Il dottor Pearce li fa accomodare tutti e tre nel suo studio, che si rivela essere anche laboratorio, almeno a giudicare dalle apparecchiature presenti. Per fortuna Cat non ha la possibilità di vedere il tutto, o il suo palese nervosismo sfocerebbe fin troppo in fretta in crisi di panico in piena regola. Hutch non ha tale fortuna e, istintivamente, si tende, ansioso per il compagno e, a quel punto, anche un poco per sé stesso, nonostante sappia bene di non avere proprio nulla di cui temere.
«Sedete pure senza complimenti» li invita, continuando imperterrito a sorridere.
Se Hutch non sapesse che hanno di fronte un oculista, penserebbe invece di avere a che fare con un dentista tutto intento a presentare il prodotto. Si chiede, distrattamente, se i suoi pazienti possano in qualche maniera apprezzare i suoi sforzi, dato che, ovviamente, non possono godere di buona vista.
«Molto bene» esordisce Pearce dopo che Hutch ha diligentemente aiutato Cat a sistemarsi comodamente su una delle poltroncine disponibili. «Ammetto di conoscere già molti particolari del vostro caso, grazie soprattutto alla solerzia del dottor Maloney che ha ritenuto opportuno ragguagliarmi in proposito e aggiornarmi in seguito. Si tratta in tutta evidenza di un danno traumatico. Ho solo ipotesi, al momento, per questo ho ritenuto opportuno invitarvi da me per controllare di persona l'entità del danno, prima di proporre una possibile soluzione (se essa esiste).»
La premessa non è delle migliori, almeno dal punto di vista di Hutch. Sbircia Cat e deduce che non lo sia neppure secondo i canoni del compagno, vista la lieve smorfia comparsa sul suo viso, appena percettibile a un occhio esterno; ma Hutch lo conosce da troppo tempo e piuttosto bene per lasciarsi ingannare dal suo apparente stoicismo. Inizia veramente a detestare la categoria dei medici, soprattutto se questi hanno la spiacevole tendenza a stroncare le povere speranze dei loro pazienti.
«Dunque, diamo un'occhiata, se a voi non dispiace» propone Pearce.
A Cat, palesemente, dispiace eccome, difatti assume in modo repentino l'aspetto di una statua di marmo. Una graziosa statua di marmo, ma i fatti non cambiano, e in questo caso è evidente per tutti i presenti. Hutch sta per rimettersi a ringhiare addosso all'oculista nell'intento di chiarire una volta per tutte che Cat non va toccato, a meno che non sia lui stesso a volerlo e a dare il suo manifesto benestare, ma viene imprevedibilmente anticipato da Pearce stesso, con una proposta del tutto inattesa.
«Bene, bene. Capisco. Potremmo procedere in questo modo: voi, signor… Bessy, dico bene?» All'impacciato assenso dell'interpellato lo strano sorriso dell'oculista si amplia. «Giusto. Dicevo, voi signor Bessy potreste accomodarvi su quel divanetto laggiù, che è comodissimo, ve l'assicuro, e a quel punto il signor Stevens potrebbe raggiungervi e trovare la posizione più comoda e distensiva che gli aggradi. In tale modo sono certo si sentirebbe maggiormente rilassato e ben disposto. Sbaglio?»
Adesso sulla graziosa statua di marmo sono comparse due adorabili chiazze di rosa intenso a decorazione delle gote. Hutch è equamente diviso fra l'indignazione per i modi abbastanza intriganti del nuovo dottore e il divertimento per la reazione stavolta ovvia e tutto sommato rassicurante di Cat.
Siccome risulta ormai piuttosto chiaro che quel depravato di Maloney deve essersi dilungato in spiegazioni non richieste né necessarie sullo stato di salute del suo paziente, Hutch stabilisce che tanto vale abbreviare i tempi e prendere personalmente in mano la situazione. Pertanto, dopo aver gratificato entrambi i medici presenti del suo miglior sguardo di biasimo, si rimette in piedi e raccoglie Cat fra le braccia, guadagnandosi uno squittio sorpreso e poi un sibilo di avvertimento.
