Cat è abbastanza terrorizzato. Il dottor Pearce ha fatto loro recapitare, circa mezz'ora prima, un telegramma con il quale lo avvisava che quella stessa mattina avrebbe dovuto sottoporsi al trapianto in quanto si era infine trovato il donatore. Lo ha già detto che ha una paura fottuta? Sì, vero? Qualcuno posa una mano sul suo braccio e lui lancia un urlo atterrito.
«Cat! Sono sempre io, Hutch. Calma.»
«Calma un cazzo» ringhia, con i nervi a fior di pelle.
«Cat» pigola la voce incerta di Hutch, accomodato lì accanto sul veicolo che li sta conducendo dal dottor Pearce.
«Non ci riesco. Di questo passo mi verrà un infarto prima ancora di arrivare allo studio dell'oculista» prevede mesto.
«Sei troppo giovane per avere un attacco di cuore. E comunque, se non t'è venuto finora, dubito che possa stroncarti adesso, solo perché sei spaventato» gli fa notare Hutch.
«Sei troppo ottimista. A furia di spaventi, uno può ben permettersi di restarci secco» brontola.
«Cat, micetto, la fai sembrare un'eventualità accettabile» si inquieta.
«Non lo è?»
«Cat… Non so come dirtelo. Il tuo pessimismo cronico non può raggiungere simili vette. Non è ragionevole.»
«Nh… D'accordo, hai vinto tu. Credo di poter sopravvivere ancora un po'» concede magnanimo.
«Oh, ma che lieta notizia» bercia sarcastico.
«Adesso mi sento meglio» ammette, appoggiandosi al suo fianco mentre il fiacre si inoltra nel quartiere in cui sorge lo studio.
«Mi fa piacere sentirlo» replica Hutch, sollevato.
Questo, comunque, non gli impedirà di tenerlo stretto a sé fino alla sala operatoria. Se solo glielo permettessero, gli resterebbe avvinghiato addosso anche durante l'operazione, ma dato che ciò non è fattibile si prende i suoi spazi fintanto che non lo allontaneranno a forza. A Cat piace avere questo genere di certezze, e con un po' di fortuna, non appena si sentirà bene, glielo dimostrerà.
«Ehi, piccolo, come ti senti?» mormora cauto quando lo scorge muoversi piano fra le candide lenzuola della clinica.
«Mi scoppia la testa» soffia appena. «E mi fanno male gli occhi» aggiunge, in un lieve ansito. Hutch gli accarezza gentilmente una tempia in punta di dita. «A parte questo… Direi che sto bene: sono ancora vivo.»
«Hai sempre questo tono di sorpresa, quando lo dici» lo rimprovera bonariamente il compagno.
«Nh! Se ci pensi bene, lo è, no? Sorprendente, intendo.»
«Io lo definirei meraviglioso, ma ognuno la vede a modo suo, suppongo.»
Tenta un segno di assenso, ma il dolore che esplode subitaneo nella sua testa lo fa presto desistere. Un sottile gemito sguscia dalle sue labbra contratte.
«Shhh… Piano. Respira. Con calma» sussurra dolcemente contro la sua fronte, prima di posarvi un piccolo bacio. «Andrà meglio, vedrai. Quel che ci vuole, in questi casi, è…»
«Pazienza» ringhia, mentre la parola vibra in modo poco rassicurante nella sua gola.
«Ho proprio paura di sì» conferma, tornando ad accarezzare i suoi capelli.
«Rimani con me, vero?» si accerta in un mormorio insicuro.
«Fino alla fine dei miei giorni» assicura convinto.
Un piccolo, stentato sorriso distende le sue labbra. «Sempre il solito bestione eccessivo e teatrale» protesta, prima di addormentarsi con quello stesso, timido incresparsi di labbra.
Il giorno seguente riescono, non senza difficoltà, a ottenere il benestare per riportare Cat all'attico. In verità anche il tragitto dalla clinica oculistica all'abitazione dei tre uomini non è stato granché agevole; tutt'altro in effetti. Quando la testa del ragazzo tocca infine il guanciale morbido del proprio letto, prende sonno praticamente all'istante, anche se sarebbe più corretto definirla perdita di sensi. Hutch storce le labbra in una smorfia di preoccupazione e, lì accanto, Maloney non è certo da meno. Si avvicina con cautela a Cat per poterne controllare le condizioni e sospira piano.
