Cat è accoccolato contro l'accogliente petto di Hutch, riflettendo su quanto hanno appreso quel giorno. Le cose non vanno troppo bene, e se la situazione non cambierà dovranno proprio trovare una soluzione a questo problema. Chissà, forse dovrebbero semplicemente cercare una nuova sistemazione. In fondo è abituato a spostarsi, e Hutch… beh, può darsi che accetterebbe di seguirlo. Lo spera. L'idea di separarsi lo atterrisce abbastanza. Ma Hutch dopo tutto non è un bersaglio, e se Cat non sarà intorno ci sono ottime speranze che non se la prendano con lui, né con Arsène o Maloney. Sospira. È così dannatamente stanco di guardarsi continuamente le spalle. Perché non possono semplicemente lasciarlo in pace, una buona volta? Quel maledetto Bill non fa altro che metterlo nei pasticci, perfino da morto!

«Credo che, forse, sarebbe per voi saggio pensare a un trasferimento» lo distrae la voce un po' rovinata di Pearce.

Avverte Hutch irrigidirsi alle sue spalle. Rielabora a mente le parole dell'oculista e le sue labbra si storcono in una smorfia amareggiata. Quindi, forse, davvero a Hutch non farebbe troppo piacere mollare di nuovo tutto quanto a causa dei guai giunti in coda a Cat. Ebbene, non è propriamente una novità; a Hutch non sono mai andate a genio le grane, e Cat è notoriamente portatore di problemi a palate. Solo, ecco, non si aspettava che le cose succedessero così in fretta. Non si sente per nulla pronto ad accettare l'eventualità che spinge con insistenza della sua mente: deve rinunciare a lui? Oh… cazzo.

«E dove sarebbe?» sbotta Hutch.

«Mh… Non ne sono sicuro. Dovrei rifletterci» tituba Pearce.

«E allora, mentre riflettere, sloggiate, che qui in giro non vi ci voglio» ringhia, poco disposto alla trattativa.

Annuisce, l'oculista, e abbozza uno stentato sorriso che viene davvero male, vuoi per le labbra gonfie, vuoi per la situazione poco promettente. «Capisco. Potrei, magari, tornare in un altro momento» arrischia.

«Almeno un paio di giorni» consiglia Cat in un mormorio spento.

«D'accordo. Io, ecco, volevo scusarmi per… sapete, il modo in cui è finita, e…»

«Andate» soffia piano, posando un palmo sul braccio di Hutch nel tentativo di tranquillizzarlo.

«Giusto. Arrivederci, allora.»

L'occhiataccia che gli riserva Hutch fa chiaramente intendere che se anche non dovesse mai più rivedere la sua faccia non ne sarebbe minimamente toccato e, anzi, proverebbe un indubbio senso di liberazione. Di positivo, in tutta quella storia, c'è che Pearce non sembra essere in grado di produrre il suo fastidiosissimo sorrisetto inquietante. A saperlo, gli avrebbe spaccato la faccia molto tempo prima.

Maloney ha ritenuto di potersi permettere una passeggiata per le strade di Parigi, quel che lui ha pomposamente definito ricognizione e che Hutch ha tradotto in farsi gli affari del vicinato. Ma non si lamenta di certo, e su una cosa deve dar ragione al loro dottore: quel posto è sicuramente ben attrezzato, ma è anche minuscolo per tre uomini e un ragazzino. Probabilmente non faranno altro che starsi scomodamente fra i piedi, nei prossimi giorni. Allora Hutch approfitta della momentanea assenza di Doc per rimanere un poco da solo con il suo Cat. Va bene: quasi da solo; c'è sempre Arsène, lì accanto. Il piccoletto è crollato per la stanchezza meno di dieci minuti dopo che l'oculista ha levato le tende, tuttavia, quindi suppone che più soli di così, al momento, non si riesca a stare. Tra l'altro Cat, nell'ultima ora, ha assunto un aspetto davvero strano che fa un po' preoccupare Hutch. Chissà, forse non si sente troppo bene. Prova ad appoggiare una guancia al suo collo, ma non lo trova più caldo del normale. Sa che qualcosa non va, ma non sa di cosa possa trattarsi, e questo concorre a impensierirlo.

