«Sapete, c'è una cosa di cui però non mi capacito. Come siete riuscito a mirare a quei tre se non li potete vedere?»
Hutch sospira, già ampiamente sfinito dal ragazzino, quella specie di scimmietta iperattiva, furba ed estremamente sagace che si sono ritrovati fra capo e collo loro malgrado.
«Hutch mi indica dove mirare. Tempo fa ci siamo allenati per fare in modo che funzionasse. E funziona, a quanto sembra.»
«Funziona sì, ma unicamente perché sei una specie di demonio, con quelle tue maledette lame. Un altro sarebbe già stato fortunato anche solo per aver beccato il muro di fronte» contesta Hutch.
Le gote di Cat si tingono di un leggero rosa. «Ti piace scherzare» mormora a disagio.
«Io non scherzo, non quando si tratta di quel che sai fare, né di quel che puoi fare. Lo sai benissimo.»
Arsène, ora appollaiato su una vecchia botte, li osserva con curiosità e attenzione, mentre i suoi dubbi iniziali trovano finalmente un riscontro e una conferma.
«Voi due siete in coppia, dico bene? Intendo… state insieme» prova, mordicchiandosi una guancia.
Hutch impallidisce. Cat arrossisce. Arsène sbuffa piano.
«Guardate che non ne faccio una questione di stato. Paris è… come posso dire? Un enorme calderone pieno di tutto quel che puoi immaginare, oltre che di quel che non puoi immaginare, e forse in aggiunta qualcosa di più. Allora?»
«Allora sei un ficcanaso intrigante!» sbotta Hutch.
«Hutch» mormora Cat, abbastanza a disagio.
«Beh, che diavolo, è vero! Il ragazzino avrà… quanti? Tredici anni?»
«Quattordici» sibila il soggetto in esame. «E mezzo, quasi.»
«Ah, ecco. Allora cambia tutto, vero? Pensa: addirittura quattordici e quasi mezzo. Porco cazzo!»
«Hutch» sibila stavolta Cat, contrariato.
«Non sono un ragazzino. E soprattutto non sono il ragazzino. Vi ho detto il mio nome. Sapete in quanti lo conoscono completo? Ancora in vita, intendo.»
«Non ne ho idea. Quanti sarebbero? Vista la tua boccaccia, saranno sicuramente centinaia» bercia Hutch.
«Tre» ribatte tetro. «Uno» conta, indicando Cat. «Due» prosegue, indicando Hutch. «E il terzo è la mia ex nutrice Victoire. Si trova su in Normandie.»
Le spalle di Hutch si afflosciano. Si passa stancamente una mano sul viso, e fra i capelli. «Va bene. Che cosa vuoi?»
«Non voglio niente» obietta Arsène, un cipiglio offeso che fa a botte con il suo viso giovane e di norma allegro e dall'aria spensierata. «Cercavo solo di far notare che potreste provare a essere sinceri. Di sicuro non sarò io a darvi problemi per questo.»
«Perché diamine vuoi a tutti i costi che te lo diciamo? E poi, tanto, già lo sai, o almeno supponi di saperlo. A che ti serve una conferma?» si intestardisce Hutch, visibilmente sulla difensiva.
Il silenzio cala pensante nel vicolo. Arsène si appallottola sulla sua vecchia botte, stringendosi le ginocchia fra le braccia. Hutch, con la coda dell'occhio, nota il compagno avanzare a tentoni, con passi prudenti e misurati, il ticchettio secco delle stampelle sul selciato rimbomba fra le pareti del vicolo. Vorrebbe protestare, meglio ancora acchiapparlo e trascinarlo di nuovo al sicuro tra le rassicuranti mura della loro camera. Desiste, perché se lo guarda bene in faccia può facilmente notarne il cipiglio deciso. Se provasse a intralciarlo ancora una volta, poco ma sicuro, lo farebbe a fettine con le sue dannatissime lame.
Infine Cat riesce a raggiungere il trespolo su cui si è momentaneamente stabilito il ragazzino, cioè, Arsène. Sfiora una delle sue ossute ginocchia con la punta delle dita e offre un sorriso striminzito.
«Hutch è il mio compagno. Lui è l'uomo che amo. L'unico punto fermo in questo mare di incomprensibile e soffocante oscurità. Vuoi sapere se siamo insieme? Sì, lo siamo, perché l'alternativa sarebbe insostenibile.»
Un angolino delle labbra di Arsène si solleva, piano, con incerta timidezza. Alle spalle di Cat, Hutch ha trattenuto il fiato per tutto il tempo e ora, decisamente, sente di aver bisogno di più spazio. Molto più spazio, ma con Cat. Senza non c'è storia. In poche, rapide falcate, lo raggiunge, circondandolo con le braccia, e lo solleva dal terreno traendolo a sé e tuffando il naso nei folti capelli sulla sua nuca. Cat squittisce, sorpreso, facendo arricciare le labbra di Hutch di puro, beato divertimento.
«Hutch, maledetto. Tu e la tua pessima abitudine di levarmi la terra da sotto i piedi nei momenti più disparati» protesta Cat in un borbottio costernato. «Mettimi giù» brontola.
«Fra poco» promette, stringendo appena un poco la presa.
Lancia un'occhiata valutativa al ragazzino, che ancora li osserva; i suoi grigi occhi sembrano sereni e per nulla impensieriti, forse solo un po' curiosi (un po' troppo per i gusti di Hutch). Sbuffa piano, in silenzio, poi decide. Con un energico movimento delle braccia sospinge il compagno appena un poco verso l'alto e lo fa ruotare a mezz'aria su sé stesso, poi lo riacchiappa, affondando le dita nelle sue natiche con un certo gusto.
«Hutch» ringhia Cat, già più che pronto a piantargli le unghie in qualche posto possibilmente doloroso.
Non ne trova né il tempo né la possibilità. Hutch lo serra contro il petto e si allunga sul suo viso, intrappolandolo in un bacio famelico e abbastanza disperato che leva non solo l'ossigeno ma anche il lume dell'intelletto al suo Cat, oltre che qualsiasi velleità di fuga. Mugola, spedendo un brivido sulla sua lingua, e giù per la sua gola. A quel punto è costretto a staccarsi, prima di cedere ad atti passibili di arresto per delitto contro la moralità pubblica e il buon costume.
«Hutch» ansa, stordito. Appoggia la fronte sulla sua e respira il suo odore.
«Qualunque sia la tua decisione, non dovrai far altro che dirmelo, o farmelo capire. In ogni caso avrai il mio appoggio, e ogni grammo del mio amore» promette serio.
Annuisce, piano, deglutendo a fatica. «Voglio tentare. Non riuscirei a sopportare l'idea di non aver almeno provato. Se dovesse andare male… troverò il modo di accettarlo, se… s-se tu sarai al mio fianco.»
«Lo sarò» assicura.
Ancora annuisce, stavolta con un bel sorriso sulle labbra. Un sorriso che profuma di speranza e fiducia. Un sorriso tutto per lui. Per loro.
