Il respiro di Hutch tremola nella sua gola, si incastra, si libera in un gemito gorgogliante. Lentamente, un passo incerto per volta, dirige il suo corpo pesante incontro alla figura appena riconoscibile incastrata nella roccia. A pochi passi scorge quello che potrebbe essere un gomito. Sposta gli occhi lungo quella curva, incerto, tentando di comprendere, di trovare una risposta sicura. Non ci riesce. Si accosta maggiormente, sposta alcuni detriti e inspira bruscamente. Tratti di un volto là sotto, deformati in modo parziale ma riconoscibili come tali. Sfiora quel che crede essere una mandibola, o forse è uno zigomo, difficile da stabilire. La polvere viene soffiata via dal vento secco, sottili fili chiari frusciano sospinti dai granelli di sabbia. Capelli rossi.
Un ginocchio cede d'un tratto e si ritrova di nuovo a terra. Ma la morsa al petto di poco prima si allenta, seppur di poco.
«Il bastardo è andato sul serio, stavolta» commenta con una punta di acidità nella voce arrochita dalle recenti peripezie. Avrebbe voglia di sputargli in faccia, ma non ha la certezza di dove si trovi con esattezza, quindi ci rinuncia, almeno per il momento.
Ancora parzialmente accovacciato, torna a guardarsi intorno, prendendo man mano nota della distruzione dilagante. Si passa una mano sulla fronte, le dita formano strisce più chiare sul suo viso sporco di terra e umido di sudore, si incastrano fra i capelli arruffati. Scuote la testa. Non riesce a vederlo, non dalla posizione in cui si trova in quel momento. Con un fioco lamento si rimette in piedi, barcollando appena, abbastanza certo di essersi procurato più d'uno stiramento. Accantona il problema e riprende l'ispezione dei dintorni. Dev'essere da qualche parte, deve solo cercarlo. Si muove piano, con metodo, nel timore che gli sfuggano particolari rilevanti. Infine lo scorge e un brivido ghiacciato corre su per la schiena. Se è ancora vivo non devono essergli rimaste poi così tante ossa intere, si ritrova a pensare, mentre lo raggiunge ad ampie falcate, studiando criticamente la sua posizione affatto naturale.
Quando gli è praticamente sopra digrigna i denti e la boccata d'aria che trae vi sibila attraverso. «Cazzo» sbotta, sgranando gli occhi e prendendo nota dei danni più ingenti. Si è beccato l'esplosione frontalmente; il viso, le spalle, il collo, le braccia, e scendendo giù il petto e le gambe sono ricoperti di lacerazioni più o meno estese. La gamba sinistra è ripiegata in modo scomodo sotto il corpo, spezzata in tutta evidenza. Le mani sanguinano copiosamente, con buona probabilità dopo aver tentato di proteggersi il volto dagli effetti più devastanti dell'onda d'urto, ma le labbra sono spaccate in più punti, così come le sopracciglia. E gli occhi… Si inginocchia al suo fianco, accosta piano una mano e si blocca, temendo di peggiorare i danni. Le palpebre sembrano bruciate, le ciglia non esistono più. Di nuovo allunga una mano, e stavolta la posa sul suo collo sfregiato, tremando appena. Soffia un violento fiotto di fiato quando le sue dita riescono a percepire un fievole pulsare. «Cazzo» ripete, più debolmente.
Mentre, indeciso, vaglia le sue possibilità, una brusca contrazione della mandibola di Doc precede di pochi istanti il rapido inarcarsi della sua schiena. Un brusco, soffocato respiro ne segue, manifestando la sua inequivocabile ripresa dei sensi.
«Cat» mormora, provando a essere delicato, impresa non troppo semplice viste le attuali condizioni.
Non riceve alcun tipo di risposta. Non che se l'attendesse davvero, ma sarebbe senz'altro stata di qualche aiuto. Ancora una volta allunga su di lui una mano, stavolta posandogliela sulla spalla sana (o almeno, più sana dell'altra). Quel che ottiene, e che non si era per nulla aspettato, è uno scrollarsi violento dal suo tocco, seguito prevedibilmente da un rauco gemito di sofferenza.
«Ehi, sta' calmo. Sono solo Hutch, non t'ammazzo di certo» brontola, non troppo sicuro su quest'ultimo punto per essere precisi, ma intenzionato comunque a non farne parola proprio in quel momento.
