«Avete intenzione di torturarmi di nuovo?»

Maloney storce la bocca in una smorfia amara. «Non l'ho mai avuta, perché voi lo sappiate.»

«Meraviglioso. Peccato vi siate impegnato sempre molto poco per raggiungere il vostro scopo» fa presente. «Comunque sia, fate ciò che dovete. Immagino che saprò sopravvivere, in qualche maniera.»

Si sente abbastanza avvilito per gli scarsi risultati dei suoi sforzi. Sa di avergli procurato sofferenza in svariate occasioni. Non era né ciò che voleva, né tantomeno ciò che auspicava. Si è perfino reimmerso in studi approfonditi riguardo la riabilitazione motoria, perché può darsi che le sue memorie di quanto appreso al college non fossero limpide a sufficienza. Ciò nonostante sembra che i suoi tentativi conducano unicamente ad altrettanti fallimenti. O per lo meno, a passi avanti molto esigui rispetto alla mole di lavoro svolto. La mobilità del suo paziente è migliorata, questo è fuor di dubbio, ma non a sufficienza da giustificare il trattamento. L'unico guadagno sostanzioso che ne ha tratto è, a quanto sembra, la mal sopportazione della sua presenza, che già prima non era al suo apice. Forse finirà addirittura con l'odiarlo, se non è già questo il caso.

«Sono desolato. Ho solo cercato di esservi d'aiuto» assicura, credendo fermamente nelle proprie parole, ma meno nelle sue ragioni.

«Vorrà dire che mi riterrò soddisfatto se arriverò vivo a New Orleans» replica asciutto, affatto disposto a offrire più di una sobria accettazione dei fatti.

Ha trovato tutti i medicinali del dottore, e buona parte di ciò cui era interessato in fatto di approvvigionamenti alimentari. La biglietteria era chiusa. Avrebbe dovuto procurarsi i posti prima e fare provviste dopo. È decisamente una frana per quanto concerne la pianificazione; Cat glielo ha sempre rinfacciato e, a quanto pare, ne aveva tutte le ragioni. Adesso comunque è troppo tardi per fustigarsi per le proprie mancanze. L'indomani mattina partirà di buon'ora e completerà i preparativi per la loro partenza del giorno successivo (sempre ammesso che nulla di sgradevole accada a modificare i loro programmi).

In quel momento il suo unico pensiero sensato è per Cat. Sta conducendo al piccolo trotto il cavallo carico di provviste, sperando che l'amico stia bene a sufficienza da avere appetito. Detesta essere costretto a forzarlo per ingerire il cibo necessario alla sua sussistenza, ha la costante impressione di violarlo, in qualche modo, ed è un pensiero terribile.

Svoltato l'angolo individua la macchia di alberi dietro la quale ha fatto sostare il loro carro al fine di non dare nell'occhio e stira un lieve sorriso al pensiero di essere ormai prossimo alla meta. Il cavallo sbuffa e Hutch rotea gli occhi, spazientito dall'atteggiamento di quella bestia capricciosa. A pensarci bene somiglia un poco al loro dottore: la stessa identica pigrizia. Sogghigna divertito a quell'accostamento e, giunto a breve distanza dal carro, frena il cavallo e smonta di sella, elargendogli una pacca amichevole sulla groppa e caricandosi innanzitutto del materiale medico.

Una volta raggiunto il retro del carro, tuttavia, si immobilizza, mentre un brivido gelato scivola lungo la schiena. Quello che ha sentito era un gemito? Se il suo cuore smettesse di fare tanto fracasso forse potrebbe accertarsene, maledizione! Qualche istante dopo un suono molto simile al primo si riproduce, increspando l'aria pesante e immota e facendo impallidire Hutch. I suoi denti stridono. Con la mano libera apre la tenda in un gesto brusco, balza sul pianale, lancia un'occhiata furente all'intorno e agguanta Maloney per la camicia, quasi strappandogliela dal petto. Con uno strattone lo scalza dal posto accanto al giaciglio che occupava un momento prima e, senza complimenti, lo trascina fuori. Quando lo fissa negli occhi, senza pronunciare parola, il dottore prende a tremare e schiude la bocca, con tutta probabilità per farne uscire qualche inutile scusa che avrebbe come unico risultato quello di fargli perdere la poca pazienza che gli rimane. Blocca il suo tentativo scuotendolo con una certa brutalità e, sollevandolo dal terreno, lo accosta al suo viso.

