Con cautela, lui e il dottore spostano Cat su di una barella a mano e lo trasferiscono fino a uno dei letti che servono per i pazienti degenti. Maloney osserva discretamente Hutch, trovandolo tutto intento in riflessioni di sicuro fosche, e con addosso l'aspetto di un grosso cane aspramente redarguito. Sogghigna fra sé in quanto si tratta di una visione francamente bizzarra.
«Coraggio, venite. Ho di là una piccola stanza con un divano molto comodo. Lo uso spesso, quindi vi potete fidare» propone con un sorriso incoraggiante.
Hutch si limita a un mezzo grugnito e lo segue senza fiatare né opporre resistenza. Fissa il divano promesso come farebbe con la tavola imbandita di un banchetto nuziale, poi rammenta di aver lasciato i due fifoni quadrupedi in strada e torna fuori a recuperarli, portandoli nel cortile sul retro dello studio medico e alla fontana, perché possano dissetarsi a piacere. Poi, finalmente, riguadagna l'attesa morbidezza dei cuscini del divano. Un paio di minuti dopo è crollato disteso, completamente vestito, e già russa sonoramente.
Il mattino seguente trova accanto al divano un piccolo barattolo di vetro chiuso con un tappo di sughero e un bigliettino minuscolo con poche parole scritte sopra: "Per voi. Le vostre distrazioni muscolari ringrazieranno". Un lieve stirar di labbra, il primo da almeno un paio di giorni, ingentilisce la sua espressione rabbuiata. A passi pesanti raggiunge il cortile per darsi una ripulita e vi trova i cavalli intenti a far colazione con qualcosa che somiglia ad avena. Immagina che qualcuno abbia avuto pietà di loro e dei loro sguardi imploranti. Soffia uno sbuffo, si leva la maglia impolverata e si dedica a lavarsi in modo serio con l'acqua della fontana, sempre gelida per la cronaca, poi con pazienza spalma l'unguento lasciatogli dal dottore sulle spalle e sul collo, alla schiena non ci arriva da solo e dovrà farsene una ragione. Quando recupera la maglia scopre che il suo peggior difetto non è tanto la polvere, che comunque abbonda, quanto piuttosto diversi strappi che non ricordava ci fossero l'ultima volta che si è vestito.
«Dannata dinamite» ripete per l'ennesima volta, sempre più convinto delle sue ragioni a ogni nuova, infausta scoperta.
«Buongiorno. Come vi sentite quest'oggi?» lo accoglie il dottore al suo rientro.
Lo fissa con cipiglio critico, registrando il suo strano buonumore e diventando sospettoso. «Meglio di ieri» borbotta. Il che è pur vero, ciò non significa che sia in condizioni ottimali. Ma non pretende di lamentarsi quando il suo pensiero seguente si sposta sull'amico. «Come sta Cat?»
«È vivo» conferma Maloney, sembrando estremamente sorpreso.
Hutch sbuffa, seccato da tanta incredulità. «Va bene. Qualche informazione in più?»
«Non ha ancora ripreso i sensi. Ha una leggera febbriciattola. Per ora non noto ulteriori peggioramenti nelle sue condizioni.»
Aggrotta le sopracciglia, preoccupato. «Ve ne aspettavate?»
«Dando retta alle mie speranze, no. Ma per quel che concerne l'esperienza medica, è abbastanza inevitabile che prima di volgere al meglio la situazione si complichi. Vedete, il suo organismo si è ovviamente indebolito. Questo permette a qualunque semplice complicazione di diventare un problema serio. Gli ho somministrato della codeina per alleviare il dolore e permettergli di respirare liberamente, così da scongiurare la possibile insorgenza di una polmonite. Mi aspetto che possa sopraggiungere della febbre nelle prossime ore, considerando l'entità dei traumi subiti dal suo organismo, nel qual caso provvederò a somministrargli dell'acido salicilico» spiega con pazienza. Poi lo osserva con più attenzione. «So che siete molto in pensiero per lui, non è necessario che lo diciate. Questo però non deve portarvi ad avere fretta di ottenere un cambiamento. Arriverà, forse non sarà in positivo. Ve lo dico perché desidero che siate preparato e disposto ad accettarlo quando e se si verificherà. Mi capite?» domanda gentile.
«Sì, capisco» soffia piano. «Ma, checché ne diciate, questo non lo fa diventare più tollerabile.»
Il dottor Maloney sorride e annuisce. «Oh, lo so. Se me lo vorrete permettere, vi mostrerò nei prossimi giorni alcune accortezze che possono tornarvi utili quando non sarò a vostra disposizione.»
«Perché, ve ne dovete andare?» si allarma Hutch.
Il dottore ridacchia, scuotendo la testa. «Direi di no. Aggiungerei volentieri anche un sentito "Purtroppo". Quel che intendo dire è che trovo opportuno predisporre il futuro in previsione del viaggio che probabilmente affronterete quando ne sarà in condizione» spiega, tenendo per sé il pensiero che tale momento potrebbe perfino non giungere affatto.
«Mi avevate fatto paura. Ma d'accordo, farò quel che suggerite. A proposito: non dimenticate di scrivermi quei nomi, altrimenti non saprei da che parte girarmi.»
«Oh, non temete, c'è tempo anche per quello.»
Hutch sta apprestandosi a ribattere che è meglio farle prima, le cose, piuttosto che non farle mai, ma un fievole gemito lo distrae e lo porta a concentrare tutta la sua attenzione su Cat, suo malgrado speranzoso ma ignaro di similari sentimenti condivisi dal dottore.
«Si sveglia?» propone ottimista, avvicinandosi cauto.
Maloney si fa più accosto, cercando di vederci più chiaro. «Forse» concede incerto. Poi si alza e si allontana di un paio di passi. «Venite, è il caso che siate nei paraggi, se davvero è sul punto di riprendere conoscenza. Di certo apprezzerà la vostra presenza più della mia» ipotizza verosimilmente, iniziando a comprendere le intricate dinamiche di quei due.
Un respiro più marcato acuisce le aspettative dei presenti. Hutch segue il consiglio del dottore e si siede di fianco al letto. Poi attende. E per loro fortuna non deve attendere davvero molto, prima di ricevere il suo premio.
«Htc… Ch…» prova Cat, prima di tossire ed emettere un lieve sibilo.
Hutch sgrana gli occhi, sorpreso nonostante tutto, e abbozza un sorriso. «Sono qui» conferma. «Ah, già, non mi sente» brontola, arricciando il naso seccato da sé stesso. Allora si china su di lui, come ha fatto già il giorno precedente, e glielo ripete sfiorando la pelle delicata della sua tempia. Il suo sorriso si allarga quando lo vede annuire faticosamente.
«M-Ml» prova. La sua gola sussulta brevemente. Sospira. Sembra già stremato per quel minuscolo tentativo.
Presto il sorriso sfuma sulla bocca di Hutch, e ne prende il posto una smorfia costernata. Si mordicchia brevemente un labbro, dardeggia gli occhi sul dottore per un attimo, manda al diavolo ulteriori reticenze e posa di nuovo le labbra sulla sua pelle, stavolta sulla fronte. Piano, fa scorrere le dita poco sopra le bende che gli coprono gli occhi rovinati, e ancora, in un piccolo gesto di conforto. «Va bene. Qui sei al sicuro» soffia contro la sua tempia. «Riposa. Guarisci.» Torna da me. Ma quest'ultima esortazione rimane cocciutamente segregata nella sua testa, senza poter trovare la forza di uscire.
