Sta osservando pensieroso da qualche tempo il dottor Maloney che si affanna per rappezzare l'amico. È abbastanza esausto, ma penserà a stravaccarsi in qualche angolo più tardi, dopo aver posto almeno un paio di domande. Purtroppo dovrà attendere ancora, poiché il dottore sembra ben lungi dall'aver concluso il suo operato.
Si è quasi appisolato a cavalcioni sulla sedia, la testa scompigliata poggiata fra le braccia incrociate, con il rischio di scivolare con il culo per terra, quando un tintinnio metallico più marcato degli altri lo ripesca dal suo torpore. Sfarfalla le ciglia con frenesia e tenta di raccapezzarsi, guardandosi confusamente intorno, ed è allora che nota che il dottore si sta ripulendo le mani e gli avambracci ancora macchiati di sangue.
«Avete concluso?» chiede con voce rauca e impastata.
Il dottore arresta un momento la sua attività e lo osserva con cipiglio critico. «Ne sono ben lontano. Ma al momento temo di non poter fare molto altro per il vostro amico.»
Hutch aggrotta le sopracciglia, sposta gli occhi su Cat e stira le labbra in una smorfia scontenta. «Allora ditemi di lui» lo invita, in tono non propriamente gentile ma disposto a essere paziente. «Quanto tempo servirà per poterlo spostare?»
Sospira e scuote la testa. «Ammesso che sopravviva a questa giornata, intendete?»
Hutch sbuffa piano, chiude gli occhi qualche momento e si raddrizza, sollevandosi dalla sedia con gesti lenti e misurati. Con altrettanta lentezza si fa più accosto fino a sovrastare l'altro con la sua stazza. «Già. Proprio così. Fingete che arrivi a domani senza smettere di respirare. Quindi, quanto tempo?»
Il dottor Maloney abbassa gli occhi sul pavimento di coccio, fa per passarsi le dita fra i capelli ma ci ripensa all'ultimo secondo, ricordando per tempo di avere ancora le mani lorde di sangue parzialmente rappreso. «Voi dovete capire che non si tratta solo di ossa rotte che devono essere aggiustate o ferite che devono rimarginare. Ha perduto molto sangue. Ed è probabile che abbia battuto la testa; sono piuttosto certo che abbia una commozione cerebrale, ma per esserne sicuro serve attenderne il risveglio e testare le sue funzioni cognitive. Nel migliore dei casi, se rimanesse in completo riposo, non dovrebbe essere trasferito altrove prima di due settimane, come minimo. E anche allora, prima di spostarlo, sarebbe bene accertarsi che ne sia in condizione, perché il suo stato potrebbe peggiorare molto facilmente se lo si muoverà troppo presto.»
«Due settimane» mormora Hutch, sembrando assorto.
Volta le spalle al dottore e si avvicina a Cat, scrutandolo attentamente. È pallido come un cadavere e quasi altrettanto immobile, ma il suo petto si solleva in lenti movimenti quasi impercettibili.
«Maledetto idiota. Che diavolo dovrei fare, ora? Me lo dici tu? Certo che no, tu dormi, e io… Dannazione!» sbotta, perdendo la pazienza così faticosamente radunata in quelle ultime ore.
«Vi pregherei di non…» tenta di intromettersi Maloney.
«Cosa?!» lo aggredisce Hutch, voltandosi di scatto e quasi abbaiandogli in faccia. «Che accidenti vorreste da me? Non l'ho voluto io tutto questo pasticcio, sapete. Ci si è infilato da solo, con tutti i maledetti stivali. E adesso sta morendo e io non ho idea di come impedirlo!»
«Comprendo la vostra situazione» commenta il dottore in tono pacato, scrutandolo con prudenza. «Tuttavia, per il bene vostro ma soprattutto per il bene del vostro amico, sarebbe opportuno se vi calmaste e, più di tutto, evitaste di provocare confusione. In questo modo gli state semplicemente impedendo di riposare correttamente.»
