Entrati entrambi dal portone principale del palazzo, Cat fa segno a Hutch di non fare rumore, mentre si arrampicano con prudenza lungo le rampe di scale che li condurranno al luogo indicato dalla lettera lasciatagli da Pearce. Giunti all'ultimo piano vi trovano un'unica porta, chiusa, e Cat ancora una volta invita Hutch alla prudenza e al silenzio, cosa che Hutch si sforza di fare con il massimo impegno possibile; d'altronde ne va della loro stessa vita, oltre che di quella del piccoletto che, si suppone, si trovi oltre quell'uscio.
«Non si vede ancora nessuno!» esplode d'un tratto da dentro una voce dal timbro poco paziente e piuttosto alterato.
«Lo avete già detto, mi pare. E io vi ho già risposto» gli fa da replica una seconda voce, stavolta esasperata. Una voce che in questo caso sia Cat che Hutch conoscono piuttosto bene: quella di Gregory Pearce.
«Già, e intanto il tempo passa e noi siamo qui ad attendere, mentre magari quelli sono già chissà dove a ridere di noi!»
«Devo proprio ricordarvi che il ragazzino è stato prelevato appositamente per questa eventualità?»
«E chi ci assicura che la sua esistenza importi davvero a qualcuno?»
Hutch, con un'espressione per nulla raccomandabile, accenna a fare un passo avanti, più che disposto a dimostrare il contrario, ma Cat lo afferra prontamente per un polso, stringendolo fra le dita, e scuote la testa, e a quel punto a Hutch non resta che sbuffare in silenzio e attendere che venga il loro momento (se mai verrà!).
«Oh, per l'amor del cielo! Mi chiedo con che criterio si scelga gli uomini, se voi ne siete un tipico esempio. Forse con un bando che si prefigga la ricerca di teste vuote!»
«Attento a quel che dite!»
«Ma davvero? Sentiamo, avreste intenzione di spedire all'altro mondo anche me? E dopo, che storia vi inventereste per spiegarlo al vostro esimio capo?»
«State tirando troppo la corda» lo avvisa la prima voce, che dimostra apertamente quanto la già scarsa pazienza di cui dispone il proprietario si stia velocemente assottigliando.
«Benissimo! Allora andate, se proprio ci tenete! Pensate di poterli ritrovare così facilmente, senza avere una sola idea sulle loro intenzioni?»
«Voi l'avete?» indaga scettica la prima voce.
«Qualcuna» conviene in tono enigmatico.
Hutch, perplesso, sposta l'attenzione su Cat e lo ritrova pensieroso. Inarca un sopracciglio, chiedendogli silenziosamente cosa ci sia da fare a quel punto. Cat reclina il capo, riflettendo. A parte Pearce, in quella stanza ci sono sicuramente almeno un paio di uomini, forse addirittura tutti e sei. Eppure li stanno attendendo da un po', senza la vera intenzione di spostarsi da quel luogo per potersi accertare che non abbiano lasciato il loro appartamento, se non addirittura la città. Pearce deve avere un qualche genere di ascendente ai loro occhi, forse addirittura una sorta di autorità, ma non al livello di quel loro famoso capo inafferrabile, o non si sarebbero mai permessi di rivolgerglisi a quel modo poco rispettoso. Quindi l'ipotesi che Pearce e il capo siano la stessa persona è da escludere nella maniera più assoluta. Ma allora, che tipo di legame ha con quella gente? Perché sembra intenzionato a collaborare con loro, e perché adesso?
Hutch gli posa una mano sul braccio per attirare la sua attenzione, negli occhi una muta domanda: che cosa facciamo? Stira le labbra in una smorfia amara, perché non sono molte le scelte a loro disposizione. Hanno la conferma che Arsène si trovi lì dentro, sperabilmente in condizioni accettabili, e allora non resta che raggiungerlo e vedere come volge la situazione (magari ottenere anche qualche chiarimento).
Annuisce, facendo comprendere al compagno che è infine giunto il momento di palesare la loro presenza. Hutch gonfia il petto, un modo per darsi coraggio, e con un cipiglio deciso abbatte il pugno contro il povero uscio, che Cat avverte scricchiolare in protesta, una volta, due, tre, fino a che non è certo di aver attirato l'attenzione. Cat emette un lieve sbuffo, suo malgrado divertito, perché l'attenzione l'ha attirata di certo già al primo colpo; si sorprende che la porta sia ancora in piedi. Poi il tempo per divertirsi non l'ha più: l'uscio si apre e vengono accolti da una selva di pistole spianate dietro a cui fanno capolino certe facce poco amichevoli che, anzi, sembrano più che disposte a saltare i convenevoli e passare direttamente alla carneficina.
