3. Carboni ardenti
Non ricordo molto di quello che è accaduto dopo. È stato così confuso … Mycroft è arrivato e mi ha abbracciato. Non piangeva. Non è mai stato debole, lui.
Mi sosteneva con le sue braccia così forti. Le braccia che avrei voluto avere anch'io, per potermi sostenere da solo. Mi ha portato a casa. John ancora non c'era così è rimasto con me finché non è tornata a casa almeno la signora Hudson.
Anche lei mi è rimasta accanto finché non è tornato John. Lui ancora non sa nulla.
Adesso è qui, davanti a me. Mi guarda. Io ho lo sguardo puntato verso di lui ma non lo vedo. Nessuno gli ha detto niente. Dovrò farlo io. Ma sono ancora sotto Shock. Non riesco a formulare frasi di senso compiuto. Il mio pensiero corre veloce, come al solito, ma il corpo si rifiuta di obbedirmi.
Sono rimasto in questo stato tutto il giorno. Né Mycroft ne la signora Hudson sono riusciti a risvegliarmi.
Con un immane sforzo di volontà, torno sulla terra. È una cosa che voglio fare. Mi impongo di farlo.
"Sherlock" mi sussurra John "Cos'è successo? La signora Hudson mi è sembrata così preoccupata …"
Lo guardo e ora lo vedo. Anche lui è in pensiero per me. Caro John! Lo faccio arrabbiare eppure è sempre presente per me!
"Stamattina" comincio a fatica "Stamattina sono andato ad esaminare un cadavere"
"Niente di strano, allora" dice lui alzandosi dalla poltrona su cui sedeva per andare in cucina. Sento che sta trafficando con il bollitore per fare un tè.
"Era mio padre" dico semplicemente. Come dovrei dirlo? Non c'è altro modo. Sento il rumore di una tazza che si rompe. Guardo verso la cucina e vedo John, irrigidito, con la mano aperta. Si volta verso di me. Mi guarda. Mi studia. Non sa cosa dirmi. Vedo il panico nei suoi occhi.
"Lascia stare" dico "Non serve che dici nulla"
"Lo hanno ammazzato?" mi domanda lui, cercando di farmi le domande che mi porrebbe se si trattasse di un cadavere qualsiasi. Purtroppo non è così.
"Dagli indizi che ho potuto rilevare sul luogo deve esserci stata una lite" rispondo cercando di suonare professionale "Ma sono quasi certo che mio padre volesse uccidere chi invece ha ucciso lui"
"Come mai?" mi chiede. Già. Come mai? Chi avrebbe voluto uccidere mio padre? Con chi ce l'aveva?
"Non lo so".
Provo ad alzarmi. Non ci riesco. Mi sento debole. Frustrato. Stanco. Ho voglia di piangere. Ho voglia di dormire. Ho voglia di stare solo. Ho bisogno della cocaina. Non posso iniettarmela ora, qui, davanti a John. Mi disprezzerebbe. No, peggio. Mi impedirebbe di farlo.
Cerco di alzarmi ma le braccia si rifiutano di sostenere il peso del mio corpo. Ricado bruscamente sulla poltrona. John subito viene in mio soccorso. Me l'aspettavo.
"Ti aiuto io" mi dice prendendomi da sotto le ascelle "Hai bisogno di dormire" decide.
Si, lo decide. Quando usa quel tono non ci sono santi. Devo dormire o, per lo meno, fare finta. Mi porta a letto. Normalmente mi sarei disteso ad occhi aperti, continuando a pensare. Oggi no. Non ne ho la forza. Voglio solo dormire.
La cocaina è sempre lì, nella mia cassaforte, al di fuori della mia portata. Mi chiedo se sarei in grado di iniettarmela, in queste condizioni.
Mi copre ed esce dalla stanza, non prima di fermarsi un paio di minuti per osservarmi. Cosa prova nei miei confronti? Pietà?
Chiudo gli occhi. Non vorrei dormire ma ne ho bisogno. Eppure ho paura. Paura di rivivere quell'incubo.
Stavolta, però, proverò a seguire il consiglio di quella psicologa. Non che mi fidi di lei, sia chiaro. Sarà un esperimento. Spero che non arrivi. Spero di dormire otto ore filate e risvegliarmi fresco, domani mattina.
Sarà Mycroft ad occuparsi del funerale. Io dovrò solo … non riesco più a pensare a nulla. Una nube grigia mi avvolge. Sento che sto per svenire. Lo avverto chiaramente. Non è puro abbandono al sonno. È qualcosa di peggio. Cado velocemente nell'oblio.
Sono di nuovo in quella culla. La musica, sopra di me, continua. Gli uccellini di plastica girano e mi fanno divertire. Come sono carini! Magari questa volta riuscirò ad addormentarmi al suono di questo dolce pianoforte? Ci provo. Chiudo gli occhi e ci provo. Inutile.
