che qualcuno li abbia messi lì, non so chi, non me lo hanno detto, gli ho promesso che li avrei aiutati ad uscire, ma io non posso, c'era la combinazione sulla porta."
Erik fece un passo avanti.
"Li abbiamo messi noi lì" disse.
Logan lo guardò con gli occhi spalancati per lo stupore.
"COSA CAZZO …" si avvicinò ancora una volta a lui, gli artigli erano ancora fuori, glieli puntò nuovamente alla gola.
"Non so cosa cazzo sta succedendo qui ma dovrete spiegare tutto. Per il momento, se li avete messi voi lì dentro ora li farete anche uscire. Adesso."
Erik sorrise, lanciò un'occhiata d'intesa prima con Hank e poi con Moira, Raven e Ororo, Logan li vide annuire.
"Molto bene, ormai non è più necessario tenerli prigionieri. Ritrai pure i tuoi artigli, Wolverine, tra poco Jean e David saranno liberi."
Lester alzò la bottiglia come per fare un brindisi e bevve a canna un lungo sorso di vino.
