Si sono alzati di buon'ora, la mattina seguente; il sole deve ancora sorgere e ne sembra ben lontano, le stelle ammiccano ai due uomini che, il più silenziosamente possibile, si occupano degli ultimi preparativi prima della partenza. Hanno già attaccato i due grossi muli al timone del carro, mentre i due cavalli verranno legati al retro dopo che avranno caricato il paziente di Maloney.
«Siete certo andrà bene?» domanda per l'ennesima volta Hutch al dottore, nervoso per l'anticipazione del viaggio.
Maloney leva gli occhi al cielo e si impone pazienza. «Abbiamo fatto e faremo il possibile perché vada bene. Il veicolo è ben attrezzato. Ci sono ottime possibilità perché il progetto vada a buon fine.» E francamente si augura che sia l'ultima volta che gli viene richiesta quella rassicurazione, oppure finirà con il prenderlo a pugni, o per lo meno provarci, con la probabile conclusione di finire pesto e dolorante.
«D'accordo. Recuperiamo Cat, allora. Il resto è pronto» conferma Hutch.
Grazie al cielo, riflette il dottore, il quale si sente suo malgrado molto più agitato all'idea di sgattaiolare via alla chetichella piuttosto che riguardo al viaggio di per sé.
Con estrema cautela, dopo essere rientrati nello studio, tornano fuori caricati del relativo peso del ragazzo ferito. L'ansia di Hutch si impenna vertiginosamente scoprendolo molto più leggero di quanto ricordasse.
«Ha perso molto peso» soffia atterrito.
Maloney annuisce pensieroso. «Temo sia normale. La sua muscolatura si è assottigliata a causa del forzato allettamento e il resto lo ha fatto l'ovvio scarso appetito.»
Con delicatezza lo appoggiano al pianale, mentre Hutch monta sul retro. Quando lo risolleva deve serrare i denti per non lasciarsi sfuggire una rumorosa imprecazione. Altro che scarso appetito, è praticamente un dannato fuscello.
«Beh, dobbiamo fare qualche cosa, prima che svanisca nell'aria come un maledetto fantasma» sibila piano, per evitare di svegliare il vicinato.
I suoi movimenti sono molto più attenti del normale, mentre lo adagia all'interno del giaciglio che aveva disposto per lui e sistema le coperte perché lo tengano non solo al riparo dal freddo della notte ma anche protetto dagli scossoni dell'ormai imminente viaggio.
«Sì? A meno che non intendiate ingozzarlo come un'oca da foie gras, in tutta onestà dubito otterrete risultati rapidi e degni di nota prima che si sia ristabilito almeno in parte e abbia ritrovato un minimo di autonomia» commenta sarcastico il dottore.
Hutch ringhia, tentando senza troppo successo di arrostirlo con la sola forza della sua occhiata furiosa. «Come al solito siete assolutamente inutile» sbotta, ammutolendosi un momento dopo essersi reso conto di aver alzato la voce e aver così disturbato il riposo dell'amico. Si piega su di lui, facendo scorrere le dita tremanti fra i suoi capelli arruffati. «Shhh… Va tutto bene. Dormi» mormora gentile. Una volta assicuratosi che l'amico abbia ripreso sonno, si volta verso il dottore, riservandogli un'altra occhiataccia malevola. «Salite su, ora, e controllate che stia bene, mentre lego i cavalli» bercia stizzito, saltando giù dal carro e recuperando i due quadrupedi fifoni che, in fin dei conti, si dimostrano poco lieti di dover riprendere la strada in sua compagnia.
Dopo che il dottor Maloney ha chiuso a chiave il laboratorio per ridurre al minimo il rischio di ruberie e vandalismi vari e, il più furtivamente possibile, ha lasciato il mazzo delle chiavi all'ufficio dello sceriffo (vuoto a quell'ora improponibile), i due uomini sono montati sul carro e, Hutch a cassetta, hanno lentamente imboccato la strada per uscire finalmente dal paese che li ha tenuti in ostaggio per più di tre settimane (almeno un paio di anni, per quanto concerne il dottore, e sono già ventiquattro mesi di troppo, dal suo punto di vista).
Né Hutch né Maloney hanno un'idea troppo precisa su dove puntare, quindi Hutch decide di dirigere il loro veicolo verso il Rio Grande, in attesa che si faccia giorno e che Cat si ridesti per chiarire il loro prossimo percorso. In effetti sia il dottore che l'amico hanno più volte tentato, senza successo alcuno, di carpire qualche informazione rilevante al ragazzo, ma questi è stato una tomba in merito. Non che l'amico ci riponesse molte speranze, ben inteso; in fondo lo conosce da parecchio e sa che nel momento in cui decide di tenere un'informazione per sé ben difficilmente qualcuno riuscirebbe a fargli cambiare idea. Nemmeno quel figlio di buona donna di Bill Sant'Antonio ne è stato in grado, e ci ha pure rimesso la vita, il bastardo. Peggio per lui; è evidente che non ha per nulla compreso in che modo trattare con Cat: con molta pazienza e, se possibile, con altrettanto tatto e dolcezza. Lo sa Hutch cosa accade quando dimentichi una qualsiasi di queste circostanze essenziali, e francamente non ci tiene a ripetere l'esperienza troppo presto, grazie tante.
Un fievole nitrido, da dietro le spalle, lo ripesca dai suoi pensieri, sempre orbitanti attorno a Cat. Si volta indietro e solleva un sopracciglio. «Tutto bene, lì?» si accerta.
«Qui nessun problema. I cavalli però sembrano più eccitati» replica il dottore.
