Vorrebbe gridare. Contro Cat, per l'ennesima idea folle che di certo li metterà in un mare di guai. Contro Maloney, per essersi messo in mezzo, per aver infranto il loro già così precario equilibrio. E forse, in fondo, anche contro sé stesso, perché se ora si trovano lì, di nuovo di fronte a uno stallo che appare insormontabile, è un po' anche colpa sua, o può darsi che lo sia del tutto, vai a saperlo. E la frustrazione lo investe per l'ennesima volta da ché tutto ha avuto inizio, e quel che è peggio è che non può nemmeno prendere a pugni qualcuno nella speranza di sfogarla: Cat nemmeno a parlarne, probabilmente lo ucciderebbe sul colpo anche solo spingendolo giù dal letto nel modo sbagliato; Maloney è l'unico che ha qualche buona conoscenza per aiutare l'amico, e se gli spacca la faccia potrebbe risentirsene e decidere, tutto sommato, che non ne valgono la pena. Sbuffa, maledicendo Bill Sant'Antonio e sperando che stia marcendo nel buco più profondo e puzzolente dell'inferno.
«Quindi, che cosa facciamo?» vuol capire, sperando di smuovere in qualche maniera la situazione.
Cat, quasi in risposta, trae un lungo, lento respiro. «Quanto dista il chirurgo ortopedico più vicino? Dove si trova?»
«Due giorni e mezzo, più probabilmente tre, di norma. Nelle vostre condizioni, anche attendendo qualche giorno ancora per stabilizzarvi, penso che ci vorrà una settimana intera, a voler essere ottimisti. Si trova a New Orleans» spiega Maloney, provando a essere il più obiettivo possibile.
Hutch è sbiancato, ma nessuno lo nota, il dottore troppo occupato a tenere d'occhio il ragazzo, mentre Cat appena sprofondato in un nuovo, meraviglioso buco nero di costernazione.
«E…» tentenna Cat. Avrebbe dannatamente voglia di mettersi le mani nei capelli e urlare, se solo gli riuscisse di muovere le braccia (o se è per quello tutto il suo maledetto corpo traditore) o anche semplicemente alzare il tono di voce a più di uno stentato mormorio. «Supponendo che si riesca a partire da questo posto in tempi accettabili e a recuperare il necessario per il viaggio, voi pensate onestamente che io ci arrivi vivo a New Orleans?»
Di nuovo Hutch sbianca. Sta per saltare in piedi e protestare a viva voce, ma ci ripensa e rimane inchiodato alla sua sedia, attendendo quel che sa essere inevitabile.
Maloney riflette con serietà sulla domanda, soppesando con cura le loro possibilità. Infine si risolve a esprimere il proprio parere professionale. «Non sono in grado di garantirlo in modo assoluto. Posso però assicurare che farei tutto il possibile perché ciò avvenga. E se ciò non dovesse essere sufficiente, rimane l'eventualità di rivolgerci a un buon traumatologo; ve ne sono molti preparati nel paese e alcuni lungo l'itinerario che verrà seguito per giungere a New Orleans.»
Hutch, inutile sottolinearlo, non è per nulla convinto della bontà del piano, né della buona fede del dottore, ma a sorpresa non trova neppure il tempo per manifestare il proprio dissenso. Cat, il respiro un po' troppo affannato per i gusti di tutti i presenti, avanza una richiesta inattesa.
«Potreste lasciarci soli qualche momento, dottore?»
Maloney sussulta suo malgrado e si mordicchia nervosamente un angolo delle labbra, ma infine annuisce, seppur a malincuore. «D'accordo. Sarò in cortile, in caso vi servisse» avvisa, prima di abbandonare la stanza e i suoi due occupanti.
Quando i passi del dottore si fanno più distanti, perdendosi oltre l'uscio, Cat solleva appena il capo dal guanciale, in silenzioso e tormentato ascolto.
«Hutch» soffia in tono urgente.
L'interpellato scatta in piedi e si precipita al suo capezzale, l'ansia nello sguardo e nella voce quando avvisa «Eccomi.»
