«Sembra che stiano guarendo» propone Hutch, osservando con concentrata attenzione le mani di Maloney muoversi precise per medicare gli occhi del ragazzo.
Il dottore emette un piccolo sospiro. «Esternamente sì. La pelle sta tornando sana, presto le ciglia ricresceranno infoltendosi. Tuttavia il danno peggiore è interno, e per quello non posso fare molto. D'altra parte, se ci provassi, con molta probabilità riuscirei solo a complicare tutto. Ma in effetti credo che tra non molto potremo interrompere le medicazioni» ragiona cauto.
Hutch ha le labbra strette nella sua frustrazione per non poter fare di più al fine di migliorare lo stato di salute dell'amico. I suoi polpastrelli sfiorano gentilmente le dita di Cat, adagiate tra le lenzuola candide.
«Le sue mani?» inquisisce, incerto.
«Credo sarà necessaria almeno un'altra settimana. È più prudente attendere che le sue piccole ossa si siano completamente saldate prima di permettergli di utilizzarle liberamente.»
Hutch si imbroncia, contrariato, ma infine annuisce.
«Vogliamo svegliarlo, signor Bessy? È tempo che mi occupi della corretta riabilitazione delle sue spalle.»
«Bene. Poi lo convincerò a mangiare qualcosa.»
«Vi auguro buona fortuna.» Sogghigna, vedendo la sua espressione rabbuiata, per non dire oltraggiata. «Non fraintendete: spero sul serio che riusciate felicemente nel vostro intento, ma visti i precedenti non posso darlo per scontato.»
«È testardo» conviene Hutch. «Ma, vedete, lo sono parecchio anch'io.»
Maloney ridacchia e annuisce concorde. Infine si dedicano a ridestare il ragazzo e a tentare di farlo tornare in buona salute.
«Vi odio» rantola Cat, tremando vistosamente. «Tutti e due.»
In qualche modo è riuscito a sopravvivere a Maloney che lo ha tirato e torto e frizionato per oltre un'ora, e anche a Hutch che ha rischiato di strozzarlo nel tentativo di fargli ingerire più cibo di quanto fosse effettivamente in grado di ingoiare.
«Questo non è vero!» protesta Hutch, offeso.
«Altroché se lo è. Se solo ci vedessi, a quest'ora avreste entrambi una graziosa lama conficcata in mezzo agli occhi» bercia, mentre tenta come può di ritrovare una respirazione regolare, nonostante si senta tutto fuorché regolare.
Imbronciato e scontento, Hutch prova una volta ancora a difendere i loro sforzi. «Ma abbiamo fatto del nostro meglio per…»
«Se lo avete fatto, ebbene, io non l'ho notato» lo interrompe senza mezzi termini Cat. «E per inciso, sono praticamente fottuto, se è davvero questo il vostro meglio» tiene a precisare asciutto.
«Suppongo che potremmo migliorare» pondera Maloney, crucciato.
Cat sbuffa e, con cautela, scuote la testa. «Se pensate sul serio di poterlo fare, in tal caso mi auguro che sia prima che io rischi di lasciarci la pelle, di nuovo.»
Se Hutch fosse davvero un canide avrebbe a quel punto le orecchie basse e la coda fra le zampe, nonché gli occhi grandi e lucidi di pentimento. Oh, giusto, questi ultimi effettivamente li ha.
«Scusa» mormora contrito.
Il dottore, lì a fianco, sta per dare fiato ai polmoni, con buona probabilità a sproposito, complicando ulteriormente la situazione, ma Hutch lo anticipa, afferrandolo saldamente per un gomito e sospingendolo fuori dal carro in modo sbrigativo, guadagnandosi fra le altre cose un'occhiataccia che non lo scalfisce neppure di striscio.
«Ecco fatto» esclama soddisfatto all'indirizzo di Cat. «Se vuoi, posso… uhm… togliere il disturbo anche io» propone titubante.
«Preferirei di no» replica con voce stanca. «Ultimamente stare da solo non mi dà le stesse soddisfazioni di una volta» ammette, appena un poco recalcitrante.