Sorpreso e perplesso, non può comunque fare a meno di irrigidirsi. «Ma… non può sentirci» tenta di protestare Hutch anche se con ben poca sicurezza.
«Probabilmente no» conviene il dottore. «Ma voi causate un notevole frastuono anche solo con i vostri spostamenti, e tutto questo trambusto lo si può ravvisare anche senza l'ausilio dell'udito, sapete?»
Hutch sbianca, volta la testa per accertarsi che Cat respiri ancora e, appurato ciò, esala un tremulo sospiro afflitto. «Perdonatemi» mormora, a quel punto abbastanza terrorizzato all'idea di fare il pur minimo rumore molesto. «Non so più quel che faccio.»
«Probabilmente avete bisogno di riposare anche voi. In effetti, a guardarvi meglio, non avete una bella cera» fa notare, tentando di essere gentile, nonostante il continuo nervosismo e disagio che gli provoca la sua sola presenza all'interno del suo modesto studio. «Potreste, mentre termino di ripulirmi, darvi una sistemata. Sul retro c'è un cortile con una fontana. E magari vorrete aiutarmi a trasferire il vostro amico su uno dei letti che ho nell'altra stanza dedicati ai miei pazienti più complessi. A quel punto il mio modesto consiglio è quello di stendervi e farvi una lunga dormita» conclude propositivo.
Sposta lo sguardo dal dottore a Cat alternativamente, si mordicchia un labbro, indeciso. L'idea che possa trapassare mentre è occupato a dormire lo atterrisce abbastanza.
«Nel caso dovessero sopraggiungere novità di rilievo, sarà mia premura avvertirvi immediatamente» aggiunge il dottor Maloney, quasi sentendo i suoi crucci.
Hutch annuisce, titubante. «Allora va bene. Vado…» fa un gesto distratto con la mano verso l'esterno. «A darmi una ripulita, sì» balbetta incerto, raschiandosi la gola a disagio.
Lancia un'ultima occhiata all'amico ed esce dalla porta sul retro, assicurandosi di accostarla con delicatezza alle proprie spalle, individuando poi facilmente la fontana di cui ha fatto cenno il dottore. L'acqua è stranamente gelida sulla sua pelle accaldata e lo fa rabbrividire con violenza. Tuffa la testa sotto il getto freddo, si passa le dita sulla nuca, scoprendola dolorante così come sente che lo sono anche le spalle e in parte la schiena. Quella dannata dinamite! Se lo sentiva che era un'idea balorda. Glielo ha pure detto. Ma figurarsi se lo sta ad ascoltare. Nemmeno fra un milione di anni, perché Hutch, in fondo, è quello stupido che non ha la minima idea di come far funzionare quel poco di cervello che si ritrova, giusto? Fa schiantare un pugno nella vasca della fontana, schizzando un po' ovunque, scivola sulle ginocchia, affonda la testa fradicia nelle mani e ringhia desolato, tentando invano di calmare il respiro irregolare e spezzato.
Nel mentre il dottor Maloney ha terminato le sue abluzioni e, in attesa che il suo cliente problematico numero due torni in studio, si sofferma a esaminare il suo cliente problematico numero uno e il suo difficoltoso tentativo di rimanere aggrappato alla propria vita. Non per la prima volta si ritrova a chiedersi per quale bizzarro caso non sia semplicemente morto sul colpo immediatamente dopo l'esplosione. Non c'è assolutamente nulla che indichi che un essere umano possa sopravvivere dopo aver riportato tali ingenti danni. Ha dovuto anche evitare di bendargli il torace, con il concreto rischio di provocargli una polmonite che con buona probabilità lo avrebbe condotto a morte certa, viste le sue già più che precarie condizioni di salute. Eppure è vivo e, contro ogni plausibile aspettativa, si direbbe intenzionato a rimanerlo. Abbozza uno stentato sorriso perché è piacevole, di tanto intanto, imbattersi in curiosità simili. E dopo tutto chi è lui per opporsi alla decisione di un suo paziente di continuare a esistere a dispetto delle più nere prospettive?
