Non è ancora completamente desto quando apre gli occhi di scatto e afferra un braccio nella morsa delle sue dita. Un basso ringhio vibra nella sua gola.

«Sono sempre Maloney. Nel caso intendiate rompermi il braccio, vi ricordo che potrebbe tornare utile in un futuro molto prossimo.»

Sfarfalla le ciglia, tentando di mettere a fuoco la situazione, e si ritrova davanti l'occhiata perplessa e in parte divertita del dottore.

«Uhm… Scusate» biascica, rilasciando la presa e liberando in quel modo Maloney.

«Nulla di male» assicura con un piccolo sorriso, e torna al suo lavoro, ovvero studiare le condizioni attuali del suo paziente. «Direi che c'è un netto miglioramento. Sconsiglio di esporlo a ulteriore freddo e umidità, per i prossimi giorni, ma sembra proprio che la febbre sia passata.»

«È già mattina?» domanda titubante Hutch, spostando l'attenzione dal dottore a Cat e viceversa.

«Il sole sta sorgendo proprio in questi minuti. Tuttavia ritengo sia più opportuno attendere ancora un giorno, prima di riprendere la strada.»

Annuisce, pensieroso. Non aveva comunque intenzione di ripartire. Cat è troppo debole, il viaggio lo sfinirebbe. Ancora solleva lo sguardo sul dottore, che sembra invece già abbigliato di tutto punto per un'uscita.

«Andate da qualche parte?» inquisisce sospettoso.

Maloney si stringe nelle spalle. «Solamente a sgranchirmi le giunture. Devo confessarvi che non fa molto bene neppure a me l'umidità. Che poi è il motivo per cui mi sono lasciato persuadere a venire qui, in questa specie di deserto.»

«Invece da dove venite?»

«Portland. Quello nel Maine, non nell'Oregon. Ci fa freddo lì, un sacco; piove parecchio, e nevica anche, quindi è umido la maggior parte del tempo. Ma negli ultimi due anni ho imparato la lezione: mai lamentarsi delle proprie condizioni, se non si è certi di potersene permettere di migliori.»

Hutch non può fare a meno di sorridere. Annuisce e gli sfugge uno sbadiglio rumoroso. «Ah, chiedo scusa. Non ho dormito molto» si giustifica, effettivamente assonnato.

«Comprendo. Avete però un po' di tempo per riposare, ora. Vi lascio, vado a camminare. Nel caso mi cercaste… probabilmente mi ritroverete in qualche crepaccio, o sepolto nel fango seccato» pondera mezzo serio.

Ciò detto Maloney scende dal carro, e Hutch sospira e scuote la testa, riflettendo che, chissà, forse se lo sono perfino meritato un dottore di quella risma. Non sono certo mai stati dei santi, però nemmeno gentaccia come il maledetto Bill. E ora sono di nuovo bloccati in un posto senza potersi affrancare. La settimana abbondante di viaggio preventivata inizialmente era una pianificazione molto ottimistica. Sarà già una fortuna se riusciranno a raggiungere la prima stazione ferroviaria per la Louisiana nei prossimi quattro giorni. Scuote la testa di nuovo, sconfortato, e di questo passo gli verrà di certo il torcicollo.

Un ansito strozzato lo riporta bruscamente al presente. Di riflesso stringe le braccia attorno alle spalle del ragazzo e, con sua grande costernazione, Cat tenta visibilmente di divincolarsi.

«Cat… Calma, sono solo io. Sono Hutch. Non c'è pericolo» mormora delicato, senza lasciare la presa ma cercando di non stringere troppo nel timore di fargli male.

«Nh! Hu-Hutch?» soffia, rabbrividendo contro di lui.

«Esatto. Respira, ora. Calma… Shhh

«Cosa…» tenta, deglutendo con fatica. Spinge la fronte contro il collo di Hutch, mentre tenta visibilmente di regolarizzare la respirazione. «Cos'è accaduto?»

Hutch non è sicuro di cosa voglia sapere. Se del carro bloccato nel fango, oppure della febbre. Prova quindi a fare un riassunto degli ultimi accadimenti, utilizzando il tono più pacato che gli riesca di imbastire.

