Hutch sgrana gli occhi a quel suono inatteso, e poi li spalanca più ancora allorché nota che Cat si sta muovendo, all'apparenza con l'intenzione di spostarsi.
«Cat? Che cosa…»
«Eri tu» soffia con voce traballante.
Le sue dita si ancorano alle coperte. Serra la mascella, fa perno sui gomiti e un gemito d'agonia vibra nel suo petto.
«Cat, ti prego. Così ti farai del male» prova a protestare Hutch. Vorrebbe afferrarlo e costringerlo a tornare sdraiato, ma teme di potergli arrecare dolore stringendolo con troppa forza, così attende ancora, cercando di capire che cosa stia capitando all'amico.
Nel frattempo Cat è riuscito a stendere un braccio, ritrovandosi per metà seduto. Un suono rauco scivola nella sua gola e sfugge alle sue labbra assottigliate nello sforzo. Ansima affaticato ma, infine, è in grado di mettersi correttamente seduto. Più o meno. E ha l'impressione che ogni singola fibra muscolare del suo corpo tremi, a un passo dal cedere. Si arrischia a lasciare la presa della mano sinistra sulle coperte, solo per un breve istante, e in cambio fa scattare in avanti il braccio e si aggrappa alla camicia di Hutch, mossa che gli provoca un ansito strozzato a causa del movimento repentino. Oh, è decisamente lontano anni luce dalla sua passata agilità. Ma al diavolo, il suo minuscolo obiettivo odierno lo ha comunque raggiunto.
«C-Cat?» gli giunge la voce interdetta e intrisa di preoccupazione di Hutch.
Sorriderebbe, se gliene fossero rimaste le energie. Ma allo stato attuale dei fatti le sta usando tutte quante per rimanere fermo in quella scomoda posizione. Dovrebbe anche dire qualcosa, a quel punto, ma il suo cervello è bloccato in una sorta di circolo senza fine che lo riconduce sempre a un unico, ossessivo pensiero.
«Eri… eri tu, quella… volta. E adesso.» Deglutisce. La sua mano stretta alla camicia di Hutch trema. Il polso della mano ancora aggrappata alle coperte duole terribilmente.
«Non capisco. Cosa vuoi dire?»
Frustrante. Così maledettamente difficile. Un gemito di disperata sofferenza sfugge al suo labile controllo.
«Sei… s-sempre» boccheggia, senza fiato. Stringe i denti. Trae una dolorosa boccata di aria. «Sei sempre stato tu. Allora. Adesso» tenta di fargli comprendere, nella voce una marcata nota di disperazione per non essere apparentemente in grado di spiegarsi con la dovuta chiarezza. Un grido strozzato, che forse è rimasto imprigionato nella sua testa senza trovare il modo di uscire. Ringhia impotente, e poi sospira, sorpreso, in parte placato, avvolto dal rassicurante tepore delle braccia di Hutch.
«Basta. Ora calmati, è tutto a posto» mormora la sua voce.
«Ero… p-perso. E poi tu mi hai ritrovato. Allora non lo sapevo. Non potevo fidarmi. Non ancora. Ma c'era qualcosa che mi… sussurrava. E sono rimasto. Perché tu eri differente. Forse potevo credere che… che tu…»
«Cat» sussurra piano, facendo scorrere con dolcezza le dita fra i suoi capelli, sfiorando con la punta del naso la sua tempia umida di sudore.
«Potevo sperare che ti importasse» soffia, fremendo contro il suo petto.
Hutch annuisce, finalmente comprendendo. «È così. Mi importava di te allora. Mi importa di te adesso, più che mai. Farò in modo di riportarti da me» afferma con decisione.
Butta fuori un tremulo respiro, sapendo di averlo raggiunto, in qualche modo. Le sue dita perdono la presa, scivolano piano sulla sua camicia. Poggia il capo sulla sua spalla e la sua coscienza si sfilaccia, mentre cede al languore del sonno.
