Il suo povero cuore affaticato salta un battito, due, poi si precipita a rotta di collo fin su in gola. Ansima, in affanno senza aver mosso un dito, mentre avverte fisicamente la perdita di quel minuscolo contatto allo scostarsi lento e attento delle labbra di Hutch. Che cazzo!

«Ti senti bene?» soffia sulla sua gota accaldata quella testa di rapa del suo amico.

E avverte un'irrefrenabile quanto inattuabile voglia di prenderlo a calci, possibilmente lì, nel bel mezzo delle sue gambe ben piantate. Perché, dannazione, come diavolo fa a uscirsene con domande così cretine dopo aver… aver… Ecco, non riesce neppure a pensarlo! Ri-dannazione!

«Fottiti» ringhia allucinato.

«Mh… È un no?» domanda Hutch, tra la perplessità e il divertimento. «O è un invito?» tenta, sprezzante del pericolo.

«Imbecille» soffia livido.

Hutch sospira e leva gli occhi al cielo. «Sì, questo l'hai già detto almeno un milione di volte.»

«E non è cambiato nulla, a quanto pare» lamenta sconfortato. «Almeno potevi avvisare» tenta, facendola quasi sembrare una domanda.

«Tipo che ti mando un telegramma? Sembra scomodo. E poi chi lo legge?» soppesa incerto e un po' imbronciato per l'esito dei suoi sforzi.

«Hutch» ringhia in avvertimento Cat, estenuato.

L'interpellato sospira, abbattuto, e per qualche lungo minuto rimane in silenzio, contemplando l'amico che, piano, riprende una respirazione regolare. «Forse ti ho di nuovo fatto male? Ti giuro che non era quel che volevo…» prova, abbastanza disperato.

«Cosa?» si sorprende Cat. «No, non… Non è questo.»

«Ah. Allora ti ho dato fastidio» decreta tetro, scostandosi e poggiando le spalle sul lato opposto della fiancata del carro. «Scusa» mormora mogio.

«Ma…» trasecola Cat, stordito dalla giostra di eventi che ultimamente lo sta sommergendo. «Ma porca puttana. No! E piantala di mettermi in bocca parole che non ho mai pronunciato» protesta veemente.

«Mh. E quindi, cosa vorresti che ti mettessi in bocca?»

«Hutch!» sbotta, fuori di sé, tentando invano di sollevarsi e crollando di nuovo sdraiato ad affannare frastornato.

«Va bene, va bene. Ho capito: non è il momento» tenta di rabbonirlo l'amico. «È solo che, sai, ora sono guarite e… è davvero, davvero difficile non fissarle e… vagheggiare» prova goffamente a giustificarsi.

«Di che cavolo parli?» scatta, irritato dal non riuscire a seguire i giri mentali dell'amico.

«Delle tue labbra. Sembravano così morbide» pigola, lanciando furtive occhiate alla sua bocca un po' imbronciata e che, piano, si socchiude seguendo lo stupore di Cat.

«Non stai scherzando» realizza spiazzato, mentre le sue gote tornano a imporporarsi.

«Che? Perché dovrei?»

Perché è un pensiero inopportuno, vorrebbe rimarcare. E sbagliato, anche. Ma lo è sul serio, dopo tutto?

«Non capisco» si trova ad ammettere con una certa dose di angoscia.

«Sul serio? Eppure è facile. Voglio dire: l'ho pensato spesso. Però, sai, ogni volta che cercavo di mettere insieme le parole tu mi fissavi con quei tuoi occhi gelidi e affilati, e invece di dire qualcosa di sensato mi ritrovavo a rabbrividire. Solo che ora… beh, lo so che è brutto da dire, ma non puoi ridurmi in briciole con una sola occhiata, così, sai, ne ho approfittato per dirtelo. Ecco. Ma comunque ci avranno già pensato chissà quanti altri a fartelo notare, no?» blatera a briglia sciolta.

«No» esala, dopo lunga e sofferta riflessione.

Hutch sfarfalla le ciglia, interdetto. «No?»

Cat, affatto sicuro di poter ulteriormente trovare la voce necessaria, si limita a scuotere il capo con cautela in un ovvio segno di diniego.

«Oh… Questa è bella» si sorprende più ancora Hutch. «E che cavolo di gente hai incontrato sulla tua strada, fino a ora?» chiede allucinato.

Per un lungo momento non ottiene alcun genere di risposta, ma alla fine sente l'amico schiarirsi la voce con evidente titubanza.

«Non credo ci sia qualcuno interessato a me in quel senso. Perché dovrebbero? Non sono certo una persona degna di nota, in fondo» soffia incerto. «E non mi è mai capitato di… pensarci, suppongo. Avevo grattacapi più urgenti» termina teso.

