Un brontolio sordo prorompe come dal nulla a squarciare la dolce tranquillità del vicolo. Cat poggia le mani sulle spalle di Hutch e si scosta appena dal suo petto, reclinando il capo, interdetto.

«Non era il tuo, stavolta.»

«No. Direi che per una volta il mio stomaco è del tutto innocente» conferma Hutch.

Piano, gentilmente, posa a terra il compagno ed entrambi si voltano verso l'unico altro presente sul posto, le cui gote si riscaldano, arrossendo.

«Scusate. Non l'ho fatto di proposito» bisbiglia Arsène.

Cat sorride, imitato da Hutch. «Immagino di no. Andiamo, ora sappiamo qual è la nostra prossima meta.»

Hutch annuisce. «Un posto caldo con del buon cibo» concorda allegro.

«Assolutamente sì.»

«Benone. Allora in marcia. Vieni, ragazzino.»

«Non sono un ragazzino, bestione!» si ribella Arsène.

«Ehi, ma allora ti conosce!» esclama Cat, scherzando.

«Ah-ah-ah… Molto divertente» bercia Hutch, recuperando le stampelle di Cat finite per l'ennesima volta per terra e facendogli strada. «Come lo vogliamo chiamare? A me è già venuto il mal di testa solo a sentire tutti quei nomi. Sembra uno scioglilingua.»

«Ne ho anche altri, sapete.»

«Tuoi?» indaga Cat, intrigato.

«Euh… No, presi a prestito.»

«Si è fregato pure i nomi, il ragazzino. Ancora mi domando com'è che ti ha riportato il portafogli. Gli rimane tutto appiccicato alle dita che sembra ci abbia spalmato sopra la melassa.»

Cat sogghigna e, prima che escano dal vicolo, si appoggia alla sua spalla e posa un soffice bacio sul suo zigomo. Ottiene un lieve rossore e un sorriso gongolante. Un vero peccato che non possa goderseli.

«Usate Lupin, a meno che non siate certi di essere soli» suggerisce Arsène.

«Ti piace la riservatezza. Mi trovi d'accordo. Per curiosità: a quanta gente hai fregato il nome?»

«Un po'. La maggior parte, però, non deve più preoccuparsene.»

«Sono morti?»

«Proprio così. Ma io non c'entro nulla, sia ben chiaro» si affretta a mettere le mani avanti, a scanso di equivoci.

Hutch sbuffa, già ampiamente stremato. «Invece di blaterare inutilmente, che ne dici di trovare un buon posto dove poterci mettere comodi? Tu sei di qui, di certo conosci meglio di noi i posti buoni, no?»

«Su questo potete scommetterci» assicura entusiasta. «Venite, non è troppo lontano» annuncia, spiccando una breve corsa, presto frenata da Hutch.

«Ehi, piano, ragazzino, o finiremo col perderti di vista.»

Arsène si volta, già pronto a dirgliene quattro. Poi rammenta che il bestione deve guidare il compagno che non può ovviamente vederlo e che per di più cammina con difficoltà.

«Scusate» mormora contrito.

Si mette le mani in tasca e inizia a passeggiare sembrando un vagabondo snob, bizzarria che fa sogghignare Hutch.

«Cosa?» sussurra Cat.

Non ha idea di come faccia il compagno a sapere che ci sia qualcosa che lo diverte, ma tant'è. «Il ragazzino. È piuttosto buffo. Sembra uno di quei… come si chiamano… dandy?»

«Flâneur» interviene Cat.

«Che?»

«È un'evoluzione francese» spiega, mentre cerca di capire dove siano diretti.

«I francesi si sono specializzati?»

«Altroché!» conviene Arsène, che ha seguito lo scambio della coppia. «Il flâneur è più… Oh, come lo dite voi? Paresseux…»

«Indolente» gli viene in soccorso Cat.

«Oh, sì: indolente. Merci!»

Cat sorride sotto i baffi, piuttosto divertito, e Hutch si ritrova a pensare che, forse, non è completamente un disastro quel loro incontro con il ragazzino. Arsène è piuttosto abile nel far divertire il suo compagno. Dovrebbe assumerlo a tempo pieno come buffone personale.