Le grida dei due si fanno presto sentire.
"Come hai potuto!" grida lui "Puttana!"
"Ti prego" lo supplica lei "Ti prego perdonami!"
"Ormai è troppo tardi!"
"No, ti prego, no! Pensa a tuo figlio!"
"Mio figlio? Come puoi dire una cosa del genere?"
"Ti prego! Ti prego!"
Così partono le botte. Le sento. La donna non riesce più a parlare. Piange, sotto quelle percosse.
Allora, con uno sforzo di volontà, mi alzo. La culla scompare.
Cammino. Riesco a camminare. Non sono più un neonato. Quanti ani avrò? Sei anni a giudicare dalla mia statura. Avanzo verso la porta. La apro e sono fuori, nel corridoio. Comincio a correre verso le urla ma queste, all'improvviso, smettono. Mi fermo in mezzo alla stanza, disorientato.
Cosa succede? Cerco di tornare indietro, ma una porta si apre, di fronte a me. Non l'avevo notata.
Ne esce un uomo. Lo riconosco. Provo affetto verso di lui. Voglio andare ad abbracciarlo.
"Papà!" grido felice. Gli corro incontro con le braccia aperte. Lui nemmeno mi guarda. Mi passa accanto senza accorgersi della mia presenza. Soffro per questo.
"Papà! Guardami! Sono qui! Abbracciami! Prendimi in braccio!"
Lui non mi ascolta. Perché lo sto supplicando? Gli corro dietro ma lui va troppo veloce. Non ci riesco. Cado.
Mi sveglio.
Sono a letto. Mi libero a fatica delle lenzuola che nel sonno agitato si sono avvolte attorno al mio corpo. Mi sento una mummia.
"John?" lo chiamo. Sarà in casa? Ti prego, John! Rispondi! "JOHN!"
Un fascio di luce entra nella mia stanza. John ha aperto la porta e mi osserva.
"Tutto bene, Sherlock?"
Che domanda idiota! Come può andare tutto bene! Devo avere una faccia spaventosa perché subito mi si avvicina e mi abbraccia.
"Va tutto bene, Sherlock. Sono qui. Sono qui"
Lo sento. È qui. Il contatto con le sue braccia mi fa sentire meglio. Sento qualcosa di bagnato scorrermi lungo la guancia. L'ennesima lacrima. Non ne posso più. Per anni non ho pianto e sembra che ora tutte le lacrime che ho represso vogliano vendicarsi di me.
"Sherlock, ti prego" mi dice lui. Non aggiunge altro. Vuole solo che io mi confidi con lui. Non lo farò. Lo sa.
Per ora mi basta affondare la faccia sul suo petto cercando di calmare i singhiozzi che scuotono il mio corpo. La mia anima.
È mattina. Com'è successo? Era così buio, prima … l'ultimo ricordo che ho è la mia faccia premuta contro il maglione di John, umido delle mie lacrime. Mi alzo. Sono già vestito perché ieri sera proprio non ce l'ho fatta a cambiarmi. Ho bisogno di una doccia.
Mi lavo e mi metto vestiti puliti. Mi guardo allo specchio. Cerco di assumere la solita espressione indifferente. Mi riesce bene. dentro, in realtà, sono a pezzi.
Trovo John in cucina. Sta facendo colazione.
"Come stai oggi?" mi chiede premuroso.
"Meglio" rispondo.
In effetti è vero. Va un po' meglio. Il sogno ha proseguito. Sto procedendo lungo un sentiero di carboni ardenti. L'omicidio di mio padre è stato la spinta che mi ha fatto fare il primo passo. Ora devo solo proseguire. Ignorare il dolore e proseguire. Cosa ci sarà, in fondo al sentiero?
Vedo che la mia tazza è già piena di tè. È proprio quello che mi ci vuole, stamattina. Ho anche fame. Mi siedo e comincio a inzuppare alcuni biscotti. Me la sto proprio godendo, questa colazione. John mi guarda. È preoccupato per me, si vede. Gli sorrido. Non voglio che sia triste.
Sento il telefono vibrare sopra la scrivania. Mi alzo di slancio per andare a prenderlo. Si, sto decisamente meglio. È Lestrade.
"Sherlock, abbiamo individuato l'altro uomo" mi dice con il fiatone. Deve aver corso parecchio, in queste ultime ore. Che lo abbia fatto per me?
"Chi è?" chiedo con la mia solita voce fredda e professionale.
"Si chiama Stephen Brown. È un avvocato divorzista. Nella sua agenda abbiamo trovato un nome che potrà interessarti"
"Dimmi"
"Violet Holmes"
