Come predetto dal dottore, la febbre si è alla fine presentata, sul far della sera e abbastanza alta da impensierire Maloney e allarmare definitivamente Hutch, il quale si tiene buono e tranquillo a fatica e solo per evitare il rischio di disturbare ulteriormente la ripresa dell'amico. Ciò non di meno trova non poche difficoltà a trattenersi dallo sciorinare una lunga ed elaborata sfilza di ingiurie e bestemmie assortite, e a un certo punto, sentendo di essere al limite del proprio autocontrollo, si precipita in cortile e trascorre il seguente quarto d'ora abbondante a ringhiare, scalciare la polvere e i sassi e lanciare occhiate malevole a chiunque gli capiti fra i piedi, cavalli compresi.

Al suo rientro lo accoglie il sorrisetto storto del dottore che manca di un soffio di fargli perdere di nuovo la pazienza.

«Vi sentite meglio?» ha perfino il coraggio di domandargli quello spudorato.

«No!» abbaia, incassando un momento dopo la testa fra le spalle e mordendosi a sangue un labbro, mentre fissa angosciato Cat steso sul letto che respira in modo faticoso. «Scusate» mormora contrito.

«Siete troppo nervoso. Avreste bisogno di una distrazione» pondera Maloney.

«Una distrazione?» bercia Hutch, mezzo allucinato dalla proposta. «E secondo voi come diamine potrei fare a distrarmi se poi il pensiero torna sempre qui?»

«Potreste pianificare il futuro, per esempio. Partendo dall'ottimistico presupposto che tutto fili liscio e fra un paio di settimane potrete ripartire portando con voi il vostro amico, organizzate lo spostamento, i tempi, le fermate, quel che sarà necessario procurarsi per la buona riuscita del viaggio, e via discorrendo. Sono certo che questo vi terrà degnamente impegnato per parecchio» suppone.

Hutch è abbastanza perplesso, e un po' sospettoso. Non sa bene cosa pensare dell'idea del dottore e non è certo se lo stia prendendo in giro oppure la sua proposta sia in buona fede. Non è un buon pianificatore, Hutch. D'altra parte se lo fosse stato non si troverebbero a quel punto; avrebbe scovato da sé un modo per risolvere il problema dell'oro senza interpellare Doc, il quale forse non avrebbe mai scoperto che Bill era ancora vivo, oppure lo avrebbe scoperto solo più tardi e se la sarebbero vista solo loro due, senza l'interferenza di Hutch, e Cat avrebbe strappato le palle a Bill e le avrebbe date in pasto ai cani randagi. Hutch rabbrividisce al pensiero e scuote la testa nel tentativo di far scivolare fuori l'idea molesta dal suo cervello.

Sospira, abbattuto. «D'accordo, avete ragione voi. Proverò a fare quel che suggerite.»

Il dottore lo osserva un momento, incerto, ma infine sembra soddisfatto della buona volontà che mostra Hutch e annuisce compiaciuto.

Rigirandosi con cura la proposta del dottor Maloney in testa, si reca alla taverna per trovare qualcosa di decente da mettere nello stomaco. Il sole scarlatto declina lentamente sull'orizzonte mentre si lascia cadere seduto sulla panca e attende che la cameriera gli porti di che sfamarsi. L'osserva assorto, seguendo i suoi graduali spostamenti, lasciandosi quasi ipnotizzare dall'aria che tremola di fronte al globo infuocato. Per quanto si impegni, non riesce a distogliere il suo pensiero, cosciente o meno che sia, dall'amico e dalle sue sorti. Sospira amareggiato e prega, anche se non sa bene chi o cosa, che tutto possa risolversi al meglio ma, chissà perché, nutre seri dubbi al riguardo. Infine la sua cena arriva e lui distoglie l'attenzione da qualsiasi altro pensiero che non coinvolga il suo stomaco vuoto e abbastanza insoddisfatto delle sue recenti decisioni.

La febbre alta ha tenuto in ostaggio Cat un giorno e mezzo e quando ha finalmente abdicato lo ha lasciato privo delle già esigue forze che possedeva in precedenza.

«Siete proprio sicuro che non ci sia qualcosa che si possa fare?» chiede Hutch al dottore, quasi pazzo di angoscia, posando di quando in quando i suoi occhi sgranati sulla figura ora di un insano colorito tendente al grigio dell'amico.

«Se c'è io non ne so nulla» replica acido e sfinito Maloney, che è rimasto sveglio quasi in continuazione nelle ultime trentotto ore, occupandosi di tenere in vita il suo paziente.

«Non siete d'aiuto» protesta debolmente Hutch.

«In questo caso potevate trovarvi un altro dottore più utile da vessare!» sbotta, digrignando i denti per la frustrazione.

«Eravate il più vicino» sibila Hutch, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche, desiderando ora più che mai di avere qualcuno con cui prendersela.

«Ma che fortuna» bercia Maloney, alzandosi repentinamente dalla sedia accanto al letto di Cat e iniziando a camminare nervosamente per la stanza.

Hutch si fa accosto al letto e vi si accoscia accanto, piantando i suoi occhi scuri su Cat e sperando che possa dare qualche segno di vita. Qualsiasi segno. Non è affatto schizzinoso, si accontenterebbe di qualunque cosa a quel punto. Ma nulla cambia, e soffia un gemito strozzato, affondando le dita fra i capelli già maltrattati, sentendosi così maledettamente inutile e privo di scopo.

Un minuscolo fruscio, a malapena in grado di increspare il cupo silenzio sceso nella stanza, riesce comunque a raggiungere i sensi alterati di Hutch. Solleva bruscamente il volto e raddrizza le spalle, attirando con il suo repentino movimento l'attenzione di Maloney. Qualche cosa si è mosso. Non ha la più pallida idea di cosa sia stato a produrre quel rumore, ma intende scoprirlo.

«Che accade?» inquisisce il dottore.

«Non lo so» bisbiglia Hutch, mettendosi in ginocchio il più silenziosamente possibile.

Se fosse qualcuno comparso per far secco uno di loro, se ne accorgerebbe per tempo? Saprebbe evitarlo? Non ne è poi così certo. Negli ultimi giorni non è stato molto in forma né ha fatto granché per ovviare al problema, troppo preso da quello ben più grave dell'amico. Cerca l'arma sul fianco e si rende tardivamente conto di non averla. In effetti non è neppure sicuro di dove l'abbia lasciata, forse sul divano. I suoi denti stridono l'uno contro l'altro, mentre la frustrazione prende il sopravvento.

E poi lo risentono, quel misterioso fruscio. Entrambi sono immobili, solo il loro sguardo scandaglia ciò che li circonda, in attesa di capire (o di fare una brutta fine, in effetti). È solo quando si ripete una terza volta, soffice ed etereo nell'aria immota, che sembrano comprendere e abbassano gli occhi sul letto quasi dimenticato nel panico che li ha colti impreparati. Come stregati, osservano le lunghe e affusolate dita della mano sinistra di Cat, fasciate nelle bende per preservarle e permettere loro di risanarsi, che si ripiegano debolmente, strusciando piano sulle lenzuola candide. Un tenue sospiro fa fremere le labbra ceree. Il fiato si blocca, per un istante che pare eternarsi, nelle gole di Hutch e Maloney.

«A… Acqua» soffia appena, tremando per lo sforzo.

I minuti seguenti sono un turbine di reazioni convulse e indaffarate che si sovrappongono e si ingarbugliano, a momenti intralciandosi a vicenda, nella foga di liberarsi da un incubo protrattosi troppo a lungo e quasi divenuto realtà.