«Arsène!» esclama Cat, sorpreso, accorrendo al suo capezzale e tentando di sincerarsi sulle sue effettive condizioni. «Sei sveglio» soffia scosso.

«Così pare» concorda in un esile sussurro, provando vanamente a offrire un sorriso. «A che punto siamo? Mi è parso d'udire che i vostri inseguitori siano a Paris» tentenna.

Cat annuisce ma tituba, per nulla incline a turbare oltre l'amico.

«Dimmi. Per favore» lo sprona invece Arsène.

«Li abbiamo individuati mentre si spostavano non lontano dal settimo arrondissement, avenue de Suffren, diretti a est, per quel che ho potuto vedere» spiega con garbo.

«Andavano a prendere notizie dal signor Joey?»

«È probabile, sì. Ma lui non è aggiornato, quindi non so quanto possa essere utile ai loro scopi. Quando se ne renderanno conto prenderanno provvedimenti.»

«E verranno a cercarvi» completa Arsène, cupo.

«Temo di sì» concorda Cat. Allunga una mano e sfiora con la punta delle dita la fronte del ragazzo. «Doc» chiama, attirando l'attenzione del loro dottore.

Maloney si affetta a raggiungerli e constata quanto doveva già aver notato Cat. «La temperatura sta risalendo» commenta, stringendo le labbra impensierito.

«Ci sono alcuni posti che potrebbero fare al caso nostro. Quel che davvero manca è il tempo» ragiona Arsène, mentre il dottore traffica al suo capezzale. «Quanto pensi ci resti? Li abbiamo due giorni?»

Car si rabbuia ulteriormente. «Spero di sì, ma non posso averne la certezza. Dipende da quali sono le loro priorità. Potremmo persino avere più tempo, ma non mi sento di contarci.»

Annuisce, pensieroso. «Mandate un telegramma a Pearce. Spiegategli che ci sono guai e che serve agire in fretta.» Cat reclina il capo di lato, dubbioso. «Ho… diciamo mantenuto i rapporti con il tuo oculista. Sembrava utile, è sufficientemente sveglio da afferrare al volo certi problemi. Se non posso muovermi velocemente, lui può organizzare le cose» tenta, nervoso a causa dell'espressione incupita dell'amico. «Non ho detto che mi fido. Solo che può tornare a nostro vantaggio.»

Cat chiude un lungo momento gli occhi e respira piano. Infine annuisce, seppur titubante. «D'accordo. Proveremo in questo modo. In fondo non abbiamo troppe alternative fra cui scegliere» conviene. Arsène annuisce incoraggiante e trae un tremulo sospiro. «Riposa, ora. Me ne occuperò io fintanto che non ti sentirai meglio» promette, offrendo un piccolo sorriso tirato.

Cat ha un'espressione più cupa ancora di quando lo ha piantato in asso nell'attico per andarsene per i fatti suoi, perfino peggiore dell'occhiata astiosa che gli ha lanciato quando lo ha raggiunto ai giardini, una che promette brutte cose. Hutch, nonostante le premesse (o forse proprio a causa di queste) decide di seguirlo. La brutta notizia (l'ultima di una lunga serie che dà l'impressione di essere infinita) è che Cat a quanto pare non apprezza affatto l'iniziativa del compagno e nel momento in cui si rende conto che Hutch gli sta alle calcagna, pronto a seguirlo fuori dall'appartamento, gli si rivolta contro.

«Non mi serve una balia» gli sibila addosso con astio.

Hutch, per prudenza, rimane a una distanza di sicurezza. «Non era quel che intendevo fare. Voglio solo guardarti le spalle per ogni evenienza» spiega ragionevole.

«Oh, sul serio? Beh, ho una brutta notizia per te: dovrai guardare quelle di qualcun altro, perché al momento l'ultima cosa che desidero è averti fra i piedi. Quindi sloggia.»

«Ma, Cat…» pigola, mortificato e anche spaventato dall'idea di non potergli essere vicino in caso di problemi.

«Smetti una buona volta di ignorare il mio parere. Adesso io uscirò da quella porta. Se dovessi scoprire che sei nei paraggi sarà meglio per te se trovi il modo di scomparire prima che io abbia il tempo di recuperare uno dei miei coltelli.»