«Controlla che non sia più nei paraggi. Per favore» mormora in un alito a malapena udibile. «E nel malaugurato caso in cui dovessi trovarlo a farsi gli affari nostri, ti autorizzo a fargli male» sibila gelido.
Il sorriso ferino di Hutch fa il paio con il pericoloso brillio di anticipazione nel suo sguardo. «Ci puoi contare» conferma, quasi tremando per quell'allettante possibilità.
Quant'è che non mette le mani addosso a qualcuno in modo serio? Più di una settimana, oramai, e in quei pochi giorni è stata ben dura impedirsi di infilarsi in qualche bettola ad attaccar briga, anche solo per il gusto di scaricare la tensione. Si rimette in piedi, muovendosi silenzioso per la stanza nonostante la pesante mole, piano socchiude l'uscio, sporgendo la testa con prudenza: nessuno in vista. Scivola con attenzione oltre, facendosi strada attraverso lo studio medico, scrutando con cura ogni angolo. Si blocca, incerto, scorgendo un'ombra muoversi ai margini del suo campo visivo. Lentamente si volta nella direzione del movimento scorto, assottiglia le palpebre e osserva: eccolo, il dottore sta offrendo al cavallo di Bill della biada, fa scorrere una mano sullo scuro manto lucido della bestia, sembra pensieroso. Hutch sbuffa, un po' scocciato per la sfumata scazzottata. Ma il suo morale si risolleva un po' pensando che Cat si riterrà soddisfatto di entrambi: del dottore per non essersi dimostrato un inaffidabile spione, e di Hutch per aver svolto il suo incarico in modo adeguato e senza sgradevoli conseguenze.
Quando rientra nella stanza che ospita Cat, tuttavia, lo ritrova ancora piuttosto agitato e si affretta ad affiancarlo. «Va tutto bene. È con i cavalli» prova a rassicurarlo.
Il ragazzo lascia scivolare fuori un sospiro tremante. «Una volta tanto qualcosa che va per il verso giusto» pondera, non eccessivamente rassicurato ma comunque disposto a offrire il beneficio del dubbio. «Che cosa ne pensi?» chiede, di nuovo a sorpresa in quanto Hutch non si attendeva di essere interpellato al riguardo, non sul serio. Invece Cat sembra molto serio.
«Non mi piace che questo tizio quasi sconosciuto si immischi nelle nostre cose» fa presente un po' scontroso, esternando finalmente i suoi dubbi a suo giudizio più che legittimi. Poi però sospira, apparendo sconfitto. «Ma… Beh, credo che potrebbe fare davvero la differenza. Se ci si può fidare, ben inteso» aggiunge, per nulla propenso a dare l'eventualità per scontata.
Cat lo sorprende ancora una volta, annuendo serio e poi abbozzando un minuscolo sorriso. Uno solo per lui. «Lo so. E mi dispiace.»
«Cosa?» rantola Hutch, preso in contropiede.
«Non sarò di molto aiuto. Anzi, direi tutto l'opposto.» Tentenna, visibilmente incerto. «Se… Se tu non volessi imbarcarti in questa… cosa, sai, lo capirei, e…»
«Non dire fesserie!» abbaia Hutch, zittendolo in modo brusco. «Ti ho già detto quello che voglio. Mi pare di essere stato abbastanza chiaro. O no?»
«Sì, lo sei stato» conferma cauto. «Ma la situazione si fa un po' più complicata di quanto si potesse immaginare da principio e pensavo…»
Ancora una volta, com'era già accaduto meno di una manciata di giorni prima, Hutch lo zittisce posando le dita sulle sue labbra. «Stai sparando stronzate. Ti preferisco quando fai silenzio. E, per favore, smetti di credere che ti mollerò qui a marcire in questo modo. Non c'è nessuna possibilità.» E poi si sofferma a guardarlo, meravigliato, mentre Cat gli regala un altro sorriso, merce rara da parte sua, soprattutto in quei giorni densi di dubbi e dolore.
«È bello sapere che nel caso in cui dovessi rimanere cieco avrò un ottimo cane guida» scherza divertito.
Hutch borbotta, sommergendolo di improperi. Ma le sue gote sono tinte di un vivace porpora e sulle sue labbra e nei suoi occhi permane un'espressione stranamente speranzosa.