Ritenta l'approccio fisico, dato che non ha notato reazioni degne di nota alla sua voce. Tutto considerato, se intende adoperarsi per farlo sopravvivere a quella disavventura, sarebbe anche il caso di muovere il culo e trascinarlo da qualche dottore vero, o per lo meno uno che sappia come fermare tutto quel sangue prima che si prosciughi come il deserto che li circonda.
Ancora una volta il suo tocco provoca un netto rifiuto, abbastanza veemente per la verità, addirittura eccessivo tutto considerato. Lo sciocco tenta persino si trascinarsi lontano, come se davvero sentisse il bisogno di proteggersi da Hutch, idea ridicola per quanto lo riguarda. Non sarà un'aquila, ma certo è che mai si sognerebbe di fargli del male, non sul serio. Un conto è giocare a prendersi a pugni, tutt'altra faccenda sarebbe infierire su un uomo che è già con un piede nella fossa, com'è del resto il suo caso.
Abbastanza logorato da quel tira e molla infruttuoso, stabilisce una linea di azione più risolutiva e, con decisione, si appresta a sollevarlo da terra volente o nolente e trascinarlo al primo centro abitato disponibile, sperando che non tiri le cuoia strada facendo. Non fa tuttavia in tempo a circondarlo con le sua braccia che l'amico si divincola penosamente, affannando e gemendo ma sembrando deciso a sfuggirgli in un modo o nell'altro.
«Ora basta, maledizione! Se vuoi proprio crepare basta dirlo. Non ci metto nulla a mollarti qui in pasto ai coyote» sbotta scocciato.
Sta apprestandosi a ripetere l'operazione di recupero ed eventualmente a esternare altri commenti caustici, ma prima di trovarne il tempo si paralizza e sbianca, notando in quel momento per la prima volta un sottile rivolo rosato scivolare lungo la sua mandibola dall'orecchio. Il battito cardiaco accelera in un istante. Sposta lo sguardo da quella striscia sottile e lucida agli occhi danneggiati del ragazzo. Deglutisce la scarsa saliva di cui dispone e abbassa lentamente le palpebre. Non lo può sentire. Né vedere. Per quanto può saperne, Hutch potrebbe benissimo essere uno degli assassini della banda di Bill venuto a finire il lavoro, oppure addirittura il rosso redivivo. Serra la mandibola, stringe i denti e respira piano, con lentezza misurata, tentando di recuperare la calma perduta.
Quando riapre gli occhi il suo petto ha ritrovato un ritmo regolare, anche se ancora strettamente bloccato in una pesante morsa di tensione. Si fa più accosto, poggia le mani sul terreno sconnesso, una per ogni lato della sua testa, si abbassa, lentamente, e sfiora appena la sua tempia con le labbra. Un flebile tremolio scuote quel corpo abbandonato nella polvere, la gola sussulta, forse cercando qualche parola che abbia un senso.
Hutch muove le labbra, con cautela, con precisione, deciso a raggiungerlo in qualche maniera.
«Sono Hutch. Non puoi sentirmi, ma sono qui. Ti porterò al sicuro. Devi solo fidarti di me» sillaba concentrato contro la sua pelle bollente.
«Htc.»
È un suono sconnesso, ruvido e incerto quello che scivola a fatica fuori dalle labbra di Cat, ma vi riconosce il suo nome, per quanto impreciso, e sa che lo ha riconosciuto e forse gli darà una possibilità.
«Esatto» conferma, esultando dentro di sé ma cercando comunque di mantenere saldo il controllo. «Ti porto via» annuncia lapidario.
«B… Bl.»
Hutch aggrotta le sopracciglia cespugliose in un'espressione perplessa e crucciata insieme. Cerca un significato in quel secondo suono, un significato che non riconosce immediatamente. Finché un barlume di comprensione lo coglie nel mezzo di un inizio di disperazione. Cat sta cercando di chiedergli che fine abbia fatto Bill Sant'Antonio. Hutch volta la testa verso l'ammasso di rocce crollate e stracci insanguinati e un ghigno infernale fiorisce sulle sue labbra. Di nuovo si china su Cat, lambendo appena il suo volto.
«Morto» decreta con un tono completamente soddisfatto. «Per sempre» tiene a precisare, a scanso di futuri equivoci.