«Temporeggiare è inutile, a questo punto. Facciamo questa cosa, così poi ce ne potremo andare» mormora piano contro la sua tempia.
Cat sospira lentamente, poi annuisce, seppur titubante. «Quei due mi mettono a disagio» soffia, in un mormorio appena.
«L'ho notato. Lo stesso vale per me» assicura.
«Spero che non ci creino più problemi di quanti possano risolverne» elucubra pessimista.
Hutch si incupisce un poco. «Mi auguro che non accada. Non sono certo che, nel caso, troverebbero il tempo per pentirsene» prevede torvo.
Il suo premio è un lieve, titubante sollevarsi degli angoli delle belle labbra di Cat. Cosa non farebbe per poterlo osservare più spesso. Purtroppo quello non è proprio un buon momento per sperare in uno dei suoi sorrisi.
Hutch fa esattamente quel che gli è stato suggerito: si accomoda sul divanetto, trovandolo piuttosto piacevole, e si sistema Cat in grembo, allentando poi la presa per permetterli di trovare la posizione migliore e meno dolorosa per il suo disgraziato ginocchio. Infine Cat solleva il mento in direzione dei due ficcanaso e inarca un sopracciglio, in attesa. Hutch sogghigna, divertito, sapendo che quello è il modo di Cat di sollecitare una qualche azione da parte degli altri. Chissà se coglieranno l'invito?
A quanto pare sì. Pearce ci ha impiegato qualche secondo di troppo, ma infine ha dedotto fosse il suo turno di fare qualcosa, così si è alzato e ha trascinato la sua sedia fino al divanetto, portandosi appresso anche un piccolo campionario delle sue attrezzature. Poi ha allungato una mano.
Cat, ovviamente, non ha potuto scorgerlo. Ma Hutch sì, e si è teso sotto di lui, azione che ha messo in allarme il ragazzo.
«Ops» sussurra Pearce. «Chiedo scusa.» Bizzarramente, l'oculista mostra in viso una smorfia che sembra realmente mortificata. «Serve che mi avvicini, per poter studiare lo stato dei vostri occhi. Farò anche un po' di luce, così da mettere in evidenza i danni più visibili. E… pensate di poter tenere le palpebre ben aperte per un tempo congruo? In alternativa, dovrei procedere manualmente» spiega con pazienza.
Cat deglutisce, nervoso. Reclina il capo. Sta riflettendo, Hutch questo lo sa, non serve neppure osservarlo. Infine, titubante, annuisce. «Posso tentare» decreta.
Pearce torna a sorridere, all'apparenza soddisfatto. E di nuovo si fa accosto, questa volta con cautela, badando bene a non toccare nessuno dei due uomini che si ritrova di fronte. Inizialmente osserva genericamente, forse notando i lievi segni sulla pelle che sono rimasti in seguito all'esplosione. In un secondo momento recupera uno dei suoi strumenti ottici e procede a uno studio più preciso e ravvicinato. Hutch nota che in alcuni momenti le sue sopracciglia si corrugano. Infine recupera una fonte di luce e l'accosta. Trascorrono lunghi minuti di concentrato silenzio mentre Pearce sposta la sua attenzione da un occhio all'altro. Da ultimo si scosta e rimane pensieroso, lo sguardo perso in un punto imprecisato che non è nessuno dei presenti.
«Per quel che ho potuto osservare, si tratta di un trauma corneale. La deflagrazione ha evidentemente causato un'onda d'urto che ha scagliato in aria svariati detriti. Anche un minuscolo granello di sabbia, se spinto a elevate velocità, può danneggiare. Alcuni hanno graffiato e incrinato le vostre cornee. Normalmente si presentano lisce e trasparenti, permettendo alla luce di passare ma non ai corpi solidi. Ora però la loro superficie è rovinata e questo impedisce il corretto transito della luminosità esterna.» Solleva lo sguardo, puntandolo su Hutch e Cat. «Il danno è irreversibile» comunica serio. «L'unica soluzione a oggi conosciuta, ma ancora poco sperimentata, è la sostituzione della cornea, tramite trapianto.»
