Hanno un appuntamento allo studio del dottor Pearce per la mattina seguente, pertanto hanno stabilito di godersi il pomeriggio e la sera, tenendoseli entrambi tutti per loro.
«Come ti senti?» indaga Hutch, posando i suoi occhi in quelli di Cat e facendoli poi vagare sul suo viso dai lineamenti ancora abbastanza tirati.
«Abbastanza stanco» ammette suo malgrado Cat. «Speravo di… ecco… aver recuperato un minimo di autonomia. Ma vedo bene, ora, di essermi del tutto ingannato» pondera amareggiato.
«Cat» mormora, poggiando la fronte sulla sua. «Smetti di essere così duro con te stesso. Hai sfiorato la morte due volte, in questi ultimi mesi, eppure sei ancora vivo.»
«Vivo, sì, ma a quanto sembra non sufficientemente forte» considera.
Hutch sbuffa una secca risata mezza allucinata. «Che sciocchezze! Non ti rendi conto di quel che hai passato e ti sei lasciato alle spalle? Quante volte te l'ho detto: non devi sottovalutarti in questo modo; non è giusto» protesta.
«Non è giusto per chi?» indaga scettico.
«Per te, innanzi tutto. E poi per chi tiene a te.»
«Quindi tu. Perché non ricordo esista nessun altro con queste caratteristiche. Non vivo, almeno.»
Hutch lo fissa con un broncio scontento. Non è certo se quanto gli sta dicendo Cat corrisponda al vero. Ma a giudicare dalla sua tendenza a ricercare la solitudine, non lo escluderebbe affatto.
«Beh, e anche se fosse? Forse che non sono all'altezza del compito? Avresti di certo preferito qualcun altro che facesse meno disastri, immagino. Ma se è come dici tu, mi sa tanto che dovrai accontentarti» borbotta un poco offeso.
Il repentino afflosciarsi delle spalle di Cat, e la lieve smorfia afflitta che tira le sue labbra lo mettono però in allarme, spingendolo a chiedersi se non abbia esagerato con i rimproveri. Il ragazzo ha da poco finito di confessare il suo affaticamento e palesargli le sue insicurezze e lui in cambio che fa? Lo tormenta con le proprie inquietudini?
«Scusa» mugola mortificato.
«Hutch» soffia, scuotendo piano la testa. «Io non… Non ho alcun bisogno di accontentarmi, né ho bisogno di altri che tengano a me. Ho te. Fino a poco meno di un anno fa credevo di essere solo, e ora… Ora ci sei tu e non ho nessuna intenzione di farne a meno. Tu sei importante, troppo per pensare di lasciarti andare.»
«Non vado da nessuna parte. Non senza di te» assicura.
Cat è un fascio di nervi, la mattina seguente, mentre percorrono le vie di Parigi in fiacre; i suoi occhi sono sbarrati e si sta tormentando le mani da minuti interi. Hutch vorrebbe essere di conforto, ma non ha idea di cosa dire, né come dirlo, così si rassegna a rimanere in silenzio e rispettare il turbamento del ragazzo, limitandosi e rimanergli accanto.
«Siamo arrivati» bisbiglia cauto, ma vedendolo comunque trasalire di sgomento. «Vieni» offre, porgendogli il braccio e aiutandolo a scendere dal veicolo.
Dietro, Maloney li segue a rispettosa distanza, sembrando comprendere la necessità di mantenere un riserbo decoroso.
«Il ginocchio?» si informa Hutch, scorgendo la lieve smorfia sulle labbra di Cat.
«Sopportabile» soffia, stringendo i denti e facendo ticchettare le stampelle lungo il marciapiede e poi sulla scalinata che li condurrà allo studio medico.
La sua fronte e le sue tempie sono appena velate di sudore, ma Hutch non è certo se dipenda dal disagio, dall'affaticamento o da qualche genere di dolore più o meno fisico. Per sicurezza ha deciso sia saggio essergli di sostegno, quindi ha appoggiato il palmo di una mano in fondo alla sua schiena, accompagnando i suoi passi, attento a qualsiasi segnale di cedimento. Segnale che, per inciso, non si è presentato. Scuote la testa, abbastanza attonito, perché al suo posto Hutch sarebbe ancora all'interno del fiacre, possibilmente aggrappato alla tappezzeria e fermamente intenzionato a rimanerci. Ma, ancora una volta, lui non è Cat, e forse, dopo tutto, è una bella fortuna. A ruoli invertiti si sarebbe già lasciato crepare da un bel pezzo. Come ha fatto notare nemmeno troppo tempo prima, Cat è molto più di quel che si può scorgere dall'esterno, nonostante lui si ostini a negarlo.
«Come va?» chiede quando sono ormai di fronte all'uscio che li porterà al cospetto del dottor Pearce.
Deglutisce, sembrando più che ansioso. «Al momento sono terrorizzato. Ma va bene, posso farlo.»
Hutch è indeciso se scoppiare a ridere o afferrarlo per i fianchi e non mollarlo più fino al giorno seguente, come minimo. «Procediamo?» domanda invece.
«Temo di sì. A meno che non vogliamo farci tutta la traversata dell'Atlantico al contrario» considera, fra il serio e il faceto.
Sbuffa, ma annuisce e si fa avanti per suonare al campanello. Insieme attendono un segnale qualunque che indichi loro che possono entrare. Il loro segnale, in quel caso, è un rapido ticchettare di tacchi, prima che l'uscio si apra rivelando la figura di una giovane donna dai chiari capelli castani acconciati in una morbida crocchia e dai caldi occhi nocciola.
«Il signor Stevens?» li avvolge la voce tranquilla e dolce della fanciulla, in un inglese perfetto.
«Lui» indica Hutch, mostrandole il soggetto al suo fianco.
La donna sorride loro e si scosta dallo specchio della porta. «Entrate pure. Il dottor Pearce vi stava aspettando. Prego» offre loro, mostrando la sala d'aspetto con un grazioso movimento della mano.
«Grazie» mormora Hutch, un po' a disagio, accompagnando Cat all'interno di quello che ha più l'aspetto di un salottino ritrovo per attempate signore di nobili origini.
«Il dottore sarà da voi al più presto. Scusatemi, vado ad avvisarlo del vostro arrivo» annuncia, prima di lasciare la stanza e scomparire oltre un altro uscio.
«Il posto è simpatico» commenta Maloney.
«Non mi sorprende che lo apprezziate. È borioso tale quale a voi» lo canzona Hutch, facendo sbuffare il dottore depravato e spuntare un lieve sorriso divertito sulle labbra ancora tirate di Cat.
Mezzo minuto dopo qualunque vago accenno di divertimento muore sul viso del ragazzo, mentre vengono raggiunti, stavolta, da due paia di passi e, infine, da una voce baritonale e sicura.
«Benvenuti. Sono il dottor Gregory Pearce. Da molto ormai non leggo che di voi. Vi attendevo con una certa ansia, a questo punto» si presenta il nuovo medico, stringendo la mano di Hutch e Maloney e allungandosi ad afferrare anche quella di Cat, il quale sua malgrado sussulta.
Il chirurgo oculista si è appena guadagnato un piccolo, cupo ringhio di avvertimento da parte di Hutch. Quello che al contrario il cane da guardia non si attendeva è un lieve sorriso mezzo divertito e mezzo rassicurante da parte del dottor Pearce.
«Nessun problema, spero. Se volete, possiamo trasferirci nel mio studio privato, in modo da parlare con più agio del vostro caso e, se possibile, trovare una soluzione.»
