Quasi una settimana più tardi Gregory Pearce si presenta alla loro porta, il solito irritante sorriso smagliante incollato al volto, deciso a constatare personalmente le attuali condizioni del suo paziente. Inutile sottolineare che né Hutch né Cat si dimostrano lieti dell'improvvisata.
«Poteva almeno avvisare, che cazzo» mastica Hutch, brontolando.
Nel frattempo il dottor Pearce, accedendo alla camera di Cat, si rende conto della presenza di una persona in più rispetto a quelle incontrate fino a quel momento.
«Oh, un nuovo componente della compagnia!» esclama sorpreso.
Arsène fa scintillare i suoi denti perfetti in direzione dell'oculista ed esegue un magistrale inchino.
«Bonjour, le docteur!»
«Ma siete del posto, mio giovane amico. Bene, molto bene. Io sono Gregory Pearce. Con chi ho l'onore?» scherza allegro.
«Lupin. Pour vous servir» dichiara tronfio.
«Un nome d'arte. Meraviglioso» si delizia Pearce.
E mentre i due si fanno le moine a vicenda, Hutch li osserva perplesso e abbastanza inquietato, chiedendosi come riescano a sfoderare tanto miele tutto insieme.
«Devo iniziare a preoccuparmi?» mormora Cat, lì accanto.
«Spero tanto di no, ma a vederli danno i brividi» commenta Hutch.
«Anche a sentirli» assicura Cat.
«Stanno evidentemente malignando su noi due, mio giovane Lupin» fa notare Pearce.
«È normale: sono degli orsi asociali abituati alle lande desolate. Certe raffinatezze non possono essere comprese dalla loro limitata mentalità» scherza Arsène, sogghignando.
Hutch, che non ha colto l'ironia delle parole, sta per prendere fuoco, ma una mano di Cat si posa lievemente sulla sua e attira tutta l'attenzione del succitato orso.
«Tranquillizzati. Stanno solo celiando. Dico bene?» chiede ad alta voce, rivolgendosi ai due sobillatori.
«Assolutamente sì» conferma Arsène, serio. «Non ci permetteremmo mai di offendervi gratuitamente.»
Cat abbozza un morbido sorriso e lo indirizza al suo Hutch. «Visto. Nulla per cui perdere la pazienza, dunque.»
Hutch si limita a grugnire, scontento, ma accetta comunque il suggerimento mascherato di Cat e se ne sta buono in disparte, almeno fino alla prossima istigazione.
«Diamo un'occhiata alle vostre condizioni?» propone Pearce, che nel frattempo si è avvicinato al giaciglio del suo paziente.
«Se vi preme tanto» replica Cat, per nulla invogliato da tale proposta.
L'oculista si lascia sfuggire una breve risatina, presto interrotta dopo una rapida occhiata all'espressione di Hutch, tutt'altro che incoraggiante.
Poi accadono tre fatti in rapida successione: Pearce si accomoda su una sedia accanto al letto e posa una mano sul collo di Cat, fra l'orecchio e il mento; Cat, impreparato, trasale e si scosta, troppo bruscamente, singhiozzando a causa della fitta di dolore e gemendo atterrito; Hutch scatta in piedi, ringhiando all'indirizzo dell'oculista, afferra la spalliera della sedia sulla quale è ancora seduto e la trascina indietro, lei con tutto il peso di Pearce sopra, che per un soffio non si schianta sul parquet a causa del contraccolpo.
Sia Arsène che Maloney sono accorsi per mettersi fra Hutch e Pearce, ma in fin dei conti non sembra essere necessario. Dopo aver riservato un'occhiata piuttosto incazzata all'oculista, Hutch si disinteressa di lui e accorre al capezzale del suo gattaccio, che attualmente ha tutta l'aria di un micino terrorizzato, e prova a tranquillizzarlo, mormorando al suo orecchio parole pacate e affettuose e accarezzando i suoi capelli e la cima delle sue orecchie.
«È tutto a posto. Nessun problema» assicura Pearce ai suoi due salvatori. «Errore mio. Va tutto bene.»
«Siete certo che sia tutto in ordine?» dubita Arsène, dentro di sé lieto che il bestione di Cat non se la sia presa con loro né troppo con il nuovo dottore.
«Assolutamente. Non c'è da preoccuparsi. Come al solito sono stato impulsivo. Ora, vediamo, proviamo a tranquillizzarci» propone, rammaricato per il pasticcio che, involontariamente, ha causato.
