Al suo rientro nulla sembra essere davvero cambiato. A una prima occhiata Cat riposa tranquillo, quanto meno nei limiti delle sue possibilità attuali. Il dottore non si vede in giro, può darsi sia a fare visite a domicilio. Hutch si siede sulla sua sedia, accanto al letto, prendendo a osservare l'amico con attenzione. Gli sfregi causati dall'esplosione ora sono linee sottili rosso scuro sul suo incarnato cereo. Maloney gli ha assicurato di aver fatto il possibile per limitare i danni; secondo lui, se mai rimarranno cicatrici, saranno sottili e poco visibili. Poggia il mento sulle braccia incrociate e si ritrova a sperare che il dottore abbia detto il vero; sarebbe un peccato se il suo viso fosse stato deturpato per sempre. È bello, o meglio, era bello; ora come ora è un po' troppo ammaccato per poter avere un aspetto piacevole.

Sgrana gli occhi, esterrefatto. «A che accidenti sto pensando?» sbotta fra sé allucinato.

Un mormorio soffice lo distoglie dai suoi pensieri inappropriati per riportarlo alla sala di degenza. Giusto in tempo per notare il lento movimento dell'amico.

«Cat?» tenta incerto.

«Così dicono» conferma con una strana voce fievole dal timbro divertito.

Sbuffa seccato. Sempre pronto a prenderlo per i fondelli, quel piccolo bastardo del suo amico. «Non sei divertente» borbotta piccato.

«Mai preteso di esserlo.»

Leva gli occhi al cielo. È inutile anche solo provarci, tanto avrà comunque l'ultima parola. Torna a guardarlo, attento. Il petto si solleva piano ma con regolarità. Le sue labbra sono ancora rovinate dai tagli, ma stanno tornando lentamente del loro colore naturale, quando sino a pochi giorni prima rimanevano cocciutamente violacee e tumefatte.

«Come ti senti?» chiede infine, palesando la sua costante preoccupazione.

Il silenzio si protrae per lunghi momenti, ma infine viene rotto dalla replica di Cat che giunge abbastanza desolata alle orecchie di Hutch.

«Stanco. Frustrato. Arrabbiato.» elenca metodico. «Spaventato» soffia in conclusione.

Hutch si raddrizza sulla sedia e lo fissa sgomento, incerto. «Perché?» domanda, non comprendendo.

A Cat sfugge una risata amara, quasi isterica, che ha il duplice effetto di farlo contorcere dal dolore e di moltiplicare l'angoscia che già affligge l'amico.

«Se solo avessi un dollaro per ogni volta che non capisci, credimi, sarei ricco sfondato» rimarca acido.

Hutch si imbroncia, ma la sua stizza dura il tempo di un respiro. Poi poggia la fronte sulle braccia, disilluso. «Sì, lo so bene che mi consideri un idiota. Sono in pensiero per te, sai? Siamo bloccati qui da giorni… Ho pensato che mi saresti morto fra le mani, invece sei vivo, e questo è… una buona cosa, credo. Voglio dire: non è che tu la faccia sembrare poi tanto buona. Voglio sapere perché» spiega, sovrapponendo confusamente un pensiero sull'altro.

«Tu che dici?» ribatte aspro.

«Non lo so! Come faccio a…»

«Non ci stai nemmeno provando» fa notare fosco.

Hutch ringhia e balza in piedi. Stringe i pugni, tremando per lo sforzo di misurarsi. E ritorna a sedere lasciandosi quasi crollare sulla seduta che geme in protesta.

«Se è perché hai paura di non camminare più, ti ho già detto che si può risolvere, o almeno ci possiamo provare. Ci ho pensato…» Uno sbuffo che ha il sapore di una risata incredula interrompe il suo ragionamento. «Ci ho pensato» rimarca ostinato, «e possiamo ritrovare quel dannato oro…»

«Di che diamine parli?» lo interrompe di nuovo Cat, stavolta perplesso.

«Senti, il dottore mi ha dato dei contatti. Questi tizi hanno la laurea e tutto. E stanno in grandi città. Vuol dire che ci vogliono i quattrini per chiedergli anche solo di darti un'occhiata. Quindi per prima cosa recuperiamo l'oro, e poi troviamo uno di quegli specialisti e lo facciamo lavorare per noi. Cioè, per te. Allora?»

«Non è nostro» fa notare, incerto.

«Cosa?» sbotta Hutch, abbastanza stufo di quei discorsi criptici.

«L'oro. Non ci appartiene» rimarca.

«Beh, 'fanculo. Con tutto quello che abbiamo passato per recuperarlo… E poi tanto mica ce lo teniamo tutto, solo quello che serve per rimetterti in piedi.»

Cat sospira, le labbra si storcono in una smorfia amareggiata. «Non sono mai stato un ladro.»

«L'ha rubato Bill, ammazzando anche un treno di gente lungo la sua strada. Noi l'abbiamo solo recuperato.»

«Non sembra una buona scusa» tituba.

«Cat! Dannazione!» abbaia imbestialito. «Che diavolo ti importa dell'oro di gente che ha tanti di quei quattrini che gli escono pure dal culo. Io parlo di te. Voglio che torni a stare bene, cazzo.»

Di nuovo un angolo delle labbra di Cat si solleva seguendo il suo divertimento. «È proprio una bella evocazione.»

Hutch ringhia, frustrato, incazzato, e anche un po' allarmato all'idea che quello sciocco si incaponisca a non voler sfruttare l'unica vera possibilità di cui dispongono. «Per l'amor del cielo» sibila alterato.

«No, Hutch. Il cielo te lo puoi tenere. Però, forse…»

Le sopracciglia cespugliose di Hutch si inarcano di perplessità. «Che cosa, forse

«Forse per amore di qualcuno» pondera pensieroso.

Ed è un vero peccato che non possa vedere, perché il marcato rossore che tinge il viso di Hutch è davvero un evento imperdibile, in particolare considerando che non deriva né da rabbia né da vergogna come a volte accade. Purtroppo i suoi occhi non funzionano e, per la prima e probabilmente ultima volta, Hutch si rallegra di quell'impossibilità.

«Quindi… Uh… Possiamo farlo?» si accerta, ancora molto imbarazzato per l'ultimo commento dell'amico.

Cat tenta di stiracchiarsi, geme, torna immobile ad affannare, scontento. «Tu credi davvero che possa servire?» esita.

"Se pensassi che fosse utile, scenderei pure all'inferno" riflette Hutch con testarda ostinazione. «Non serve pensare, serve provare. Anche solo risolvere uno dei problemi più grossi varrebbe la pena.»

«Bene» sospira, convinto solo in parte, ma persuaso che nel suo attuale stato non riuscirà mai a spuntarla con quel testone dell'amico. «Come vuoi tu. Ora sono un po' stanco, ma quando mi sarò riposato a sufficienza ne discuteremo in maniera appropriata» promette volenteroso.

Hutch annuisce, già dimentico del fatto che non può vederlo. Rimane lì vicino e attende che prenda sonno, prima di allungare tentennante una mano a sfiorare la curva delle sue labbra con un dito.