«Può darsi che avremmo fatto meglio ad attendere qualche giorno ancora» tentenna Hutch, sedutosi su una poltroncina lì accanto. «Credete che avrebbe aiutato?»
«Non ne sono certo. Fisicamente può darsi, ma dal punto di vista emotivo direi proprio di no. Di certo sarebbe stato più agevole per poter monitorare le sue condizioni. Ma non è detto che dipenda dal trasferimento» commenta Maloney, riferendosi ai sintomi di affaticamento che mostra con chiarezza il ragazzo.
Sono ancora impegnati nel rimuginare su possibili soluzioni e responsabilità, quando il campanello della porta d'entrata trilla. Hutch aggrotta le sopracciglia e sbuffa un piccolo ringhio frustrato, mentre Maloney accenna un vago sorriso.
«Temo fareste meglio a scoprire chi c'è sul pianerottolo» propone pacato.
Hutch sbuffa di nuovo ma si risolve comunque ad avviarsi, non fosse altro che per impedire allo scocciatore di turno di infastidire oltre il riposo di Cat. E quando infine toglie il chiavistello e schiude l'uscio, si ritrova suo malgrado a sbuffare una terza volta, molto seccato.
«Che fai qui, moccioso?» lo accoglie di malagrazia.
Il sorriso sfacciato di Arsène sfuma in fretta, scorgendo l'occhiata burrascosa dell'uomo che ha di fronte, un po' troppo fosca anche per i loro rapporti non troppo distesi.
«È accaduto qualcosa?» si allarma a quel punto.
Hutch sospira e scuote la testa. «Cat non sta troppo bene…» Indugia qualche momento con lo sguardo sul ragazzino. «Entra, dai» lo invita con maggior calma.
Arsène avrebbe una certa voglia di mettersi a correre, anche se non è troppo sicuro riguardo la direzione da prendere. Invece si limita ad annuire e accettare l'inaspettato invito dell'uomo, e a seguirlo fino alla loro camera da letto. Una volta lì, però, si ritrova a sgranare gli occhi e a trarre un brusco respiro.
«Que s'est-il passé cette fois?» esclama disorientato.
Hutch storce il naso, contrariato. Maloney offre un piccolo sorriso di benvenuto e prova a dargli una risposta che abbia un senso.
«Direi che potrebbe trattarsi di stress post-operatorio. Il trapianto ha debilitato il suo fisico, questo appare evidente. Ha la febbre.»
«Dovremmo avvisare Pearce?» si inquieta Hutch.
Maloney riflette su quella possibilità. «Ritengo che sia prematuro. Sarebbe più appropriato attendere fino a questa sera, o domani mattina, per poter monitorare le sue condizioni. Se dovessero rimanere invariate o peggiorare provvederemo ad avvisarlo. In quel caso, del resto, sarebbe da prendere in considerazione una delle ipotesi che ci aveva illustrato il dottor Pearce» considera prudente.
«Volete dire quel che lui ha chiamato… uhm… rigetto?» suppone Hutch, niente affatto rassicurato per quella prospettiva.
Maloney annuisce. Arsène cruccia la fronte, perplesso.
«Di cosa parlate?»
«Oh, giustamente non sei al corrente di questa eventualità. Il dottor Pearce prospettava differenti esiti per l'operazione. Uno dei meno promettenti era la possibilità che l'organismo del trapiantato rifiutasse il nuovo organo considerandolo estraneo e per tale motivo potenzialmente dannoso.»
Arsène sgrana gli occhi, il respiro bloccato in gola. «Oh… Q-questo significa che… sarebbe stato tutto inutile?» si sincera, sentendosi male quasi fisicamente.
La conferma che gli forniscono entrambi gli uomini non lo fa per nulla sentire meglio. Si appallottola pensieroso in un angoletto della poltrona e attende, trepidante, augurandosi con tutto il cuore che l'eventualità prospettata dai due uomini non trovi un riscontro nella realtà.
