Il paese più vicino sembra a Hutch all'altro capo del mondo. È una percezione relativa, ne è cosciente, ma rimane comunque l'impressione vivida di non arrivare mai a destinazione.
Il cavallo nero di Bill, che a colpo d'occhio ha giudicato il più forte e sveglio, quindi idoneo a scarrozzarsi due uomini adulti, sembra abbastanza infelice di essere la prima scelta di Hutch, ma infine giungono sulla via principale del centro abitato più prossimo alla collina mezza demolita che si sono lasciati alle spalle. Rinserra la stretta delle braccia attorno a Cat e si mette alla ricerca di un passante dall'aria abbastanza sveglia ma non troppo impicciona a cui chiedere indicazioni. Il primo che ferma lo guarda storto, catalogandolo (probabilmente a ragione) come porta guai e si defila prima che Hutch riesca a mettergli le mani addosso. Il secondo passante è un uomo anziano accompagnato da una donna più giovane. I due non sembrano estremamente lieti di averli fra i piedi, ma l'uomo trae un sospiro rassegnato e si fa più accosto.
«Cerco un dottore» spiega Hutch.
L'anziano stringe le labbra, posa gli occhi su Cat e trae un altro mesto respiro, poi ruota su sé stesso e allunga un braccio di fronte a sé.
«Da quella parte, sempre dritto. Il secondo incrocio a sinistra, poi a circa quattrocento yards sulla destra trovate quel che state cercando. C'è l'insegna» puntualizza, sfidandolo a replicare.
Hutch, affatto intenzionato ad attaccar briga, annuisce, aggiusta la stretta della mano sulla spalla di Cat e si produce in un impacciato inchino.
«Grazie» aggiunge laconico, prima di spronare il cavallo e seguire la strada mostrata dal passante.
L'insegna c'è, rammendata e ridipinta. Assottiglia gli occhi, sperando che non rispecchi la persona che dirige la baracca. Ma il tempo non è dalla sua parte e non ne ha oltre per trovarne un altro che gli ispiri maggior fiducia. Allora si rassegna e accosta la cavalcatura all'entrata, poi si sporge e pesta un pugno sull'intelaiatura superiore della porta, e rimane in attesa, ma per nulla paziente.
«Oh per Giove! I cavalli no, tratto solo umani, io. Che diamine…» protesta un tizio segaligno e arruffato, la disordinata chioma del pallido chiarore del grano e occhi grigio ardesia, raggiungendo l'entrata con affanno e bloccandosi proprio di fronte al muso del cavallo nero. Solleva lo sguardo interdetto al cavaliere e deglutisce.
«I cavalli stanno una meraviglia. Il dottore è per il mio amico» fa notare Hutch con sarcasmo.
«Uhm» commenta quello che spera sia il dottore, con un'occhiata perplessa alla scalcagnata comitiva. «Molto bene, allora. Sono il dottor Maloney. Vediamolo, dunque.»
E si avvicina. E lo vede. E forse avrebbe preferito curare il cavallo, dopotutto.
«Che diamine è accaduto? Gli è crollata addosso una miniera?»
«No, una cassa di dinamite. Accesa» lo corregge Hutch. «E non state lì impalato, aiutatemi a tirarlo giù» borbotta irritato.
E senza chiedere il resto afferra l'auto dichiarato dottore per lo scollo dell'abito e se lo trascina accanto, poi solleva un poco Cat e lo passa alle braccia dell'altro, intimandogli con uno sguardo poco indulgente di reggerlo con le dovute cautele. Una volta liberatosi del fardello smonta da cavallo, lega entrambe le bestie non discoste dallo studio e torna sui suoi passi, recuperando l'amico dalla debole stretta del dottore, ancora impegnato a raccapezzarsi dell'accaduto.
«Sveglia, oh!» gli urla quasi all'orecchio, precedendolo all'interno dell'ambulatorio.
Il dottor Maloney lo segue a ruota, trotterellando sulle sue orme e indicandogli, trafelato, un punto idoneo su cui posare Cat, un lungo tavolo robusto ricoperto da un largo telo.
«Buon dio, che macello» commenta, studiando il suo nuovo paziente mentre si dà da fare per levargli gli abiti ormai ridotti a pochi, inutili stracci sulla sua pelle non in condizioni molto migliori. «E gli hanno perfino sparato!» sbotta stralunato, quando scopre la spalla destra forata.
«Quello prima» precisa Hutch, rimanendo un po' in disparte. «Dell'esplosione, intendo.»