«Ringraziate che non ami ammazzare la gente, soprattutto se disarmata, e che potreste forse tornare utile. Ma, dottore, fossi in voi non sfiderei troppo la sorte. Potrei stancarmi di essere tollerante.»

Maloney annuisce con vigore e attende, in silenzio, senza ancora riuscire a toccare il suolo. Hutch chiude gli occhi un momento, raccoglie una lunga boccata d'aria e, piano, lo riporta a terra, ancora trattenendolo per la camicia. Poggia la bisaccia che fino a un attimo prima reggeva in mano e ci fruga dentro, recuperando uno dei contenitori acquistati in paese, poi solleva la sacca e la schiaccia contro il petto del dottore.

«Tenete. È quel che mi avete chiesto di acquistare. Non ho intenzione di vedere la vostra faccia fino a domani mattina. Quindi sparite. Ovunque decidiate di andare non è affar mio, a patto che non vi ritrovi sulla mia strada nelle prossime ore.»

Annuisce di nuovo, fa qualche cauto passo all'indietro, poi volta la schiena e si allontana di buona lena.

Hutch sorveglia la sua fuga precipitosa, controllando che non cambi idea all'ultimo momento e decida di tornare sui suoi passi. Appurato ciò distoglie l'attenzione dal punto in cui lo ha veduto dileguarsi e la concentra sul carro, sul quale si issa e nel quale rimane un lungo momento accucciato, trovando abbastanza faticoso incamerare ossigeno a sufficienza. Lentamente si accosta al giaciglio del ragazzo e posa una mano sulla sua, vedendolo trasalire.

«Cat» mormora, senza distogliere il tocco. «Sono io.»

«Hutch» soffia debolmente.

«Sì.»

«Hai… impiegato troppo tempo.» Dovrebbe essere un rimprovero, almeno è quel che immagina, ma ne esce così fioco e incerto da far male al cuore di Hutch.

«Lo so. Mi dispiace» replica di rimando, contrito.

«Ti ho… atteso per così tanto.»

Ancora una volta Hutch impallidisce. Si sta apprestando a rispondere, nonostante non sappia in che modo farlo.

«Ma ora sei qui. Ri-rimani… vero?»

Un singulto costernato scuote il petto di Hutch. «Certo che sì» affanna, carezzandogli piano i capelli. «Non me ne vado da nessuna parte, promesso.»

«Su cosa ha lavorato?» chiede Hutch in tono delicato, dopo svariati minuti di silenzio durante i quali gli è parso che Cat ritrovasse un ritmo di respirazione più regolare e rassicurante.

«La gamba sinistra» replica rabbrividendo, probabilmente al semplice ricordo.

Hutch lo fissa incerto, confuso. «Ma è rotta» pigola, sentendosi molto stupido per quell'ovvia constatazione.

«Tra le altre cose, sì» conferma Cat. «Ma adduce che lì la muscolatura si sta atrofizzando più velocemente che non altrove, a quanto pare proprio a causa del danno» espone asciutto.

«E…» deglutisce, incerto.

«Sì, fa un male allucinante. E sì, credo di aver pianto di nuovo. Se sopravvivo penso che mi darò al teatro e interpreterò con grande convinzione la donzella in pericolo… sempre ammesso che possa tornare a vedere, o rischio di cadere dal palco e rompermi una gamba (di nuovo).»

«Cat» mormora Hutch, più scosso di quanto avrebbe piacere di ammettere.

«Che?»

«Stai scherzando?»

«Naturalmente. Ho forse l'aria di una fanciulla in cerca di un cavaliere che la porti in salvo? Per tua informazione sto solo tentando di dimenticare le mani di Maloney.»

Hutch ringhia, in modo cupo e rabbioso, facendo sobbalzare Cat per lo sconcerto. «Lo ammazzo» decreta convinto.

«Hutch! Smettila. Non intendevo in quel modo» sibila costernato.

«Oh…»

«Merda» lamenta Cat, fin troppo prossimo a un esaurimento nervoso.

«Scusa» pigola Hutch, pentito.

«Preferirei che, almeno tu, evitassi di perdere la testa» fa presente.

«Ci provo. A volte è complicato. Soprattutto quando sono preoccupato per te. Ehi…»

«Dimmi.»

«Posso essere il tuo cavaliere?»