Un altro giorno, un altro capitolo. Per il prossimo non vi prometto niente, potrei pubblicarlo domani come la prossima settimana, spero di riuscire a trovare il tempo per scrivere perché le parole sono tutte nella mia mente, devo solo trascriverle.

Un abbraccio

Mini

14. Troppo tardi

"Insisto" disse Jean "Se hai trovato delle informazioni che possono esserci utili va benissimo, ora però devi riposare e pensare ad altro, non puoi sforzare la tua mente più di così."

"Sono d'accordo con Jean" disse Erik "Charles, sono sconvolto io, posso solo immaginare come ti possa sentire tu!"

Charles scosse la testa.

"Ve l'ho detto sto bene. Sto be-"

Si interruppe di colpo, vacillò e dovette appoggiarsi a Erik, in piedi accanto a lui, per non perdere l'equilibrio.

"Vedi? Stai troppo male." lo rimproverò Jean "Stenditi."

"Lo farò più tardi, ora voglio andare a verificare una cosa" disse lui ma, quando fece per alzarsi, gli girò la testa e cadde indietro, disteso sul letto.

"Dormi, Charles" gli disse Jean con tono autoritario "Per favore."
Lui sembrò voler ribattere, poi però annuì e chiuse gli occhi e nel giro di pochi istanti si era profondamente addormentato.

"Usciamo tutti, lasciamolo riposare."

Erik annuì, si asciugò le ultime lacrime e lasciò la stanza solo Raven restò seduta accanto a Charles.

"Raven?" la chiamò Jean.

"Preferirei restare qui" rispose lei, prendendo la mano di Charles.

Jean esitò, poi sorrise e annuì.

"Come preferisci."

"Sai, quello che ho visto, quei ricordi …"

Jean era arrivata alla porta ma si fermò per ascoltare.

"Per anni mi sono chiesta di cosa avesse paura, cosa gli facesse il Dottor Milbury."

"Lui non ti raccontava mai niente?"

"No, mai" rispose Raven, scuotendo la testa "Vedevo che aveva paura, ma non mi diceva mai nulla di ciò che accadeva. Quando tornava a casa era spesso strano, mi chiedeva di lasciarlo solo per un po', poi tornava ed era di nuovo lui, il solito Charles sorridente e rassicurante."

Raven scoppiò a piangere.

"Per anni ho creduto che fosse troppo protettivo nei miei confronti, che volesse controllarmi … ora ho capito che voleva solo il mio bene. Anche se aveva cancellato quei ricordi dalla sua memoria ha continuato, anche inconsciamente, a proteggermi. Sono stata così ingiusta nei suo confronti …"

Jean tornò indietro e le posò una mano sulla spalla.

"L'ho amato, l'ho odiato … ora mi sento talmente in colpa …"

"Non devi" la rassicurò Jean "Sono certa che anche lui ti ha voluto bene fin dal primo istante e non ha mai smesso di farlo. Lui ti ha sempre protetta, ora puoi ricambiare."

Raven stava fissando il viso di Charles, si voltò di scatto verso Jean, la quale ricambiò lo sguardo con un sorriso.

"Vi lascio soli."

Raven tornò a guardare Charles.

"Veglierò su di lui."

Charles dormiva, di tanto in tanto appariva sul suo viso l'ombra di un incubo, Raven gli stringeva la mano e lui sembrava calmarsi.

Lo vegliò per qualche ora, poi cominciò a sentirsi stanca e, sebbene tentasse con tutte le sue forze di combattere contro il sonno, senza accorgersene si addormentò.

Si accorse che erano trascorse molte ore solo guardando l'orologio, doveva aver dormito tutta la notte, la luce dell'alba filtrava attraverso le tende, qualcuno le stava accarezzando la testa, la spostò appena per vedere e vide che era Charles, ormai sveglio, che le sorrideva.

"Sei rimasta accanto a me tutto questo tempo" mormorò "Grazie."

Lei gli sorrise.

"Non potevo lasciarti solo."

Charles sorrise a sua volta ma subito il sorriso svanì, sostituito da una smorfia di dolore.

"Qualcosa non va?" chiese lei, spaventata.

Charles restò per qualche istante con gli occhi serrati, poi si rilassò e li aprì.

"Va tutto bene" rispose lui "Solo un po' di mal di testa. Ho chiamato telepaticamente gli altri, Ci troveremo tra poco nel mio ufficio."

"Sei sicuro? Non vuoi riposare ancora un po'? Sembri distrutto?"

In effetti era vero, nonostante le ore di sonno, Charles sembrava ancora sofferente.

"Sto bene, non preoccuparti." le disse, con un sorriso forzato "Andrà tutto bene."

