«Nh!»

«Scusate. Vi ho arrecato molto dolore?»

«Se non lo aveste fatto, in questo momento non starei progettando per voi una morte lenta e crudele» ribatte, con il fiato corto a causa dell'ultima sessione di riabilitazione che, a suo modesto parere, ha più i connotati di una tortura medievale in piena regola.

Maloney tenta una protesta, ma si astiene alla vista di Hutch che si è appena chinato su di lui con una luce poco rassicurante nello sguardo.

«Lasciate a portata di mano il vostro unguento e sloggiate» consiglia, facendola assomigliare tanto a un'intimidazione.

Il dottore coglie al volo l'avvertimento e si affretta a togliere il disturbo così come richiesto in modo tutt'altro che cortese dall'uomo.

Una volta scomparso oltre il telo che chiude il retro del carro il loro dottore depravato, Hutch recupera il piccolo barattolo in vetro dallo scomparto del baule e scivola accanto al ragazzo.

«Come ti senti?»

«A pezzi» soffia piano. «Spero… ecco, che almeno serva a qualcosa, perché fa parecchio male» confessa mortificato.

Hutch sospira angosciato e annuisce. Accarezza la sua tempia in punta di dita, poggia il piccolo contenitore sulle coperte, leva il tappo di sughero e un persistente profumo di erbe e oli si spande per l'angusto ambiente. Con sua sorpresa le labbra di Cat si arricciano in un piccolo sorriso.

«Cosa?» chiede in un soffio incuriosito.

«Mh? Oh, nulla. Quell'odore. Anticipa qualcosa di positivo. Per questo ho l'impressione di star già meglio. È una questione mentale, suppongo. Un po' come quando lo sento farsi vicino e inizio ad avere la tremarella prima ancora che mi sfiori.»

Gli angoli delle labbra di Hutch curvano repentinamente verso il basso alla consapevolezza che Cat sia costretto a sopportare tutto quello. Come se non avesse già dovuto soffrire a sufficienza prima. Si piega su di lui e posa le labbra sul suo zigomo spigoloso. Quando si scosta la sua pelle è tinta di un rosa più acceso. Sorride soddisfatto e si mette al lavoro per alleviare le pene dell'amico.

«In quanto tempo giungeremo a San Antonio?» si informa Cat, mentre Hutch sta rimettendo in ordine i medicamenti.

Quest'ultimo interrompe un momento il compito di sistemazione e si sofferma a riflettere sulla domanda postagli.

«Credo, se non ci saranno intoppi, che ci arriveremo dopodomani. Ma non ti illudere. Per una volta sono d'accordo con Maloney: ci prenderemo un paio di giorni perché tu possa riposare in santa pace senza strade sterrate e altre cazzate simili.»

Cat, visibilmente sconvolto, per un attimo scorda di essere bloccato a letto e tenta di sollevarsi in protesta, salvo ricadere disteso un momento dopo, affannando per l'inutile sforzo.

«Stai scherzando? Due giorni!» lamenta costernato.

«Due, sì» conferma Hutch, suo malgrado divertito dalla reazione per una volta prevedibile dell'amico. «Ehi, a meno che tu non te ne voglia prendere tre o quattro.»

«Non dire fesserie. Non se ne parla proprio.»

«Oh, beh, era solo per sicurezza. Sai, non si può mai esser certi di quel che pensi» lo prende beatamente per i fondelli.

«Che bastardo» bercia Cat, per nulla rallegrato dalle ultime novità.

«Chi? Io o Maloney?» si informa allegro.

Cat ci pensa su un momento. «Tutti e due» decreta senza appello.

«Ah, ecco. Volevo ben dire.»

«Cat?»

«Che c'è?» prorompe Cat, ancora seccato per le recenti, infauste novità che lo hanno messo parecchio di malumore, come può ben notare Hutch.

Sospira. «Sei arrabbiato» commenta in tono pacato e un poco triste.

«Sono contrariato» lo corregge Cat. Poi sbuffa. «E lo so che alla fine è colpa mia se serve attendere ancora.»

«Cat. Smetti immediatamente di farlo» sibila Hutch.

Le sopracciglia del ragazzo si arricciano di perplessità. «Smettere di fare cosa?»

«Di avere cattivi pensieri su di te. Sai che non lo sopporto» chiarisce.

«Beh, non è certo una scelta a vostro favore. Oggettivamente, anche se la decisione non è mia, dipende comunque da me. Quindi…»

«Quindi basta» lo interrompe Hutch.

Cat lo sorprende ancora una volta con un sorriso inaspettato. «Non ricordavo fossi tanto prepotente.»

Sbuffa. Scuote la testa. Sospira arreso. «Infatti non lo ero. Ma se devo proteggerti, allora posso diventarlo.»

Cat si volta nella sua direzione. Non lo può vedere, ma il gesto è spontaneo e non riesce a impedirselo. «Proteggermi da cosa?»

«Qualsiasi cosa. Al momento da te.»

«Da me?» si sorprende. «Mi stai dicendo che stai cercando di difendermi da me stesso?»

«Proprio così» conferma sicuro.

«Ma se non riesco neppure a spostarmi. Se anche volessi buttarmi giù dal letto non ne sarei in grado (e comunque dubito riuscirei ad ammazzarmi… Quanto sarò in alto? Quindici pollici?)»

«Venti. Ma non è questo il punto! Dannazione.» si imbestialisce ancora una volta Hutch.

«Va bene. Qual è, dunque, il punto?»

«Che non ti serve muoverti per ammazzarti. Cristo, non lo vedi che devo bisticciare con te ogni volta che è ora di pranzare? Se lasciassi fare a te saresti già morto di stenti. Per non parlare della tua tendenza a incupirti. Sì, va bene, pure prima eri ombroso e diventavi intrattabile a giorni alterni, ma ora… Merda, hai più sbalzi d'umore di una donna incinta.»

«Ok» replica solo, asciutto.

«Cat» ringhia Hutch, a un passo dal perdere definitivamente le staffe. «Non è ok un bel niente, cazzo. Ho bisogno che mi aiuti se vuoi che io aiuti te.»

Le sue labbra si schiudono, dubitative. «Cosa?»

«Non posso proteggerti se tu non vuoi che lo faccia. Non capisci? E io non voglio che ti succeda null'altro di male. Non voglio perderti, Cat.»

Deglutisce con fatica, turbato. «Credo… c-credo di capire. Solo che… Hutch, io sono già perso. O almeno, è in questo modo che mi sento» prova a spiegare, sapendo di non esserne completamente in grado.

«Lo so» ammette Hutch. «L'ho capito. Ma, vedi, è proprio questo che sto cercando di fare: ritrovarti e riportarti indietro. Puoi aiutarmi?»

Cat affanna sommerso dall'incertezza che, da diverso tempo, lo sta soffocando. Ricorda, confusamente, che già molto tempo prima si era sentito in una maniera molto simile. Solo, ha difficoltà a rammentare in che modo era riuscito a uscirne. Allora prova a concentrarsi, a radunare tutte le sue striminzite energie per frugare in sé e ripescare quell'informazione, quel piccolo ricordo di così tanto tempo prima. Minuscole goccioline di sudore imperlano la sua fronte a causa dello sforzo richiesto, impensierendo Hutch che lo sta osservando, tentando di capire in che razza di pensiero è invischiato. E poi, infine, lo afferra e ansima, sconvolto e stupito insieme.

«Earp»