Maloney ha controllato la spalla di Cat e ha sostituito le compresse e le bende, decretando che la guarigione sta procedendo bene (ne sembrava abbastanza sorpreso, a dire la verità, ma Hutch non può dargli tutti i torti, con quel che gli hanno fatto passare da quando se lo sono tirato dietro da Las Cruces). Si è perfino attardato e dare un'occhiata a Hutch, come se Hutch fosse malato, quando fra tutti quanti sembra essere l'unico a non aver riportato un solo graffio da tutto quel pasticcio. Mah! Valli a capire i medici. E poi si è dedicato ad Arsène, che sì, procede abbastanza bene nella sua convalescenza, ma non ha certo un aspetto granché in forma. Devono ancora scoprire chi diamine può averlo ridotto in quel modo; ma Cat temporeggia sul soggetto e Hutch ha una mezza idea del motivo: immedesimazione involontaria, ovverosia Cat evita di fare ad Arsène quel che non gradirebbe che facessero a lui. Vede bene che, quando il suo Cat osserva il piccoletto riposare male, ha negli occhi quella tipica luce di morte di quando è intenzionato a gettare terra smossa nella fossa che ospita il cadavere fresco del responsabile, ma si trattiene perché sa che la scimmietta si sentirebbe a disagio e molto probabilmente ne soffrirebbe. E infine c'è da considerare l'imminente ritorno di quel balordo di Pearce, che dovrebbe presentarsi da loro il giorno seguente. L'idea non rasserena per nulla Hutch, ma si impone di stare buono e calmo per il bene del suo micetto, cui invece, palesemente, interessa scambiare opinioni con l'oculista. Maledetto Pearce! Lui e i suoi atteggiamenti intriganti. Ovviamente Hutch rimarrà per tenerlo d'occhio; gli altri sembrano fidarsi di quel tipo, Hutch no. Mai.

Qualcuno, là fuori, bussa alla loro porta. Hutch è piuttosto sicuro che sia il visitatore che aspettavano, e che è giunto sempre troppo presto per i suoi gusti. In più, a meno che qualcuno non gli apra da dentro, non c'è possibilità che possa entrare, visto che Hutch ha insistito perché sprangassero la porta con chiavistello e saliscendi. È di metallo, quella porta, e Hutch sogghigna pensando che col cavolo che riuscirebbero a sfondarla; più probabilmente ci si sfascerebbero contro, rompendosi tutte le ossa. Quasi prega che il bastardo ci provi, ma sa che è troppo intelligente per fare una sciocchezza simile. Lo odia, e nessuno al mondo riuscirà mai a fargli cambiare idea. Quando, aperte tutte le serrature, scosta il battente, è proprio l'oculista che si ritrova di fronte, e gli regala un sogghigno che promette un gran brutto quarto d'ora, sentendosi soddisfatto quando lo osserva deglutire a disagio.

«Signor Bessy. Ben ritrovato» prova Pearce.

«Speravo tanto di non rivedere mai più la vostra faccia» lo contraddice. «Ma dato che là dentro vi aspettano, vi conviene spicciarvi a entrare, prima che cambi idea e vi schianti la porta in faccia.»

Pearce non se lo fa ripetere due volte (anche perché dubita ce ne sarà una seconda). Sguscia velocemente dentro e si guarda intorno, sperando di individuare qualche faccia amica (o comunquepiùamica di quella che lo ha accolto).

«Benvenuto» offre Maloney.

Una smorfia abbastanza affranta storce la sua bocca, già di per sé un po' ammaccata dalle recenti traversie. Prova una veloce occhiata a Cat Stevens e si ritrova a essere sotto l'inquietante esame dei suoi occhi che, in quella luce ambrata, sembrano quasi trasparenti. Rabbrividisce.

«Sarei molto sorpreso, se lo fossi.»

«Tranquillo, non c'è questo pericolo» lo deride la voce di Hutch Bessy, alle sue spalle.

