«Va bene» mormora fra sé, ma si sente abbastanza sfiduciato perché non c'è proprio nulla che vada bene lì e ora. Si sofferma qualche istante ancora a osservare Cat. «Ce ne andiamo» soffia contro la sua tempia, e con tutta la delicatezza e concentrazione di cui si sente capace lo raccoglie da terra stringendolo con cautela a sé.
Si osserva attorno, fa mente locale. Aggrotta le sopracciglia. Non ricorda di aver visto cavalcature, arrampicandosi sulla collina, ma ha seri dubbi che siano saliti a piedi come ha fatto lui, tanto più se almeno uno dei due aveva in programma di portarsi via dei sacchi d'oro. Devono aver lasciato i cavalli più indietro, nell'ultimo tratto praticabile in sella. Appesantito dal recente fardello di cui si è fatto carico, si muove lento in direzione del punto più probabile in cui potrebbero aver fatto sostare i cavalli, ma è solo qualche svolta più oltre che, infine, li individua. E meno male, perché iniziava a sentirsi abbastanza esausto di quella scarpinata degna di un somaro. Le due bestie hanno tutta l'aria di essere a un passo dal farsi venire un attacco di cuore, a giudicare dagli occhi sfuggenti e dalle froge frementi e dilatate nonché dal fatto che si sono accalcati nel punto più lontano che sono riusciti a ritagliarsi nonostante siano legati. Si ritrova a chiedersi, con scomodo ritardo, se tenteranno una fuga precipitosa non appena verranno slegati. Una smorfia seccata distorce il suo viso.
«Guai a loro» borbotta contrariato.
Si accosta con passo deciso ma tranquillo al tempo stesso. Funzionerebbe meglio se non avesse un corpo mezzo morto a occupargli le braccia. I cavalli sbuffano. Lancia loro un'occhiataccia e sbuffa anche lui. Ai cavalli non piace granché tutto quell'odore di sangue. Non che Hutch lo apprezzi, ben inteso, ma può adattarcisi se la situazione lo richiede. Sospira e, giunto all'arbusto a cui sono assicurate le due bestie, posa un ginocchio a terra e, piano, distende il corpo di Cat lì accanto. Ha assoluto bisogno di avere le mani libere, se desidera davvero trattare con quei due fifoni e sperare che li portino fin giù in paese.
«Parliamoci chiaro» esordisce, fissandoli a turno con insistenza. «A voi servo io, se davvero volete allontanarvi da qui sulle vostre zampe, perché sono sicuro che avete notato di essere legati. Bene. Guarda caso a me servite voi perché me ne voglio andare anche io da qui, e non ho nessuna intenzione di farmela a piedi» illustra, adocchiando significativamente l'amico momentaneamente abbandonato poco lontano. «Quindi potete darvi una calmata e collaborare, oppure dare di matto e poi essere comunque costretti a collaborare» minaccia, flettendo le dita delle mani e facendole rumorosamente scrocchiare. «Preferenze?»
Com'era prevedibile, i due quadrupedi si sono rivelati molto ragionevoli e hanno optato per la prima soluzione, attendendo stoicamente che l'umano peloso sciogliesse i nodi troppo oltre le loro possibilità di ungulati erbivori e poi legasse uno dei due al pomolo della sella dell'altro. Issare il secondo umano impestato dell'odore ferroso del sangue si è rivelata la parte più complicata del piano e ha richiesto una quantità strabiliante di scomode contorsioni e riequilibrature per poter essere portata a compimento. E tuttavia infine ce l'hanno fatta, senza nemmeno un morto (per il momento).
Hutch si sente stremato, mentre cavalca giù per la collina. Nella sua testa gira ossessivamente la terribile sensazione che quella sia stata la parte più semplice del suo supposto proposito di salvataggio, e il pensiero gli fa digrignare i denti. Inoltre, a complicare la faccenda, c'è anche il fatto che non ha ancora deciso a chi addossare la responsabilità di quel totale sfacelo. A Cat sarebbe troppo facile e non troverebbe il giusto corrispettivo di sfogo. A Bill andrebbe anche bene, ma è già stecchito e non avrebbe la soddisfazione di spaccargli la faccia. Di scagnozzi di Bill ne ha già decimati una buona quantità, ma lo stesso si trova nella merda fino alle orecchie. Con la banca e i suoi funzionari non può prendersela, quanto meno non da solo, perché loro si rivelerebbero più potenti e lui senza un valido aiuto non se la caverebbe. Infelice, si rende ben presto conto che le probabilità sono tutte contro di lui e che, in fin dei conti, non può che prendersela con sé stesso e la sua pessima pensata di chiedere aiuto alla persona più attira guai che conosca. Soffia uno sbuffo contrariato perché sì, Cat è una disgrazia, ma è anche l'unico nella cerchia delle sue conoscenze con sufficiente cervello da far funzionare più o meno qualunque progetto si degni di elaborare. Se solo non ci fosse stato di mezzo Bill, allora… Allora cosa? Era proprio quello il motivo per cui ha chiesto l'assistenza di Doc, no? Solo non si aspettava che l'avrebbe presa così male. Che poteva saperne, lui, dei conti che avevano in sospeso? Certo, un piccolo sospetto gli era balenato in testa, quando Cat si è dileguato nella notte con i loro cavalli, ma ha sottovalutato la faccenda. Decisamente. Chi pensava che Cat covasse tanto risentimento per quella dannata volpe? No, non risentimento. Odio. Lo ha visto. Tardi, vero, ma era lì, quando gli ha urlato addosso in cima alla collina. C'era, e lo ha persino spaventato. Perché non se lo aspettava, perché non aveva idea che potesse essere tanto violento. E forse dopotutto Cat ha ragione quando gli dice che è uno stupido animale senza cervello. Non ha insistito a sufficienza per informarsi sui loro passati screzi, che poi si sono rivelati non poi così passati e non poi così trascurabili come avrebbe creduto. Insomma, non è come se Hutch avesse provato una gran simpatia per Bill, tutto l'opposto in effetti, ma Hutch non si è messo sulle sue tracce per ammazzarlo, lo ha fatto per lavoro. Cat invece… Voleva la sua testa e non si sarebbe mai accontentato di liberarsi di lui in un modo qualsiasi. No, voleva guardarlo negli occhi e godersi la sua morte.
Un fremito scuote le spalle di Hutch. Deglutisce, nervoso. Abbassa gli occhi e li fa scorrere piano sulla figura macilenta dell'amico. Dove lo ha condotto il suo odio? Se per qualche bizzarra casualità dovesse sopravvivere a quella disgraziata giornata, non è affatto sicuro che potrebbe mai tornare a essere lo stesso uomo di prima, né nel corpo né nello spirito. Valeva la pena di rischiare tutto? Valeva la pena di mettere in gioco la propria vita?
«Sciocco» soffia piano.
Eppure non può dirsi certo di essere migliore di lui. Che cosa avrebbe fatto al suo posto? In che modo avrebbe agito? Non conosce nemmeno tutti i particolari che lo hanno portato a imboccare quella strada. Come può sperare di capire? Come può permettersi di giudicare le sue scelte se non è in grado di comprendere quel che ha dovuto passare per giungere a quel punto? E ora, forse, non troverà nemmeno il tempo, né la possibilità di afferrare la verità.