«Cat… Micetto… Cos'hai? Non ti senti bene?» prova, dato che con le sue sole risorse non arriva a comprendere quel che sta capitando al compagno.

Cat solleva lo sguardo su di lui e Hutch sobbalza e rabbrividisce. I suoi occhi sono spalancati e lucidi, e dentro c'è del timore, del tormento, e qualcosa di buio che lo fa ansimare di sgomento.

«Cat» smozzica incerto.

«Non so che fare… Hutch» soffia, sembrando spaurito.

«Io… non capisco» pigola esitante.

«So che forse dovrei lasciare questo posto, lo so. La mia presenza mette in pericolo tutti quanti. È solo che io… s-senza di te, cosa sono?»

Hutch lo fissa, confuso. Ancora non capisce, e questo non comprendere lo rende nervoso. «Perché dici questo, Cat? Parli di te solo, come se…»

«Hai sempre avuto ragione, Hutch. Te lo dissi anche tempo fa. Non faccio che attirare problemi e portarmi dietro sciagure, e non posso più sopportare l'idea che tu ci finisca in mezzo.»

Ora sì. Ora ha capito quel che gli sta dicendo il compagno. Scuote la testa, incredulo. «Smetti immediatamente di rimuginare sul pensiero che hai in testa. Non se ne parla neppure che io me ne resti qui con le mani in mano mentre tu te ne vai chissà dove per chissà quanto tempo, è chiaro? Vuoi cercare un posto lontano da qui per provare a sparire da sotto il naso di questa gente fuori di testa? Benissimo. Trovalo, allora. Poi mi avvisi e io ti vengo dietro. Non c'è altro modo» sbotta alterato.

«E se… sei poi ti accade qualcosa di brutto, per colpa mia?» soffia Cat, atterrito.

«Non per colpa tua» ringhia spazientito. «Quello è pazzo. E se non lo è, allora tiene un po' troppo ai suoi stupidi quattrini. Ma tu pensi davvero che ti lascerei da solo, sapendo quel che sappiamo per di più?» protesta, a un soffio appena dal dare seriamente in escandescenze. E poi una piccola lacrima trabocca dai chiari occhi del suo ragazzo e il fiato di Hutch si inceppa nella sua gola improvvisamente secca. «Cat» mormora sconvolto.

«Sc-scusa» affanna con voce spezzata.

Il suo Cat sembra abbastanza stravolto e sgomento, quindi che vada al diavolo quella strana sensazione di offesa e sospetto che ancora aleggia vaga della sua testa.

«Va bene. Non è niente» mormora stringendoselo contro con cautela per evitare di fargli male.

«Volevo solo… solo…» balbetta, tremando, seppur circondato dal suo calore.

«Lo so. Non importa. Sshh…» soffia piano.

Che lo sappia, per una volta, è la pura verità. Ha capito perfettamente quel che cercava di fare. Non che Hutch fosse d'accordo, ben inteso, ma una parte di lui non può fare a meno di essere commossa a quel pensiero. Il suo Cat se ne sarebbe andato il cielo solo sa dove, sperando di trascinarsi appresso ogni tribolazione. Assurdo, eppure così tipico di lui. Grazie al cielo è riuscito a fargli vuotare il sacco prima che le cose prendessero la piega sbagliata. Ora, certo, dovranno trovare una buona alternativa. Ma la troveranno insieme. Qualunque altra possibilità è fuori questione.

«Pensavo che…» mormora esitante «avresti detestato l'idea di spostarti di nuovo, così… ecco…» Rabbrividisce, e allora Hutch azzarda a stringerlo un poco più forte.

«Cat, tu immagini seriamente che, se sarà necessario trovare un posto nuovo, io potrei decidere di restare qui? Ascolta» bisbiglia sulla sua tempia. «Ehi, tu, sciocco micetto con troppe idee in testa, stammi a sentire: ovunque sarà necessario andare, ci andremo insieme. Tu proponi, io ti seguo, come ogni volta.»

«Ma tu…» pigola piano.

«No, niente ma. Io ti seguo. Punto. Non esistono alternative. Sai, io ti seguirei pure all'inferno.»