Annuisce di nuovo, posa le labbra sulla sua fronte ancora leggermente umida e, con delicatezza, lo riadagia sulle lenzuola spiegazzate. «Dormi bene» mormora al suo orecchio, prima di allontanarsi alla ricerca del dottore depravato.
«Osate anche solo pensare che sia folle, e allora vi rassegnerete a dire addio ai vostri denti e a mangiare semolino per il resto dei vostri giorni» lo minaccia senza mezzi termini, scorgendo un'occhiata perplessa di Maloney dopo che gli ha più o meno riassunto l'ultima, sofferta chiacchierata con Cat.
Il dottore si affretta a levare le mani in segno di pace. «Sono innocente!» proclama teatrale. «Tuttavia devo ammettere che molti particolari mi sfuggono. Probabilmente accade perché non sono al corrente di molti dei vostri retroscena» insinua con un sogghigno che irrita a morte Hutch.
«Purtroppo per le vostre speranze, dovrete rinunciare a saperne di più. A meno che non sia Cat a volervene parlare. Più probabile una gara di sci alpino a Los Angeles, se volete la mia opinione.» Soddisfatto, si gode l'espressione delusa del dottore. Quell'uomo avrebbe dovuto occuparsi di giornalismo, magari cronaca rosa. «Doc, che cosa, nella frase "fatevi i cazzi vostri", vi era sfuggita? Non credo che sia essenziale che voi vi impicciate degli intrallazzi della gente per fare il vostro lavoro. O sbaglio?»
Maloney si stringe nelle spalle, con un'occhiata in parte imbarazzata. «Mi spiace. Lo so che a volte irrita il mio atteggiamento. Ho sempre avuto questa curiosità verso le storie altrui.»
«E allora perché non avete fatto il biografo o qualcosa del genere?»
«Perché sono un disastro totale con la scrittura» ammette demoralizzato.
Hutch reclina il capo, incuriosito. «Volete dire che ci avevate provato?»
«Più o meno» borbotta, schiarendosi la voce. «Ero al college. Ma è stato un fiasco.»
Ha un'espressione infelice ben evidente, così Hutch decide di evitare di indagare oltre e torna sui binari della loro conversazione originaria. «Quindi, cosa ne pensate di Cat? Voglio dire, a parte il fatto che vi sono oscuri i nostri discorsi. Non credete che, magari, possa essere un segnale positivo il suo tentativo di… fare qualcosa?» propone speranzoso. È ancora molto impressionato dal fatto che sia riuscito, tutto da solo, a mettersi seduto. Certo, poi è crollato a causa della fatica, ma la buona volontà ce l'ha sicuramente messa.
«Il "fare qualcosa" di cui parlate, credo fosse un modo per attirare la vostra attenzione, diciamo raggiungere la vostra coscienza e farvi arrivare un messaggio. Che poi, da quel che posso capire, è correttamente giunto a destinazione. Dico bene?»
«Certo che sì. Forte e chiaro» conferma, abbozzando un sorriso contento.
Maloney risponde di buon grado a quella aperta manifestazione di lieta soddisfazione. «Bene. In ogni caso mi trovo a essere d'accordo con il vostro giudizio. La sua decisione di agire, in qualche modo, denota una certa presa di coscienza, o per meglio dire, ripresa di coscienza. Quindi sì, è certamente un fatto positivo e che ci dà qualche buona speranza che la situazione possa migliorare così come il suo stato psico-fisico.»
«Grande!» esulta emozionato. «Oh, dimenticavo: gli ho detto dei due giorni di riposo dopo che avremo raggiunto la stazione di San Antonio» lo aggiorna.
«Umh, e come l'ha presa?»
«Ehm… In effetti non molto bene. Diciamo che era un poco irritato dalla notizia» ammette imbarazzato.
«Che vuol dire che, potendo, vi avrebbe strappato gli intestini e vi ci avrebbe impiccato» traduce Maloney.
«Già» sbuffa Hutch, facendo roteare gli occhi. «Ma non lo può fare» si rallegra.
«Non ancora» lo corregge il dottore, facendolo apertamente rabbrividire.