«La pioggia è venuta giù a catinelle. Il carro ha una ruota mezza sepolta in una buca piena di fango. Il dottore è cascato con il culo più o meno nella stessa buca. Poi ti è venuta la febbre… O magari nel frattempo, non l'ho ben capito perché ero impegnato a cercare di tirar fuori il carro dal guaio in cui era finito. E non ci sono ancora riuscito, tra l'altro. Ora siamo un pochetto bloccati qui. La tua febbre è andata, per fortuna, ma io e il dottore preferiamo aspettare che tu sia più in forze per riprovare a rimettere in strada questo dannato marchingegno. Magari posso legare i due cavalli al carro e costringerli a tirarlo fuori, ora che ci penso.»

Sta già apprestandosi ad aggiungere ulteriori amenità, quando viene bruscamente riportato all'ordine da un violento tremito di Cat.

«Stai… stai bene, Cat?» Come al solito parole a vanvera, le sue. Chiaramente non può stare bene, altrimenti non starebbe tremando come una foglia contro il suo petto.

«Cosa sto diventando?» mugola smarrito. «Una p-persona debole, incapace di reagire. Inutile.»

«Cat, no. Sono sciocchezze, queste. Sei semplicemente stanco. Hai bisogno di riposare e tornare in forze. Non sei debole, Cat. Non lo sei. Capito?»

«Ho la sensazione che… tutto scivoli via. Che non potrò mai più tornare a… a vivere davvero.»

Un brusco singhiozzo fa sussultare il suo fragile corpo nella stretta di Hutch. Poi accade qualcosa che lo destabilizza più di ogni altra: Cat sta piangendo. Piccoli singulti appena accennati, ma Hutch ha le mani posate proprio fra le sue scapole e non può fare a meno di avvertirli. Com'è potuto accadere? Lo conosce da quando era un ragazzino pelle e ossa, e anche allora il massimo che lo potesse cogliere era di raggomitolarsi in qualche angolo ombroso con l'espressione altrettanto ombrosa. Hutch sì, lui ha sempre avuto una certa scomoda tendenza a essere piagnucoloso in certe situazioni delicate. Mai Cat. Eppure ora tutto sembra essere finito sottosopra e non sa più cosa pensare, né tantomeno cosa fare per rimediare.

«Tu non sei debole, Cat. Né fragile. Tra tutte le persone che ho incontrato nella mia vita, tu sei quella più coraggiosa e determinata.»

«M-ma…» ansima, tirando su col naso.

«No, niente ma. Tu dici di essere debole, ma sei ancora vivo, Cat. Nessun altro, dopo quel che è accaduto, sarebbe ancora in giro a parlarne. Pure il dottore, la mattina dopo, era sorpreso che respirassi ancora. Eppure lo hai fatto. E lo sai il perché? È semplice: perché non avevi intenzione di arrenderti. Potrei star qui a elencarti centinaia di altre occasioni in cui hai dimostrato di avere il coraggio di andare avanti, di fare quel che era necessario. Se ora ti senti demoralizzato non è perché hai perduto il tuo valore. Stai semplicemente male, fisicamente, e il dolore e la fatica ti portano a pensare di essere debole anche di spirito. Ma non è così. Io lo so. Ti conosco da troppo e so che non lo sei.»

Si zittisce, infine, e rimane steso ad ascoltare l'affannoso respirare di Cat, il cuore dolorante a causa del tormento che sta passando l'amico. Che altro può fare? Non ne ha idea, così continua a stringerlo a sé con delicatezza e ad attendere che la sofferenza si esaurisca a sufficienza da lasciarlo riposare tranquillo. E quando infine accade, quando il respiro di Cat torna docile e il suo corpo si rilassa, Hutch trae un sospiro di momentaneo sollievo, aggiusta le coperte sopra di loro, posa le labbra sulla sua fronte e chiude gli occhi, sperando di dimenticare, per lo spazio di qualche ora, l'orrore di quei giorni.