«Respira, piccolo. Così. Va meglio, vero?» soffia Hutch all'orecchio del compagno.
«S-sì… Mi dis-dispiace. Non sapevo che… Io… Mi ha colto di sorpresa» pigola Cat, un po' scombussolato.
«Lo so. Non agitarti. Non è colpa tua» lo conforta pacato.
«Dottori teste di cazzo» sibila contro il collo di Hutch.
Il compagno sorride fra i capelli scompigliati di Cat. «Hai proprio ragione. Un giorno o l'altro penseremo a un modo degno per vendicarci. Che ne pensi?»
«Che ci lavorerò al più presto» borbotta, inspirando a fondo l'odore del compagno.
Hutch sghignazza soddisfatto e posa un soffice bacio sulla sua tempia, fregandosene di tutti gli spettatori che hanno intorno. Mal che vada può sempre prenderli a calci in culo da lì fino al piano terra e ritorno; otterrebbe due ottimi risultati: smaltirebbe l'incazzatura e farebbe passare a certa gente la voglia di mettere le mani addosso al suo ragazzo.
Un cauto raschiarsi di gola anticipa, di qualche momento, una domanda proveniente dalla voce di Pearce. «Pensate che potrei riprovarci?»
Il dottore, per la proposta ardita, si merita la peggior occhiataccia nella storia delle occhiatacce. Da Hutch, ovviamente.
«Di certo non con Cat» fa presente in tono sinistro.
«Ehm… Mi sono espresso male» ammette Pearce, imbarazzato. «Intendevo la visita di accertamento.»
«Nh» commenta Cat. Il tono, per quanto si possa notare un tono in un'unica sillaba, è di sufficienza.
«Vuol dire: sì, ma attento a quello che fate» traduce Hutch.
«Oh! Bene, grazie» replica il dottore, suo malgrado abbastanza sorpreso.
Si avvicina, spiega che controllerà la pressione, il battito, la temperatura e lo stato di determinate ghiandole, dopo di che lavora alacremente per mettere in pratica quanto preannunciato nel minor tempo possibile. Quando termina il controllo lo fa scostandosi e traendo un lungo sospiro che attira l'attenzione di tutti i presenti. Sorride, provando a essere rassicurante.
«Tutto bene. State tornando in buona salute. È solo stato abbastanza stressante» ammette.
«Non lo è stato solo per voi» rimbecca Cat, sciogliendo finalmente le dita un attimo prima avvinghiate alle lenzuola.
«Giusto. Ho chiaro il concetto: non vi garba particolarmente il contatto fisico.»
«Potrei farmene una ragione più facilmente, se lo vedessi arrivare. O comunque fossi preparato.»
«Giusto» ripete, un po' frastornato. «Immagino che le vostre passate esperienze con i medici non siano state delle migliori.»
«Dite pure che le ho detestate dal primo all'ultimo secondo» sibila Cat.
Sospira, abbastanza demoralizzato. «Mi rincresce moltissimo di avervi creato ansia. Non era quel che intendevo ottenere. Volevo unicamente accertarmi che il trapianto fosse andato effettivamente a buon fine e non avesse arrecato danni al vostro organismo, tutto qui» spiega, stranamente un po' impacciato.
«E anche metterci un po' il naso» aggiunge Hutch, per nulla persuaso circa i buoni propositi dell'oculista.
«No, non… Non è così» tenta di protestare. «Non è quello il mio desiderio. Né essere invadente, né tanto meno mettermi in mezzo.» Ride, ma non è un suono allegro. «Non ho comunque più l'età per questo genere di cose. Un tempo, forse… Ma quel tempo è ormai passato.»
Cat e Arsène reclinano il capo in un modo pressoché identico. Hutch li guarda entrambi, spostando gli occhi dall'uno all'altro e viceversa, poi li leva al cielo e scuote la testa. La curiosità è gatto (e scimmia, a quanto pare).
«Che ne è stato di lui?» domanda Arsène dal nulla e con un'espressione troppo seria per il suo giovane viso.
Pearce si fa pallido in modo allarmante, tanto che Maloney prevede di dover intervenire da un momento all'altro. Contro ogni aspettativa non sembra sia necessario. Il dottor Pearce storce le labbra in una smorfia amareggiata e afflitta.
«È morto. Ormai quasi diciassette anni fa.»