«Fantastico» bercia il dottore, storcendo il naso. «Prima lo impallinano, poi lo fanno saltare in aria. Mi chiedo come faccia a respirare ancora.»
«Oh! Non portiamo iella, eh» protesta Hutch. «L'ho trascinato fin qui. Almeno proviamo a salvargli il culo.»
Il dottore dardeggia un momento lo sguardo su Hutch e scuote la testa. «L'idea sarebbe quella. Ma fossi in voi non ci farei troppo affidamento.»
Ciò nonostante si è già messo all'opera per estrarre il proiettile dalla spalla, e mentre lo disinfetta e ricuce riflette, e più riflette più si chiede quanto valga la pena di darsi da fare. Il ragazzo non ha l'aspetto di uno che tornerà a fare qualsiasi sciocchezza stesse combinando prima di finire mezzo maciullato. Termina il suo lavoro sulla spalla e osserva criticamente il viso.
«Timpano perforato, direi. Se sarà abbastanza fortunato non è così grave come appare e guarirà da solo. Ma quegli occhi…» tituba, mordicchiandosi un labbro. «Ci vuole uno specialista del settore. E anche così, non è detto che tornino a funzionare.»
«Dove lo trovo?»
Maloney si volta appena, tornando presto al paziente. «Qualcuno qui in America ce n'è, ma nessuno all'altezza. Ho letto di un tizio bravo dall'altra parte dell'Atlantico.»
Hutch sgrana gli occhi. Deglutisce. «In Europa?»
«Già. Sta in Francia. Dicono che ci sappia fare nel suo mestiere.»
«Un francese?» storce il naso Hutch.
«Veramente no, è inglese, ma a quanto pare ha preferito esercitare a Parigi. Diavolo!» ringhia frustrato.
«Che c'è?» si allarma Hutch.
«C'è che le cose si complicano. Frattura multipla alla gamba e alla caviglia. Rotula lussata. Pure l'anca è lussata. Ho l'impressione che servirà più d'un miracolo con il vostro amico. E un ortopedico che sappia il fatto suo, a meno che non voglia trascorrere il resto della sua vita (e non so quanta gliene resti) a zoppicare.»
«E dove trovo quest'altro? Sempre a Parigi?» ringhia Hutch, scoraggiato.
«Oh, no. Ne abbiamo qualcuno buono anche qui» assicura, annuendo convinto. «Vi segnerò i loro indirizzi, ce ne sono due o tre che possono fare al caso. Naturalmente serve tempo. E denaro» precisa, abbastanza incerto su entrambe le possibilità.
Hutch soffia stizzito e si passa nervosamente le mani nei capelli, senza avere una minima idea di cosa fare. Assicurarsi che sopravviva, prima di tutto. Poi serve procurarsi dei bei bigliettoni. Avrebbe fatto comodo tutto quell'oro che lo avevano incaricato di ritrovare. Diamine, a quel pensiero gli pare sia già trascorsa una vita intera da ché ha accettato il lavoro propostogli (e non l'avesse mai fatto!). Ma non ha la più pallida idea di dove possa averlo nascosto Cat. Perché sì, ormai è certo che nella cassa che avevano sotterrato non ci sia rimasta più nemmeno una moneta. Ma allora dove? Dovrà attendere, per forza di cose. Se Cat si riprenderà abbastanza non solo da risvegliarsi ma anche da tornare a far funzionare il suo bel cervello, allora sì, avranno qualche possibilità di cavarsi d'impaccio, altrimenti… Altrimenti Hutch rimarrà da solo, a fissare un punto lontano all'orizzonte e a domandarsi se avrebbe potuto agire in maniera differente. Perché allo stato attuale si sta rendendo conto che potrebbe aver complicato il piano di Cat di ammazzare Bill più di quanto non avesse immaginato inizialmente. Brutto affare avere del tempo per riflettere; si finisce con l'accorgersi di particolari che avresti preferito rimanessero oscuri. Per fare un esempio: la dinamite non salta in aria da sola. Come ha fatto dunque? Più ci pensa, e più sospetta che c'entri qualcosa la sua comparsa sulla collina, con pala per scavare annessa. Se, per pura ipotesi, qualche scintilla avesse raggiunto la miccia e fatto da innesco? Potrebbe ricordare male, ma la sua pala era finita giusto accanto alla miccia.
«Merda» soffia fra sé, iniziando a sentirsi davvero, davvero male.