«Signori! Cosa vi ho ripetuto allo sfinimento? Li fate entrare senza ucciderli, altrimenti non potremo avere dei chiarimenti e il vostro beneamato capo sarà molto scontento di voi» fa presente la voce irritata di Pearce, da qualche parte all'interno del locale.
Cat si ritrova a sogghignare, e Hutch si tende di riflesso, preparandosi al peggio. Peggio che, stranamente, non arriva. Quello che sembra il capo, o almeno il portavoce della marmaglia che li ha accolti, sbuffa, visibilmente seccato, ma infine si risolve a richiamare gli uomini come un cacciatore richiamerebbe a sé una muta di cani e a far loro lo spazio sufficiente perché possano infine entrare.
«Ben ritrovato!» esclama Cat all'indirizzo del suo oculista, una volta individuatolo e avergli riservato un'occhiata in tralice che Hutch non è riuscito a decifrare e alla quale Pearce ha replicato con una similare e altrettanto criptica.
«Altrettanto» conviene pacato Pearce. «Se volete accomodarvi» offre loro, indicando un paio di poltrone in un gesto che è tutt'altro che un invito, quanto piuttosto un consiglio.
Cat fa spallucce e si risolve a seguire le indicazioni ricevute, trascinandosi appresso un Hutch poco propenso. Nel frattempo fa spaziare lo sguardo per la sala, più ampia di quanto si aspettasse, e scarsamente arredata, salvo le due poltrone messe a loro disposizione, un sofà a quanto pare destinato a Pearce, un ingombrante tavolo dall'aspetto robusto e, in fondo sulla parete di fronte ai due compagni, un'ampia vetrina piena di bottiglie, evidentemente riservata ai festeggiamenti (o alle lunghe attese, come in quel caso). Di Arsène non c'è traccia, fatto che preoccupa Cat e lo innervosisce.
«Il ragazzo?» soffia teso.
Pearce scuote una mano nell'aria con fare superficiale e un po' svogliato. «L'ho sistemato nella camera qui accanto, dato che non è in condizioni di restare in piedi e l'attesa l'avrebbe inutilmente stancato. Spero non vi dispiaccia» commenta, non sembrando tuttavia realmente interessato a una risposta.
«Preferirei vederlo, e accertarmi che stia bene» fa presente Cat. «Sempre ammesso che desideriate effettivamente la nostra collaborazione» aggiunge, dandole l'intonazione di quel che realmente è: un avvertimento.
Pearce sbuffa piano. «Molto bene, come desiderate.» Uno degli uomini presenti nella stanza già si è mosso e lo sguardo di Pearce si assottiglia. «Signor Simonson, ritengo di aver già chiarito a sufficienza la questione del ragazzo. Me ne occupo io, e nessun altro. Quindi, gentilmente, fatemi il piacere di rimanere qui e sorvegliare i nostri ospiti mentre io recupero il nostro giovanotto.»
Cat segue i suoi movimenti fino a che resta visibile, e una volta svanito oltre la soglia riporta lo sguardo sui loro scomodi anfitrioni, attendendo e riflettendo. Pearce sembra avere una minima autorità su quella gente, ma a quanto pare è continuamente costretto a rammentarla agli uomini che lo circondano, i quali tendono a scordarlo spesso e volentieri. Questo particolare potrebbe facilmente rappresentare un problema per il loro futuro (sempre ammesso che ve ne sia uno in vista…).
Mentre è ancora occupato nelle proprie riflessioni, all'interno della sala ricompare Pearce, e fra le braccia conduce con sé il suo giovane amico. A fatica Cat si trattiene dal balzare fuori dalla poltrona e correre incontro ad Arsène. Invece lo studia con attenzione, valutandone le effettive condizioni: non ha certamente un aspetto sano, è molto pallido e sembra piuttosto debole, ma almeno è vivo. Ha il capo posato sulla spalla di Pearce e le dita aggrappate al suo paletot; quando l'uomo si volta un poco, Arsène solleva il capo con evidente fatica e i suoi occhi si sgranano appena, scorgendo l'amico e il suo compagno.
«Sei qui» mormora lieve, sembrando assieme sollevato e spaventato.
Cat si sforza di offrirgli un sorriso gentile e annuisce. «Non avrei mai potuto essere in nessun altro luogo.»
