«Fermo lì!» abbaia Hutch. Assottiglia le palpebre. «Ohi! Tu non sei mica un animale» si sorprende, fissando la figura in ombra che, per quanto scura, ha comunque la forma di un essere umano, uno di piccola taglia. «Allora? Chi diavolo sei, eh?» sbotta, piuttosto irritato all'idea di non poterselo mangiare com'era originariamente nei suoi progetti iniziali.
Purtroppo per lui e per le sue futili speranze, la sua preda non apre bocca, si limita a fissarlo di rimando. Li vede, i suoi occhietti che brillano nel buio come quelli dei gatti. Solo che quello lì non è un gatto, è una persona. Un qualcuno che gli ha scroccato le provviste delle ultime due settimane, mannaggia a lui!
«Si può sapere perché sei sempre in casa mia? La dispensa non è la tua, sai. Non puoi mangiarti le provviste anche degli altri, ogni tanto?» lamenta.
Di nuovo non ottiene uno straccio di risposta. Il ladro di cibo si limita a tenerlo sotto tiro con lo sguardo, senza muovere un muscolo. Hutch, stufo di quel tira e molla, fa un passo avanti, e allora sì che il ladro si muove, balzando indietro e facendo venire un soprassalto di sorpresa al padrone di casa.
«Ah, ma allora sei vivo, eh? Perché non dici niente? Troppa fifa?» lo punzecchia, sperando di prenderlo in fallo.
Così non è, per sua somma disperazione, allora prova un altro passo avanti. Magari lo può spaventare quel tanto da convincerlo a non tornare più nella sua cucina. Invece l'ombra dagli occhi brillanti fa un improvviso scatto laterale verso la finestra e, prima di scavalcarla e filar via come una saetta, una scheggia di luce acuminata raggiunge Hutch, il quale grida di dolore afferrandosi il braccio destro e lanciando una sequela di barbari improperi al dannato ladro.
A tentoni, una volta certo che l'ombra di forma umana se la sia svignata, Hutch recupera la lampada dalla credenza e fa un poco di luce, quel tanto sufficiente a dare un'occhiata al danno. Quella specie di demonio gli ha piantato un coltello nel braccio! Ma che diavolo! Non ci sono più i ladri normali che ti sparano addosso e fuggono con la refurtiva? Oh, giusto: sì che ci sono, c'è il maledetto gran capo Sant'Antonio, che si fa un punto d'onore nel non lasciare vivo nemmeno un topolino.
Hutch si fissa il braccio, desolato, già immaginando il male cane che farà levarsi quella cavolo di lama dalla sua povera carne martoriata. E pensare che se lo voleva mangiare, il ladro da strapazzo. Invece per poco non è stato il ladro a farlo a fettine. Sbuffa, abbastanza contrariato, e lancia un'occhiata alla credenza. Socchiusa! Il maledetto gli ha pure fregato il cibo! Non c'è più rispetto per le provviste altrui. Dove finirà il mondo di questo passo?
Torna in camera da letto e recupera della stoffa pulita dal cassetto. Fruga nello stipetto accanto al letto e mette sottobraccio una bottiglia di tequila ancora mezza piena. Torna nella sala principale, si siede al tavolo, vi posa sopra quel che ha recuperato in camera e di nuovo fissa mesto il suo braccio disgraziato. Sospira, e infine si rassegna all'inevitabile: sfila via la lama con uno strattone deciso, urla per la fitta di pungente dolore che gli attraversa il braccio fino alla spalla e lancia una nuova e molto sentita sequela di maledizioni al ladro. Poi, un po' piagnucolando e un po' borbottando, versa sopra il taglio abbondante distillato, caccia un altro grido straziante e ingolla un sorso di tequila per dimenticare, almeno in minima parte, quella notte sciagurata.
«Maledetto. Stramaledetto» brontola all'indirizzo di quel… di quel… maledetto! Accidenti.