«Magari perché ancora non puoi fare quello che ti pare» pondera verosimilmente Hutch, ricevendo un cenno di assenso a conferma.
Hutch lo sa piuttosto bene che, normalmente, Cat di preferenza ama trascorrere il tempo in solitudine, vagando per il paese dove, quando e come più gli aggrada. Ma è bloccato a letto e non può far nulla di tutto ciò. Dev'essere molto frustrante, in effetti.
«Mi dispiace che ti abbiamo fatto incazzare» prova, cauto.
«Lo so. Come so che, dopo tutto, non è solo vostra la colpa. Sono… irritabile. Più del solito, per lo meno.»
Hutch sorride, riflettendo su quelle parole. Cat non ha mai avuto un carattere facile. Perde la pazienza molto velocemente. Magari non ti grida addosso come farebbe una qualsiasi altra persona comune, ma è sufficiente una delle sue famigerate occhiate glaciali per capire con chiarezza quanto è contrariato. Ora che non può sfruttare quel monito silenzioso, è evidente che abbisogna di un'alternativa accettabile, e l'unica che sia attualmente nelle sue possibilità è quella di usare parole intrise di veleno. E, diavolo, anche in quell'attività è un vero maestro.
«Dove ci troviamo?»
Si siede a terra accanto alle gambe di Cat, prima di dargli una risposta. «Ieri sera abbiamo passato Sonora. Mancano, credo, centocinquanta miglia circa per raggiungere la stazione ferroviaria.»
Solleva lo sguardo, attirato da un fruscio e un movimento ai margini del suo campo visivo. Le dita della mano sinistra di Cat si tendono appena oltre il bordo in legno del suo giaciglio. Raddrizza la schiena, allunga un braccio e le sfiora piano.
«Il dottore dice che fra una settimana circa potrai usare di nuovo le tue mani.»
Un piccolo gorgoglio lo sorprende. «Almeno non dovrò rischiare oltre di soffocare nel cibo.»
Hutch sbuffa piano. «Non ti ho soffocato. Volevo solo che tu mangiassi qualcosa in più di quel che ingoiano i passerotti, o finirai per pesare meno di loro.»
«Ne dubito. È fisicamente impossibile…»
«Cat» sibila Hutch a monito. «Lo sai che era una battuta. Ma non cambia il fatto che stai diventando troppo magro» puntualizza seccato ma più di tutto preoccupato.
«Non ho molta fame» prova a giustificarsi, nonostante sembri piuttosto fiacca anche a lui.
«Questo lo posso ben vedere da me, grazie. Cat, non possiamo attendere che la tua gamba sia guarita. Per allora saresti già uno scheletro da un bel pezzo. Quindi, per piacere, ho bisogno che tu metta qualcosa di sostanzioso nello stomaco, fame o non fame.»
«Sì, mamma» borbotta piano.
«Cat!»
«Ti supplico, non gridare» protesta in un soffio.
«Come faccio a non gridare, se mi fai imbestialire?» rimbrotta teso. «Cat» riprova, abbassando il tono di voce. «Ti prego. Non puoi arrenderti adesso. Possiamo risolvere tutto, ora. Devi solo… solo avere un poco di fiducia.»
«È solo che… sono così stanco» mormora.
I suoi occhi sgranati lo fissano con terrore. Il suo petto si stringe in una morsa dolorosa. Piano, allunga una mano e la posa sulla sua fronte liscia e pallida.
«Lo so» mormora scosso. «Ma non ti illudere che questo mi convincerà a lasciarti in pace. Te l'ho già detto: ho un obiettivo, e tu ne fai parte. Anzi, direi che sei il punto di partenza, il percorso e il punto di arrivo di tutto quanto.»
Un soffice sbuffo fa vibrare le labbra di Cat. «Dà l'impressione che i tuoi confini siano piuttosto limitati» scherza senza troppo impegno.
«Al contrario» lo corregge indulgente. «Ma avrai modo di scoprirlo, se il mio progetto andrà in porto.»
Chissà perché, quelle ultime parole hanno tanto l'aria di una minaccia alle orecchie di Cat.