Hutch si guarda attorno, ma non nota nulla di rilevante. A parte… Distende le labbra in un morbido sorriso, quando nota i primi raggi di sole appena affacciatisi sul loro mondo che si riflettono in un rosato scintillio su una lunga striscia all'orizzonte.
«Il fiume è vicino» avvisa, osservando il fluente serpeggiare che si fa più distinto al loro approssimarsi. «Devono aver sentito l'odore dell'acqua.»
«Meglio così. Una sosta non ci farà male, magari accanto a qualche albero» commenta Maloney, stiracchiandosi e avvertendo la schiena rigida protestare per gli scossoni elargiti dallo scomodo veicolo.
Hutch annuisce, senza aggiungere altro, e si rimette comodo sulla panca, senza prendersi la briga di pressare le due cavalcature da traino, tanto non gli darebbero retta.
«Gesù, che tortura» borbotta Maloney, appena sceso dal veicolo, massaggiandosi le reni.
Hutch lo fissa un momento, storce le labbra in una smorfia disgustata e, mentre il dottore si dirige con evidente bramosia verso il corso d'acqua, lui al contrario monta sul retro del carro e striscia verso l'amico, controllandone le condizioni.
«Quel piccolo bastardo. Spero che almeno nel tragitto ti abbia tenuto d'occhio. Se scopro che lo ha passato a lagnarsi e sbuffare gli torco il collo, giuro» bercia in un mormorio appena, poggiando piano il palmo di una mano sulla fronte dell'amico e, fortunatamente, trovandola fresca. Esattamente nel momento in cui sospira soddisfatto sente il ragazzo mugolare debolmente e si lascia sfuggire un breve sorriso. «Cat? Sei sveglio?»
«Pare di sì» soffia l'interpellato, tentando un movimento senza arrivare a ottenerlo.
«Come ti senti?»
«Uno schifo. Ma tutto considerato, non peggio rispetto ai giorni precedenti» commenta con voce affaticata e un po' rauca. «Dove siamo?»
«Accanto alla sponda est del Rio Grande. C'è una radura. Ti porto giù, così puoi stenderti al fresco e rilassarti un poco, se ti va» propone pieno di speranza.
«Mh» tentenna Cat, non completamente persuaso del progetto. «Hai preso verso il fiume in linea retta, da Las Cruces?» chiede di punto in bianco, sorprendendo un poco Hutch.
«Abbastanza, sì. Siamo all'altezza della curva che punta verso sud. Perché?» domanda incuriosito.
«Perché ho bisogno di orientarmi un minimo, se voglio sperare di riuscire a spiegarti che strada seguire» espone con inedita pazienza.
«Adesso?» chiede meravigliato.
«L'idea è quella, in effetti. Ma, a ben pensarci, è meglio seguire il tuo consiglio e scendere da qui.» Riesce quasi a sentire il sorpreso interesse dell'amico. Lentamente, sorride. Una cosetta minuscola e un poco incerta, ma capace comunque di far accelerare bruscamente il battito cardiaco di Hutch. «Suppongo che, in questo modo, potresti trovare più agevole individuare il nostro dottore impiccione prima che si avvicini a sufficienza da origliare le nostre conversazioni. Che ne dici?»
«Dico che mi piace» si entusiasma Hutch, facendo ridacchiare Cat. «Approvato. Andiamo» decreta, allungando le braccia e facendo scivolare con le dovute cautele le mani sotto l'amico, una dietro le spalle, l'altra dietro le ginocchia.
Poi lo solleva, con un po' troppo brio, e Cat geme. «Cazzo» soffia, colto da un capogiro e un violento senso di nausea.
«Merda. Scusa!» esclama, imprecando dentro di sé. «Mi dispiace. Mi dispiace» balbetta costernato, riadagiandolo sul giaciglio con molto più garbo.
«N-non importa» affanna, tentando di riprendere fiato e ricacciare indietro l'improvviso malessere che lo ha investito a tradimento.
«Certo che importa» pigola Hutch, inginocchiato al suo fianco. «Ti ho… f-fatto del male. Sono un vero disastro» mormora mortificato. E vorrebbe accarezzarlo nel tentativo di offrirgli un qualche genere di conforto, ma è abbastanza terrorizzato all'idea di arrecargli ulteriore sofferenza senza nemmeno avvedersene, così resta a distanza, stropicciandosi le mani con gesti spezzati e inconsolabili.
«Non lo sei» mormora lentamente, respirando piano. «A volte sei un maledetto guastafeste e una gran rottura di palle, ma… Posso accettarlo, purché…»
«P-purché?» tituba, indeciso tra l'angoscia per la sua evidente incapacità di gestire i problemi e una timida speranza di potersi riscattare agli occhi dell'amico.
Trae una lunga, profonda boccata di aria. «Purché tu non decida, tutto considerato, di averne abbastanza» soffia piano.
«Abbastanza? Di c-cosa?» chiede incerto.
«Di me.»
Hutch lo fissa, gli occhi grandi spalancati all'inverosimile. Riderebbe, se solo un brivido di orrore non gli avesse appena spezzato il respiro. «No. Forse una volta… Ma era prima. Ora non posso più. Non voglio più» ansima con la gola secca e il ventre annodato dall'inquietudine.
«Ne sei sicuro?» dubita Cat.
«Molto sicuro» ribadisce in tono definitivo. Poi manda al diavolo i suoi timori, si rifà accosto e soffia sulle sue labbra «Non è più in discussione» prima di annullare l'esigua distanza che li separa e posarvi un bacio.