Si sentiva stanco, incredibilmente stanco, camminare dalla sua stanza allo studio gli costò molta fatica, anche a causa di un mal di testa costante che, di tanto in tanto si acuiva, facendogli perdere l'equilibrio e costringerlo a fermarsi.

Erano appena arrivati nello studio di Charles, quando Raven parlò dopo minuti di silenzio.

"Charles, stai facendo uno sforzo eccessivo!" lo rimproverò lei "Non puoi riposare ancora un po'?"

"No" rispose lui, andando a sedersi dietro la scrivania "Non abbiamo molto tempo. Oh, eccovi."
"Stai meglio, amico mio?" gli chiese Erik "Sembri anche più vecchio di me, in questo momento."

"Sì, è vero" ammise lui con un sorriso stanco "Non sono al massimo della forma, ma avrò tempo di riposare quando vi avrò detto ciò che ho scoperto."

Charles strinse i pugni e chiuse gli occhi.

"Qualcosa non va?" chiese Jean, preoccupata.

"Solo un po' di mal di testa." rispose lui.

"Solo un po' di mal di testa?" chiese Raven "è da prima che …"

"Come vi dicevo ieri" disse Charles, ignorando la domanda di Raven "I ricordi che avete visto sono solo una parte. Milbury iniziò con quel tipo di esperimenti ben prima che incontrassi Raven. Avevo sei anni quando lui mi portò per la prima volta in quel laboratorio … insieme a mio padre, Brian Xavier."

Erik impallidì, inorridito.

"Tuo … tuo padre?" chiese.

"Esatto. Il Dottor Brian Xavier. All'epoca lavorava con il Dottor Milbury, che in realtà si chiamava Nathaniel Essex. Milbury o Essex, come preferite, fu il primo a fare ricerca e a sperimentare sui mutanti, già dal milleottocentonovanta. Se vi chiedete come io sappia tutto questo è semplice: gli lessi la mente all'epoca, poi dimenticai. Lui lavorava a stretto contatto con mio padre, così iniziò a usarmi come cavia per i suoi esperimenti."

Charles si prese qualche istante per riordinare pensieri ed emozioni.

"Un anno dopo mio padre morì in circostanze che non furono mai del tutto chiarite e il suo posto fu preso da Kurt Marko il quale non solo proseguì le ricerche di mio padre con Milbury ma sposò mia madre."

Charles si alzò, sentiva di non poter restare fermo, aveva bisogno di muoversi per non farsi travolgere.

"Marko era un uomo estremamente paranoico ma anche molto pratico. Non appena si trasferì in questa casa fece preparare le valige e ci portò in Europa per almeno tre mesi. Fummo ospiti di moltissime università, nelle quali Marko teneva lezioni, conferenze o semplici consulenze. Quando tornammo era tutto cambiato."

Charles fece un'altra pausa, aveva bisogno di tempo per riportare alla memoria quei ricordi.

"Durante la nostra assenza Marko aveva licenziato tutto il personale … sì, Erik" disse con un sogghigno, notando che l'amico aveva alzato un sopracciglio "Credevi davvero che mia madre fosse la classica casalinga? Avevamo un cuoco, un maggiordomo, una cameriera e un giardiniere e, quando era ancora vivo mio nonno, perfino un guardiacaccia. Marko li aveva mandati via tutti e al loro posto aveva assunto gente di fiducia. Non fu l'unico cambiamento, aveva fatto costruire i rifugi antiatomici sotto la villa e installato un'enorme cassaforte: costrinse mia madre a chiudere tutti i conti bancari che possedeva e a portare a casa tutto ciò che contenevano. La stanza che ora ospita Cerebro a quel tempo era piena di banconote, lingotti d'oro, gioielli. Quando anche Marko morì, suo figlio Cain prese la sua parte di eredità e se ne andò, io e Raven depositammo tutto ciò che era rimasto in una banca e ci trasferimmo."

"Credi che i documenti che cerchiamo fossero in quella cassaforte?" chiese Erik.

"Non c'erano documenti" disse Raven "Lo ricordo bene."

"Infatti, non erano lì, non erano nemmeno nella cassaforte dello studio."

"Potrebbe averli lasciati da qualche altra parte?" chiese Jean "Non qui."

"No. Marko non lo avrebbe mai fatto, non si fidava di nessuno. Io credo … credo che siano qui, ma non nella villa."

Charles si avvicinò alla finestra e guardò fuori.

"Quando tornammo io e mia madre notammo che Marko aveva fatto ristrutturare la vecchia casa del giardiniere. Brown, il giardiniere che era stato assunto da mio nonno, aveva questa piccola casetta che usava come magazzino. Era lì da molti anni ed era evidente che avesse bisogno di manutenzione, quando tornammo era come nuova."