Hutch lo osserva a lungo, rannicchiato nel suo lato del carro, e infine scuote la testa, stranito. «Che cumulo di sciocchezze racconti. Non posso credere all'idea di te che passi inosservato quando entri in un paese o in un locale… Beh, a meno che non ci entri passando dai tetti come fai spesso» sorride indulgente.

Cat sbuffa e una volta di più le sue guance si tingono di un rosa accaldato. «Non passo sempre dai tetti» sibila fra i denti. «Solo se sto provando a non farmi ammazzare mentre cerco qualcosa, o qualcuno.»

«Giusto. Certo» annuisce divertito. «Ma non preoccuparti: anche quando fai il gatto sai essere affascinante» decide di rassicurarlo a suo modo.

L'amico non è certo di desiderare un tal genere di rassicurazione, in effetti. Per quale motivo, ora, gli sta parlando in quel modo? Per quale ragione sembra deciso a informarlo del suo interesse? Non è come se ne sentisse realmente il bisogno. Nessuno, in precedenza, se n'è mai dato pensiero. Cos'è cambiato, adesso? Forse lui stesso sta cambiando, e non per sua scelta.

«Perché mi dici questo?» mormora, non potendo evitare di far uscire la domanda con un tono spaventato.

Hutch aggrotta la fronte, avvertendo qualcosa di strano nella voce dell'amico. Sembra quasi panico, ma non avrebbe nessun motivo per temerlo, giusto? Decide allora di dargli una risposta, non sapendo bene in quale altro modo potergli essere di aiuto.

«Perché parlavi di te stesso nel modo sbagliato. Non ho idea di che razza di persone ti sia capitato di incontrare, ma è certo che non hanno capito niente di te. Tu sei intelligente, pure troppo certe volte, e astuto, anche. Sei veloce, ogni tanto più di quanto sarebbe umano credere, e agile, proprio come un gatto. E sei bello, ma lo sei sul serio: con quelle tue mani eleganti che distraggono quelli che giocano a carte al tuo tavolo, e pure agli altri in effetti; e gli zigomi alti, e gli occhi che fanno tremare le ginocchia, e… Dio, quelle labbra, dovrebbero essere illegali» affanna, fissandole con bramosia e deglutendo più volte.

Nel mentre Cat boccheggia, bloccato nel suo giaciglio senza potersi muovere con agio, impossibilitato a sfuggire a quella situazione del tutto inattesa. Un piccolo gemito di costernazione sfugge alla sua gola secca e si perde nel silenzio teso all'interno del carro, investendo Hutch e facendolo rabbrividire con violenza.

«Non hai mai detto nulla del genere, prima» mormora, agitato.

«Non sono mai riuscito a trattenerti nello stesso posto abbastanza a lungo da raccogliere il coraggio necessario» controbatte Hutch, ancora strettamente raggomitolato nel suo cantuccio ma con lo sguardo fisso sull'amico.

«E ora?» indaga allarmato

«Ora nulla» decide di tranquillizzarlo. «Volevo solo fartelo sapere. E poi non riesco a sopportare quando usi brutte parole su di te. Puoi farlo con me, ci sono abituato e lo so che sono uno stupido disastro, ma non…»

«No.»

Le ciglia di Hutch sfarfallano ancora una volta con frenesia sui suoi occhi sorpresi. «Che cosa?»

«Non… n-non lo sei. In verità sei l'unica persona di cui mi fidi, almeno un poco» soffia, tremando per l'angoscia.

Hutch trattiene il fiato, gli occhi grandi e sconvolti che provano a vederlo ma riescono solo a fissare nel vuoto. «Io… sbaglio sempre. Non faccio che commettere errori. E ora, per colpa mia, stai male e…»

«È di tutti e due, la colpa. Non solo tua. Ci sono fatti di cui non eri a conoscenza, e che ancora adesso non sai con esattezza. Non posso scaricare su di te tutta la responsabilità, quando ho scelto di non parlarti, di lasciarti indietro.»

«Ma adesso sono qui» esclama con la convinzione di non avere nessuna intenzione di allontanarsi.

Cat abbozza un sorriso faticoso e annuisce. «Sì. E ti sono riconoscente per questo.» Piano, inspira una lunga boccata di ossigeno e la rilascia sentendosi più sollevato. «Ora, credo mi farebbe piacere quella piccola gita sull'erba che avevi in mente prima.»

«Se stai meglio…» tituba, ancora spiacevolmente memore del loro primo tentativo e del suo plateale fallimento.

«Sì» conferma Cat in tono tranquillo. «Ora va meglio.»

Hutch annuisce, si avvicina e abbassa un momento le palpebre per calmarsi, prima di raccogliere con cura l'amico fra le braccia e, finalmente, condurlo fuori.