Ciò detto non si cura di attendere una replica e si affretta a varcare la soglia di casa per raggiungere il primo ufficio postale disponibile. Hutch è rimasto fermo nel vestibolo, apparentemente incapace di fare un singolo passo in una qualsivoglia direzione. Ha la sgradevole, orrenda impressione di aver appena commesso l'ennesimo errore, o chissà, forse si tratta solo dell'evoluzione di quello precedente che non ha trovato il modo di risolvere e che si sta ingigantendo sotto i suoi piedi e, fra non molto, lo farà sprofondare in un baratro di inadeguatezza e afflizione.

Mesto e abbastanza disperato riguardo al loro futuro, torna verso la camera di Maloney. Almeno, pensa, può darsi che lì a qualcuno serva il suo aiuto. Dio, sta diventando patetico, più del solito se non altro.

Alla sua entrata il dottore solleva lo sguardo e incurva un sopracciglio, perplesso e incuriosito.

«Signor Bessy, che brutta cera avete. Vi sentite bene?»

«Mh…» dubita Hutch storcendo la bocca. «Non proprio. Cat è incazzato con me… di nuovo» spiega mogio.

Maloney si lascia sfuggire uno sbuffo dal timbro divertito. «Non che questa sia una gran novità» commenta guadagnandosi l'ennesima occhiataccia. «Ma devo dirvi che non credo che il signor Stevens ce l'abbia con voi in particolare in questo caso, o almeno, non solo con voi.»

Hutch sfarfalla le ciglia, incerto fra speranza e incredulità. «Perché dite questo?» indaga, giusto per capire se il dottore gli sta rifilando una delle sue cazzate buoniste.

Per tutta risposta quello gli offre un piccolo sorriso incoraggiante. «Abbiamo già avuto una conversazione simile, mi pare. Il problema non siete voi. O magari lo siete ma solo in minima parte. Ma temo che quel che più lo angusti e stia mettendo a dura prova la sua pazienza e deteriorando il suo sangue freddo sia la brutta situazione in cui ci troviamo e il fatto che stia cercando un modo per risolverla per lo più da solo. Vi ricorda forse qualcosa?»

Hutch ha gli occhi sgranati e la bocca spalancata. «Oh» soffia in un gemito tentennante. «Merda.»

«Eh già» conviene Maloney.

«Ma… M-ma io mi sono offerto di accompagnarlo per guardargli le spalle e…»

«E il signor Stevens ha rifiutato in modo non molto diplomatico, dico bene?»

«Ehm… Sì, qualcosa del genere» conferma Hutch, il quale pensa che "non molto diplomatico" sia decisamente l'eufemismo del secolo. Aveva piuttosto l'espressione di quando è più che pronto a tagliargli i testicoli e schiacciarli sotto i tacchi degli stivali, altroché.

«Questo avvalora la mia tesi. Deduco che abbia ritenuto imprudente un'uscita a due, con il concreto rischio di poter incrociare nuovamente quella gente sgradita. Cercava semplicemente di assicurarsi che la sua missione andasse a buon fine senza brutte sorprese e senza ulteriori vittime né tanto meno preoccupazioni.»

Hutch, per l'ennesima volta in quella lunga giornata, impallidisce. «Volete dire che…» rantola, in un gorgoglio strozzato.

«Vi ha costretto a rimanere qui per evitare che potesse accadervi qualcosa di spiacevole» conferma pacato.

Si sente abbastanza male. Ancora una volta non ha capito nulla. Sembra che non sia proprio in grado di arrivare alla corretta conclusione, non quando si tratta di Cat per lo meno. Perché funziona per gli altri ma non per Cat? Perché continua a travisare le sue intenzioni? Lo ha sempre fatto, solo che prima erano questioni di poco conto, poi le cose si sono complicate e ingigantite e ora… Lo ha lasciato solo convinto che fosse ciò che desiderava Cat, e invece Cat intendeva semplicemente proteggerlo e impedirgli di fare l'ennesima cazzata.

«Merda» ripete, amareggiato.

«Potete sempre trovare il modo di farvi perdonare quando sarà di ritorno» suggerisce, con un lieve sorriso sulle labbra, uno dei suoi, divertiti e intriganti.

Sbuffa e si siede a terra, poggiando la schiena alla parete e osservando il riposo del ragazzino, mentre pensa a come chiedergli scusa, di nuovo.