Oh, ma lo troverà un modo per fargli scontare quell'affronto. Altroché. Che si sappia che Hutch Bessy non si lascia derubare dei suoi averi senza conseguenze! Per la miseria, non voleva nemmeno ammazzarlo, alla fin fine. Voleva solo scoprire chi diamine si prendeva il disturbo di infilarsi tutto il tempo in casa sua per fregarsi le provviste. Sospira di nuovo, per l'ennesima volta. Rimugina su quanto accaduto, su quel che può aver visto. Poco o nulla in verità: giusto il brillio dei suoi occhi e un'ombra minuta. Piega la testa, pensando. Forse si tratta di una ragazza? Forse il figlio di qualche peone in disgrazia? O magari un piccolo Tarahumara a corto di prede migliori? Vai a saperlo. Ha il presentimento che dovrà scoprirlo a sue spese, e l'idea non lo rallegra affatto.
«Hutch, il capo ti cerca» lo avvisa Iaco dalla finestra.
E ti pareva. Sempre nei momenti meno indicati lo cerca quello lì.
«Sì, sì, arrivo» taglia corto con uno sventolio irritato della mano (sinistra, perché quella destra è attaccata al braccio fasciato e non ha voglia di maltrattarla più del dovuto).
«Ehi, che hai fatto al braccio?» si informa Iaco.
«Sono anche cavoli miei, sai. Perché non pensi ai tuoi denti, piuttosto» ringhia seccato.
«Ma i miei denti stanno bene» protesta interdetto.
«Non per molto, se continui a seccarmi» minaccia fosco.
Il collega coglie al volo l'invito e decide che non è il caso di irritarlo oltre. Il resto del tragitto verso il nascondiglio del gran capo lo trascorrono in silenzio.
«Bene, bene. Guarda un po' chi ci degna della sua preziosissima presenza. Benvenuto, mio caro amico» lo accoglie Sant'Antonio.
Hutch storce il naso e trattiene a stento un sospiro irritato. «Sono venuto proprio perché mi hai cercato» fa presente in un tono più neutro possibile, onde evitare spiacevolezze.
Non che si possano davvero prevedere le conseguenze dello stare in presenza di Bill Sant'Antonio, in realtà. Però si può evitare di offrirgli troppa corda. Ed è esattamente quel che cerca di fare Hutch quando il gran capo necessità di avercelo intorno.
«Mi fa un immenso piacere che tu ti senta in dovere di accorrere al mio richiamo. Proprio come un bravo cagnolino devoto al padrone, non è vero?» puntualizza Bill.
«Proprio» conviene Hutch, senza minimamente dar retta alle sciocchezze che escono dalla sua bocca marcia.
«Meraviglioso! Ho un incarico per te» taglia corto.
"Sì, assolutamente meraviglioso" pensa Hutch con abbondante dose di sarcasmo, rimanendo comunque zitto ad ascoltare quel che ha da offrire Sant'Antonio.
«Mi devi portare una persona. Mi serve viva, capisci? Devo parlarci, con questa persona, quindi oltre a essere viva deve anche capire quel che gli domanderò. Intendi bene quel che ti sto dicendo?»
«Perfettamente. La persona in questione ti serve che respiri e pensi, ma che non se la squagli alla prima buona occasione» suppone Hutch.
«Assolutamente corretto, mio buon segugio! Amo quando la gente segue i miei ragionamenti senza dover fare troppa fatica. Ora, mio carissimo, parliamo di questa persona di cui ho necessariamente bisogno.»
Hutch sta per fare spallucce, si trattiene all'ultimo secondo e si limita a fissare la bocca di Sant'Antonio. Gli occhi è meglio evitare di fissarli, se non strettamente necessario. La prima e unica volta che lo ha fatto ha avuto la netta impressione di finire in un gorgo nero senza uscita. No, grazie. Va bene la sua stupida bocca; c'è di peggio. Per esempio, c'è la sua dannata lingua biforcuta, quella che a breve gli toccherà di seguire per capire chi è il prossimo disgraziato che finirà sotto terra.
Tra l'altro pare si tratti di uno che non conosce per nulla. Ma il gran capo si è premurato di istruirlo adeguatamente per far sì che Hutch lo possa reperire senza doversi fermare strada facendo a chiedere informazioni, cosa che avrebbe con buona probabilità minato la sua ricerca sul nascere. Avvisare la vittima di un rapimento dell'arrivo del rapitore non è esattamente un'idea geniale, giusto?
Ed è così che Hutch si rassegna a perdere per lo meno una buona mezza giornata per giustificare le spese e l'alloggio gentilmente offerti e rimborsati da Bill Dannato Sant'Antonio.