Lo vede raggiungere il compagno sulla poltrona. Il ragazzo ha un'aria abbastanza stanca e avvilita, ma accetta di buon grado il conforto dell'altro. Pearce si mordicchia un labbro, a disagio, e un istante dopo sibila, scoprendo quanto cattiva sia stata l'idea. Cosa dovrebbe fare a quel punto? Quei due non hanno alcun reale motivo per dargli fiducia; neppure lui se la darebbe, al loro posto. Troppi rischi, troppe incognite.

«Vi ascolto» lo sorprende invece la voce pacata di Cat.

Dà uno sguardo in giro, reperisce una sedia e se ne appropria perché non è così certo che le sue gambe possano reggerlo per la durata dell'incontro.

«Ho riflettuto, in questi due giorni. Sulla vostra situazione, e anche un poco sulla mia in effetti.»

«E cosa avete concluso dalle vostre riflessioni?»

«In base alle mie conoscenze, ritengo che sia un rischio, per voi, rimanere qui. E con qui non intendo solo a Parigi, ma in Francia in generale. Ethaniel sta… diciamo coltivando alcuni rapporti con gente di un certo tipo, con l'ovvio obiettivo di raggiungere accordi vantaggiosi per entrambe le parti. Proprio questa mattina mi hanno recapitato una sua missiva. Apparentemente… si accertava che me la passassi bene e auspicava un nostro, pur momentaneo, ricongiungimento.»

«E invece?»

Sospira, e scuote la testa. «Temo che mi stia tenendo d'occhio, forse persino sorvegliando, tramite i suoi contatti. Non ho prove, per ora, quindi potrebbe trattarsi di una mia impressione, eppure…»

«Sembra, da quel che ci avete detto, il suo modo di lavorare, no?» conviene Cat.

«Purtroppo» ammette. «Così, vedete, se non può esimersi dal diffidare dell'operato di suo fratello, cosa potrebbe accadere se venisse a scoprire che siete ancora vivo e libero come l'aria?»

«Nulla di buono, immagino» prevede cupo.

«Proprio così: nulla di buono, né per voi, né per me. Non sono più giovane, è pur vero, ma preferirei godermi ancora qualche anno su questa Terra, prima di levare il disturbo. E voi… nessuno di voi merita di essere nel mirino delle sue dubbie vendette. Errori ne commettiamo tutti, ma si dice che ogni essere umano dovrebbe avere una seconda opportunità, e io sono intenzionato a offrirvela.»

«Per la verità lo avete già fatto, mi pare» obietta Cat.

«Oh, quello… No, non era quel che io intendo come seconda opportunità. Era piuttosto un mio colpo di testa, un po' sciocco, un modo per mettere i bastoni fra le ruote di Ethaniel; poi me ne sarei andato in giro tutto tronfio e soddisfatto (e non avrei potuto vantarmi con anima viva, sempre ammesso che non volessi lasciarci la pelle). Solo che poco o niente è andato come avevo sperato e… ora… Nulla è davvero risolto. E io desidero che lasci in pace voi, e anche me.»

«Quindi, qual è il vostro suggerimento?» indaga Cat.

Pearce fissa gli occhi di Cat con inaspettata intensità. «Che vi trasferiate in un altro posto, uno in cui lui non abbia influenza (non ancora, per lo meno).»

Cat si prende qualche lungo momento per riflettere su quella proposta. «Mi pare di capire che l'idea di rimanere qui in Francia o tornare in America sia scartata a priori. E posso supporre che anche l'Inghilterra sia fuori questione.»

Pearce impallidisce visibilmente. «Gesù, assolutamente no! Sarebbe una pessima, pessima idea» esclama allarmato.

«Lo immaginavo» annuisce grave. «Ma voi avete in mente un luogo preciso, dico bene?»

«In effetti» ammette.

Hutch si tende contro Cat e digrigna i denti, borbottando sordo. «Smettetela di tergiversare. Se volete dirci qualcosa di utile spicciatevi, prima che perda la pazienza» suggerisce, poco incline a tollerare oltre i suoi inutili indugi.

L'oculista si permette un minuscolo sogghigno mezzo sbilenco, che procura più fastidi a lui che al resto dei presenti. «Dite bene, signor Bessy. Pensavo di proporvi l'Italia, più precisamente la Toscana.»