Charles guardò Erik.

"Credo che, oltre ai rifugi qui sotto, abbia creato una camera blindata anche sotto la casetta in giardino. Andando lì sopra riusciresti a scoprire se sotto terra c'è qualcosa?"
"Se si tratta di una camera blindata in metallo sì, potrei trovarla facilmente" rispose Erik.

"Molto bene" disse Charles, avviandosi verso la porta "Andiamo."

Charles era pallidissimo, faceva fatica a camminare, Raven gli era accanto ma nonostante questo sembrava arrancare sotto il peso di anni di ricordi sotterrati i quali, tornati alla luce, lo avevano travolto come una valanga.

Con lui c'erano Raven, Erik, Jean e Hank, che li aveva raggiunti per dare una mano in caso avessero trovato qualcosa. Ci volle un po' di tempo, ma finalmente arrivarono alla baracca. Se negli anni cinquanta era appena stata sistemata, ora appariva vecchia e rovinata.

"Forse avrebbe bisogno di un restauro" disse Charles, sorridendo debolmente "Entriamo."

Una volta dentro si guardarono attorno, la casetta era di modeste dimensioni ed era composta da una sola stanza nella quale erano posizionati in modo molto ordinato tutti gli attrezzi da giardino, alcuni utilizzati da poco, altri che sembravano lì da decenni.

Polvere e ragnatele regnavano in ogni angolo.

"Riesci a percepire qualcosa?" chiese Charles a Erik.

L'uomo aveva chiuso gli occhi e si era concentrato.

"Sì" disse lui "C'è qualcosa sotto il pavimento, sembra un'enorme stanza di metallo … aspetta … ecco! Ho trovato l'ingresso!"

Accanto al caminetto c'era una grande cassapanca, Erik allungò un braccio e, con i suoi poteri di manipolazione dei metalli, riuscì a far scattare un meccanismo. La cassapanca si spostò di lato, rivelando una ripida scala che portava in un ambiente sotterraneo.

Scesero tutti e raggiunsero una porta blindata che Erik riuscì ad aprire senza alcun problema. All'interno era tutto buio ma Erik trovò immediatamente il pannello con gli interruttori che, nonostante gli anni di inattività, funzionava ancora.

In pochi istanti tutte le luci si accesero, lasciando a bocca aperta i presenti: di fronte a loro c'era un enorme deposito, più grande rispetto all'area occupata dalla casetta che ne celava l'ingresso. Sugli scaffali sulla sinistra erano depositati lingotti d'oro e casse che probabilmente contenevano denaro e oggetti preziosi, sulla destra invece c'erano dossier traboccanti di documenti.

"Li abbiamo trovati" disse Erik, avvicinandosi "Ciò che cercavano è tutto qui … Credi che dovremmo conservarli o distruggerli? … Charles?"

Il telepate si era fermato all'improvviso, Erik si voltò verso di lui e in quel momento lui gridò di dolore, portandosi le mani alla testa e crollando in ginocchio.

"NO! NO! VATTENE! VATTENE!"

Jean gli si avvicinò e gli strinse le spalle per scuoterlo.

"Charles! CHARLES!" gridò "Cosa succede?"

Raven si avvicinò a sua volta lo abbracciò da dietro, sperando di poterlo rassicurare mentre Hank e Erik lo guardavano, impotenti.

"VATTENE VIA!" gridò ancora Charles "ESCI DALLA MIA TESTA!"

"Con chi parli?" chiese Jean, che stava tentando di entrare nella sua testa per capire cosa stesse succedendo "Chi c'è?"

Charles aveva gli occhi chiusi in una smorfia di puro dolore e terrore, era evidente che stesse lottando con qualcosa di estremamente potente. Con un notevole sforzo riuscì ad aprire gli occhi, erano lucidi e rossi per il pianto.

"Era una trappola …" mormorò con voce roca "V-vi prego … Uccidetemi … prima che sia troppo tardi … UCCIDETEMI! UCCIDETEMI!"

Tutti lo fissarono sbalorditi e spaventati, Raven lo strinse ancora di più.

"SMETTILA! SMETTILA DI DIRE CERTE COSE!" gridò.

"Di cosa stai parlando?" chiese Jean "PERCHé DOVREMMO UCCIDERTI?" chiese, in preda al panico "CHARLES!"

Ormai Charles non c'era più, mentre sulla sua fronte appariva un rombo rosso, la smorfia di dolore fu sostituita da un ghigno trionfante, malefico, che non gli apparteneva, poi parlò.

"Troppo tardi."