Si sono accomodati tutti e tre al tavolo di un bistrot. All'interno aleggia un buon profumo che fa venire l'acquolina perfino a Cat, che di norma storce il naso per qualsiasi cosa.

All'avvicinarsi di un cameriere Cat solleva il capo, incerto.

«Penso sia qui per gli ordini» lo tranquillizza Hutch.

«Bene. Allora, giovane Lupin, prendi pure quel che preferisci.»

Gli occhi di Arsène brillano. «Oh, je voudrais bien une tarte aux poireaux et de la tartiflette, mais sans lardons, s'il vous plaît. Merci!»

Hutch scuote la testa. «Non ho capito un cavolo di quel che ha cianciato.»

Cat sghignazza. «Te lo spiego più tardi. O magari te lo spiega direttamente lui.» Cerca di capire, probabilmente invano, dove si trovi il cameriere. Ci rinuncia con un sospiro e si limita a enunciare «Pour moi de la rillette de poulet roti. Et pour mon ami, du fromage de tête et du gratin dauphinois. C'est tout, je crois.» Occhieggia i due commensali al suo fianco, in cerca di conferma.

«Ripeto che non ho idea di cosa tu abbia detto. Ma se è del cibo, a me sta bene» borbotta Hutch.

«Oh, io sono a posto. Cioè, lo sarò senz'altro dopo aver consumato il mio pasto. Merci garçon!»

Hutch è felice, e lo è perché il suo Cat, nel corso dell'ultima ora, non ha fatto che sorridere ed essere affettuoso, perfino di fronte agli occhi curiosi degli altri. Spera solo che gli abbia ordinato una doppia porzione di qualunque cosa abbia scelto per lui, perché tra non molto anche il suo stomaco si farà sentire.

«Euh… Cat?» tentenna Hutch, all'arrivo dei loro ordini, fissando con ansia la portata del compagno.

«Dimmi tutto.»

«Ehm… Che cosa sarebbe quella… cosa che ti hanno appena portato?» chiede, indicando con un certo disgusto… qualunque cosa sia.

Un risolino divertito spande un brivido piacevole su per la schiena di Hutch. «Sarebbe un battuto di pollo arrosto sfilacciato, mescolato a verdure di solito, brodo di carne, spezie ed erbe. Si spalma su fette di pane abbrustolito. Tu che lo vedi, il pane ce l'hanno messo?»

«Sì, è l'unica cosa riconoscibile che hai nel piatto. Il resto deve aver avuto una gran brutta giornata.»

Cat getta la testa all'indietro e ride di gusto. Hutch dimentica il suo pasto e ammira la linea sinuosa e invitante del suo collo. Si mordicchia il labbro e vorrebbe, davvero tanto, essere in un luogo meno pubblico e mangiarsi Cat al posto del cibo che ha nel piatto.

«Oh, ti adoro, lo sai?» soffia Cat, asciugandosi le lacrime di divertimento.

«La stessa cosa vale per me» assicura Hutch in un mormorio roco.

«Vous êtes si beaux et ravissants. Adorables!» esclama Arsène, sognante.

Cat arrossisce bruscamente. Hutch solleva un sopracciglio, confuso. «Che accidenti ha detto, stavolta? Scommetto qualcosa di imbarazzante.»

«Uhm…» mugugna Cat per tutta risposta, cercando a tentoni un pezzo di pane e ficcandoselo in bocca per evitare di dover rispondere.

Hutch, capita l'antifona, si rivolge direttamente all'istigatore. «Che diamine hai detto poco fa? Si strozzerà con il dannato pane, piuttosto che spiegarmelo» protesta.

Il sogghigno mefistofelico che riceve in cambio lo fa rabbrividire, in modo spiacevole, stavolta.

«Ho semplicemente detto la verità. Almeno, quella che posso vedere davanti a me.»

«Chiarissimo. Voi due dovete essere in qualche maniera imparentati. Usate le stesse spiegazioni criptiche e incomprensibili» borbotta seccato. Poi si dà al cibo, tentando di dimenticare i suoi attuali crucci riempiendosi lo stomaco.